Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33199 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33199 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto: Tributi
Iva 2013- 39, comma 2, lett. d) DPR n.
600/73-
conferimento di ramo d’azienda
fittizietà – ricavi non dichiarati da vendite
occulte di merci-
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 25415 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale su foglio separato allegato al ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l ‘indirizzo di posta elettronica del difensore: EMAIL;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 2046/24/2021, depositata in data 9 marzo 2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
1.RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Campania, aveva rigettato l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 11091/34/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società, esercente attività di commercio nel settore dei prodotti di abbigliamento, avverso l’avviso di pagamento con il quale l’Ufficio , previo p.v.c. redatto dai funzionari della Direzione Provinciale II di Napoli, aveva rettificato il reddito d’impresa , per il 2013, ai fini Ires e Irap nonchè Iva, in relazione a vendite ‘occulte’ di merci facenti parte di un conferimento di ramo d’azienda ritenuto fittizio, posto in essere con finalità evasive al fine di diminuire artatamente il valore contabile di magazzino.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso .
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/92
per avere la CTR, con una motivazione illogica e abnorme, per certi aspetti, e apparente, per altri, ritenuto che il contratto di conferimento di ramo d’azienda era fittizio e i contraenti avevano realizzato soltanto una cessione, soggetta ad Iva, della merce facente parte di quel ramo di azienda, in quanto la contribuente aveva continuato l’esercizio dell’attività nel ramo d’azienda oggetto di conferimento senza soluzione di continuità; con ciò, il giudice di appello avrebbe illogicamente desunto in modo automatico dalla fittizietà/inesistenza del contr atto di conferimento del ramo d’azienda, l’esistenza della cessione di merce soggetta ad Iva (il che sarebbe potuto avvenire se la contestazione non fosse stata di fittizietà ma di simulazione); peraltro, se, da un lato, la continuità di esercizio del ramo d’azienda poteva provare l’inesistenza dell’atto di conferimento, dall’altro , era inconciliabile con la deduzione della cessione della merce, non potendoci essere la continuazione di esercizio di attività senza l’utilizzo della merce . Inoltre, ad avviso della ricorrente, la CTR avrebbe ritenuto, con una motivazione apparente, ‘prive di sostanza’ le argomentazioni svolte dalla contribuente in ordine alla non fittizietà dell’atto di conferimento di azienda (che, sul punto, aveva dedotto di avere svolto l’attività, registrando i corrispettivi, a seguito del rilascio del ramo d’azienda da parte della conferitaria e di avere provveduto al pagamento dei canoni di locazione e delle utenze, per fare fronte alla inadempienza della conferitaria che non aveva provveduto alla relativa voltura) senza spiegare le ragioni per le quali le stesse non erano idonee a superare la decisione di primo grado. In particolare, ad avviso della ricorrente, la motivazione della CTR farebbe richiamo con una motivazione per relationem alla decisione di primo grado senza indicare le ragioni di una tale adesione tenuto conto dei proposti motivi di impugnazione. Infine, la CTR farebbe richiamo ad ulteriori irregolarità indicate nel p.v.c. (mancata esibizione delle distinte inventariali, omessa indicazione analitica dei debiti e crediti, mancata produzione di elementi giustificativi per registrazioni imputate alla C.E.) estranee al recupero Iva e, comunque, con una motivazione abnorme e/o apparente, senza indicare le ragioni per le quali queste ultime giustificavano la asserita fittizietà della cessione del ramo d’azienda.
1.1.Il primo motivo è, in parte, inammissibile, in parte, infondato.
1.2.Le Sezioni Unite (Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053 e n. 8054) hanno affermato che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, di ‘motivazione apparente’, di ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’, di ‘motivazione perplessa ed obiettivamente inco mprensibile’. Dalla giurisprudenza di legittimit à è stato ulteriormente precisato che di ‘motivazione apparente’ può parlarsi laddove essa non renda ‘percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice ‘ (Cass., sez. U, 3/11/2016, n. 22232; Cass., sez. U, 5/04/2016, n. 16599). E’ stato pure affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica e che il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva (Cass., sez. 3, 30/05/2019, n. 14762; Cass., sez. 3, 08/10/2021, n. 27411; Cass., sez. 3, n. 35257 del 2023).
