Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18577 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18577 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, in persona del legale rappresentante, con l’ avv. NOME COGNOME;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ; – controricorrente –
Avverso la sentenza n. 8373/18 resa dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio e depositata in data 29 novembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME con cui è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RILEVATO CHE:
1.Con apposito avviso l’Agenzia accertava , a carico della RAGIONE_SOCIALE, maggior imposta relativamente all’anno 2008, in particolare sulla base del rilievo di un’operazione elusiva costituita dalla deduzione degli interessi passivi (per l’anno in questione €
CONDOTTA ABUSIVA INTERESSI PASSIVI
6.043.251,00), al saggio deliberato dalla RAGIONE_SOCIALE (poi fusa per incorporazione nell’odierna ricorrente), pari a cinque punti in più di quello legale, da corrispondersi ai propri soci finanziatori per l’acquisto delle quote della RAGIONE_SOCIALE, possedute dai medesimi soci, società poi fusa nella stessa Nuova Gallia. Veniva dedotto che non solo l’operazione (giustificata al fine di ridurre i costi di gestione e consentire l’emersione dei valori dei beni) ben avrebbe potuto essere realizzata attraverso una semplice fusione senza passaggio di cessione delle quote, ma altresì che, a detta dello stesso socio NOME COGNOME gli interessi dedotti neppure venivano corrisposti ai soci.
Ancora, se la società RAGIONE_SOCIALE dopo l’inizio delle operazioni di verifica, procedeva ad aumentare l’entità dei redditi dichiarati, mediante dichiarazione integrativa sull’anno in oggetto, ma formulata e depositata nel 2011, la stessa compensava l’aumento suddetto con la deduzione di maggiori ammortamenti sugli immobili, comprensiva del disavanzo di fusione. L’ Agenzia delle entrate, però, disconosceva tale diminuzione del reddito, in quanto la contribuente non aveva dimostrato che il maggior valore di partecipazione, che avrebbe generato il suddetto disavanzo di fusione, fosse stato a suo tempo tassato in capo ai cedenti delle quote.
La CTP respingeva il ricorso riconoscendo la natura abusiva dell’operazione e la CTR confermava con la sentenza richiamata in epigrafe – la pronuncia di primo grado.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo ; l’Agenzia delle entrate ha resistito a mezzo di controricorso.
La ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, sostenendo che
erroneamente i giudici di secondo grado avrebbero identificato nella sua condotta complessiva un comportamento abusivo.
Si assume che la stessa avrebbe dimostrato la sussistenza di valide ragioni economiche, gestionali e finanziarie. In particolare, un’unica società rappresentava un maggior valore per la presenza di elementi attivi con importante redditività, con aumento del rating presso gli istituti di credito.
Sarebbero poi stati ridotti i costi del personale, i due alberghi trovandosi nella medesima realtà locale, nonché l’accorpamento dei contratti per utenze, il tutto per il tramite del meccanismo appositamente disciplinato dall’art. 2501 -bis cod. civ.
Inoltre, la società avrebbe con l’operazione in parola escluso il rischio di recesso di un socio con i conseguenti aggravi.
Il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.
La prima parte della censura si profila inammissibile perché è basata su una lettura alternativa degli elementi di merito rilevanti e, dunque, si risolve nella sollecitazione di una rivisitazione dell’accertamento in fatto adeguatamente compiuto dalla CTR, come tale insindacabile nella presente sede di legittimità.
Con essa, come ricordato sopra, si chiede di valorizzare elementi -la volontà di ridurre costi di gestione come personale e utenze, nonché evitare l’esercizio del diritto di recesso di un socio – la cui rilevanza non è stata ritenuta fondante dalla CTR, che ha invece ritenuto assorbente il fatto che l’indebitamento era effettuato nei confronti dei soci, senza corresponsione ai medesimi di interessi e, tra l’altro , con un elevato tasso ultralegale fissato unilateralmente dalla società debitrice.
In ogni modo neppure può ritenersi che quelli allegati costituissero la deduzione di effettivo interesse economico in quanto, oltre che essere caratterizzati da estrema genericità (neppure colorata da effettivo riscontro fattuale circa l’attuazione delle relative indicazioni, benché le operazioni fossero state poste in essere nel
2002 e la verifica avvenne nel 2011), essi sono anche in parte del tutto ipotetici ed inverosimili. Basti porre riferimento all’allegata esigenza di evitare il rischio di recesso del socio in occasione della fusione, laddove si ponga mente al fatto -già rimarcato -che i soci della RAGIONE_SOCIALE e quelli della Nuova Gallia non solo erano gli stessi, ma erano padre, madre e figlia, che, come dimostra l’operazione , hanno sempre agito di conserva.
Né, in punto di diritto, può in proposito allegarsi, a riprova della ammissibilità dell’operazione, il fatto che il leveraged buy out costituisca di per sé un’operazione lecita, tanto da essere oggetto del disposto di cui all’art. 2501 bis cod. civ., poiché appunto l’essenza dell’abuso del diritto consiste nell’utilizzo di strumenti leciti per conseguire un fine che tale non è.
Ora nella specie la CTR non ha affatto affermato l’illiceità in sé di siffatte operazioni, ma ha rilevato come quella in esame fosse operazione connotata da finalità esclusivamente elusiva, proprio in quanto il debito venne contratto nei confronti della stessa compagine sociale, senza corresponsione degli interessi invece imputati come componenti negative, con un tasso addirittura stabilito ad elevato livello proprio dal debitore.
A tal proposito ogni parallelismo con la fattispecie oggetto della sentenza di questa Sezione n. 868/2019 -come richiamata dalla ricorrente -non è pertinente, posto che, a tacer d’altro , nel caso in quella sede affrontato la provvista venne ottenuta attraverso il ricorso al credito bancario, laddove – come visto -nella vicenda qui in esame la connotazione abusiva ha preso origine essenzialmente dal fatto che il debito era stato contratto nei confronti dei soci, con la produzione delle ulteriori conseguenze che si sono descritte.
In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con aggravio di spese in capo alla ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo -da parte della ricorrente – di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-
quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio, liquidati in € 7 .500,00, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali, a carico della ricorrente, per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2025