1.3.La motivazione della sentenza in questa sede impugnata- che, pur condividendo le conclusioni della pronuncia di primo grado (‘ dai documenti depositati agli atti del processo appaiono confermate le conclusioni cui era pervenuto il giudice di prime cure ‘) non si limita a riprodurre il contenuto di quest’ultima e, dunque, non concreta una motivazione c.d. per relationem – non è riconducibile ad una delle gravi anomalie argomentative individuate dagli arresti giurisprudenziali sopra richiamati, in quanto consente di ricostruire il
percorso logico-giuridico seguito dal giudice di appello e rende possibile il controllo sull’esattezza del ragionamento decisorio che ha condotto al rigetto dell’impugnazione. In particolare, la CTR ha confermato, per quanto ancora di interesse (non essendo controverso il recupero dei costi ai fini Ires e Irap come si evince dallo stesso ricorso, pag. 13), la legittimità della ripresa Iva, in relazione alle contestate vendite ‘occulte’ dei beni oggetto di conferimento di ramo d’azienda (e in particolare, del punto vendita di Somma Vesuviana, INDIRIZZO, a RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, per atto notaio COGNOME registrato in data 24.1.2013) essendo emersa, all’esito della indagine dei verificatori, la fittizietà della detta operazione; al riguardo, la ripresa dei maggiori ricavi non dichiarati era stata fondata, ex art. 39, comma 2, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, su numerose, ripetute incongruenze che, in considerazione della loro gravità e concordanza, avevano comprovato l’inattendibilità delle scritture contabili: 1) mancata esibizione di documentazione giustificativa delle merci; 2) incongrua rappresentazione nel bilancio di esercizio della realtà economica sottostante (come richiesto dall’art. 2423, comma 2, c.c.) essendo emersa una ‘ sostanziale continuità dell’attività commerciale di RAGIONE_SOCIALE nell’unità locale che avrebbe dovuto formare oggetto dell’operazione di conferimento, come comprovato anche dalla deduzione da parte della stessa di costi di energia elettrica e degli affitti passivi nello stesso punto vendita ‘, avendo la contribuente fornito sul punto ‘giustificazioni prive di sostanza’; 3) mancata esibizione delle distinte inventariali, omessa indicazione analitica dei debiti e crediti, mancata produzione di elementi giustificativi per registrazioni imputate alla C.E. in relazione alle quali ulteriori irregolarità, la contribuente ‘non aveva contrapposto valide e coerenti argomentazioni’. Pertanto, la CTR, lungi dal dedurre, in modo automatico dalla fittizietà/inesistenza del contratto di conferimento del ramo d’azienda, l’esistenza della cessione di merce , soggetta ad Iva, ha ritenuto legittima la ripresa, ai fini Iva, dei ricavi non dichiarati con riguardo alla vendita ‘ occulta ‘ di merci oggetto del ‘ conferimento ‘ in quanto basata, alla luce di una ricostruzione con metodo induttivo-puro, su gravi, numerose, reiterate incongruenze, e, principalmente, sulla ‘incongrua
rappresentazione nel bilancio di esercizio della realtà economica sottostante ‘ (come richiesto dall’art. 2423 comma 2, c.c.) , essendo emersa ‘ la sostanziale continuità dell’attività commerciale della società nell’unità locale oggetto dell’operazione di conferimento come comprovato anche dalla deduzione della parte stessa di costi sopportati per utenze e fitto passivo relativi allo stesso punto vendita ‘ ; tale incongruità unitamente ad altre irregolarità contabili riscontrate (mancata esibizione di documentazione giustificativa della merce; mancata esibizione delle distinte inventariali, omessa indicazione analitica dei debiti e crediti, mancata produzione di elementi giustificativi per registrazioni imputate alla C.E)- stimate tutte gravi e concordanti, in base ad un apprezzamento di merito insindacabile in questa sedeavvalorava la tesi della fittizietà dell’atto di conferimento del ramo di azienda con finalitàcome contestato dall’Ufficio -‘ esclusivamente evasive tese a diminuire artatamente il valore contabile di magazzino in conseguenza di vendite in evasione d’imposta conseguite dalla società verificata, nell’anno 2013 , transitate a ricavo ma mai sottoposte ad imposta sul valore aggiunto ‘ (v. stralcio del p.v.c. riprodotto in ricorso pag. 12). Peraltro, la CTR- dopo avere richiamato le deduzioni di RAGIONE_SOCIALE in ordine al l’avvenuto pagamento dei canoni di locazione e delle utenze relative ai locali oggetto di ‘conferimento’ in assenza di regolare voltura) ha ritenuto – con un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità-‘ prive di sostanza’ le argomentazioni svolte dalla contribuente in ordine alla non fittizietà dell’atto di conferimento di azienda; né il giudice del merito deve dare conto di ogni allegazione, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti non espressamente esaminati (Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123).
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/92 in relazione al motivo di appello riferito all’assunta violazione dell’art. 2 del d.P.R.
n. 633/72 per avere la CTR, con una motivazione apparente, affermato che , ‘ in assenza delle condizioni del trasferimento di un complesso autonomo aziendale, il trasferimento di beni e/o merci non poteva che rientrare tra le cessioni a titolo oneroso ex art. 21 del d.P.R. n. 633/72 ‘ senza spiegare, a fronte delle argomentazioni addotte dalla contribuente, le ragioni per le quali il ramo d’azienda trasferito non costituiva ‘un complesso autonomo aziendale’.
2.1.Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi .
2.2.Premesso che, come da questa Corte più volte affermato, in tema di distinzione tra assoggettabilità ad imposta di registro della cessione d’azienda e assoggettabilità ad IVA della cessione di singoli beni, in presenza di una cessione di beni atti, nel loro complesso e nel loro collegamento, all’esercizio d’impresa, si deve ravvisare una cessione d’azienda soggetta ad imposta di registro, mentre solo la cessione di singoli beni, inidonei di per sé ad integrare la potenzialità produttiva propria dell’impresa, deve essere assoggettata ad IVA (Cass. n. 897 del 25/01/2002; Cass. n. 23857 del 19/11/2007; Cass. n. 1405 del 22/01/2013; Cass. n. 10740 del 08/05/2013); la cessione di azienda si ha anche nel caso in cui i beni ceduti nella loro complessità siano potenzialmente utilizzabili per attività d’impresa, senza che abbia rilievo il requisito «dell’attualità dell’esercizio dell’impresa né la mancata cessione delle relazioni finanziarie, commerciali e personali» (Cass. n. 9162 del 16/04/2010; Cass. n. 27290 del 17/11/2017); in particolare, non occorre che la cessione riguardi la totalità dei beni aziendali o di un determinato ramo aziendale, essendo sufficiente che il complesso degli elementi trasferiti conservi un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all’esercizio dell’impresa, dovendo comunque trattarsi di un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa ( ex multis , Cass. n. 22710 del 25/09/2018; n. 34858 del 17/11/2021; n. 22327 del 15/07/2022; Cass., sez. 5, n. 26716 del 2023), nella specie, il giudice di appello ha disatteso il motivo di gravame relativo all’assunta violazione dell’art. 2 del d.P.R. n. 633/72 per non essere la cessione del ramo di azienda soggetta ad Iva, in quanto, alla
luce delle risultanze del p.v.c., erano emerse numerose e reiterate, gravi e concordanti incongruenze e/ irregolarità contabili (1. mancata esibizione di documentazione giustificativa delle merci; 2. incongrua rappresentazione nel bilancio di esercizio della realtà economica sottostante come richiesto dall’art. 2423, comma 2, c.c; 3. mancata esibizione delle distinte inventariali, omessa indicazione analitica dei debiti e crediti, mancata produzione di elementi giustificativi per registrazioni imputate alla C.E.) atte – in base ad un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità – a confortare la tesi della fittizietà dell’operazione di conferimento per cui ‘ in assenza delle condizioni del trasferimento di un complesso autonomo aziendale, il trasferimento di beni e/o merci non poteva che rientrare tra le cessioni a titolo oneroso ex art. 21 del d.P.R. n. 633/72 ‘.
Con il terzo motivo si denuncia: 1) in relazione all’art. 360, comma 1,n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR- nel richiamare la decisione di prime cure che aveva riqualificato l’operazione di conferimento d’azienda in cessione di beni soggetta ad imposta, in quanto l’operazione celava un intento elusivo ecceduto il thema decidendum in quanto l’Agenzia non aveva applicato la disciplina antiabuso ma aveva considerato fittizio il conferimento di ramo d’azienda; 2) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 10 bis della legge 212/2000 in quanto la contestazione di indebiti vantaggi, nel caso di cessione della merce in evasione di Iva, sarebbe dovuta avvenire da parte dell’Agenzia con la procedura prevista per la disciplina antiabuso prevista dall’art. 10bis della legge n. 212 /2000.
3.1.Il motivo si profila- con riguardo ad entrambe le sub censure prospettateinammissibile.
3.2. In primo luogo, la prima sub censura relativa all’assunto vizio di extrapetizione non coglie la ratio decidendi atteso che il giudice di appello, pur confermando le ‘conclusioni’ della decisione di primo grado ( dai documenti depositati agli atti del processo appaiono confermate le conclusioni cui era pervenuto il giudice di prime cure ‘), lungi dal motivare per relationem al
contenuto della decisione di primo grado (facendo riferimento ad una assunta riqualificazione del conferimento d’azienda in cessione di beni per il carattere elusivo dell’operazione) , ha ritenuto legittima la ripresa Iva in relazione alle contestate cessioni ‘occulte’ di beni oggetto di conferimento stante -conformemente alle contestazioni mosse nel p.v.c.l’emerso carattere ‘fittizio’ -alla luce delle numerose, reiterate e gravi incongruenze/ irregolarità contabilidell’operazione di cessione di ramo d’ azienda.
3.3. Inammissibile si configura anche l’altra sub censura in quanto si risolve in un non motivo non aggredendo alcuna specifica statuizione della sentenza impugnata; invero, in base all’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il “decisum” della sentenza gravata (così ad es. sez. 5 n. 17125 del 2007 e sez. 1 n. 4036 del 2011). In altri termini, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi della citata disposizione (così così Cass., sez. 5, n. 37402 del 2021; Cass., sez. 5, n. 21296 del 2016; Sez. 6 – 5, n. 187 del 08/01/2014; Sez. 5, n. 17125 del 03/08/2007; sez. 3, n. 359 del 2005 e altre).
4.In conclusione, il ricorso va rigettato.
5.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 5.800,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 9 ottobre 2024