Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19978 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19978 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22980/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO(NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.PUGLIA n. 2058/2016 depositata il 08/09/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il notaio NOME COGNOME impugnava due avvisi di accertamento aventi ad oggetto l’integrazione dell’imposta di registro : il primo avente ad oggetto una scrittura privata – concernente la cessione di ramo d’azienda dalla società RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE – la quale, contenendo una clausola risolutiva espressa veniva sottoposta ad imposta di registro proporzionale del 3%, anziché in misura fissa; il secondo atto impositivo applicava la predetta misura dell’imposta di registro con riferimento alla scrittura privata con la quale i due enti pervenivano ad una risoluzione bonaria del precedente contratto, anch’essa sottoposta ad imposta di registro proporzionale nella misura del 3%.
La professionista assumeva a fondamento del ricorso la sussistenza di una condizione sospensiva del contratto sottoposto al recupero di imposta, il cui mancato avverarsi aveva determinato lo scioglimento del rapporto contrattuale, per il mancato ottenimento delle autorizzazioni amministrative, con la conseguenza che nessuna rilevanza poteva assumere la clausola risolutiva espressa.
La C.T.P. di Foggia respingeva i ricorsi riuniti avverso i due atti impositivi.
Sull’appello della professionista, la Commissione tributaria regionale della Puglia accoglieva il ricorso rilevando che la scrittura era sottoposta a condizione sospensiva, in quanto la sua efficacia era subordinata all’avveramento di una condizione futura ed incerta e per questo tassabile in misura fissa, ai sensi dell’art. 27 T.U.R., aggiungendo che allorquando la condizione si verifica, l’evento deve essere denunciato all’ufficio il quale può riscuotere la
differenza tra l’imposta versata e quella dovuta. Aggiungeva, inoltre che, ai sensi dell’art. 28 T.U.R., la risoluzione del contratto è soggetta ad imposta in misura fissa quando dipende da clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso.
L’agenzia ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe svolgendo un unico motivo.
Replica con controricorso la contribuente.
MOTIVI DI DIRITTO
1 Con l’unico motivo, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod.proc.civ. , l’amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 21 d.P.R. n. 131/1986, nonché degli artt. 2, punto 1, 6 e 9 della tariffa allegata, parte prima, al predetto decreto; per non avere il decidente interpretato il contratto come produttivo di immediati effetti giuridici e soggetto ad imposta proporzionale per la presenza della clausola risolutiva espressa. Si insiste poi nell’affermare che anche la scrittura contenente la risoluzione contrattuale, in quanto non ancorata alla predetta clausola, deve essere assoggetta ad imposta proporzionale.
Si assume, in particolare, che l’interpretazione dei giudici di appello è errata avendo ritenuto prevalente la clausola contenente la condizione sospensiva su quella risolutiva espressa.
La censura non supera il vaglio di ammissibilità.
Ai fini della deduzione della violazione dei canoni ermeneutici non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, nel caso sub iudice nemmeno citate, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne sarebbe discostato (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). (Cass., 9 settembre 2022, n. 26557; Cass., 9 aprile 2021, n. 9461; Cass., 25 novembre 2019, n. 30686; Cass., 16 gennaio 2019, n. 873; Cass., 15 novembre 2017, n. 27136).
In ogni caso, ai fini della positiva conclusione della valutazione in sede di giudizio di legittimità non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione, Cass. n. 4178/2007), dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. 06/06/2013, n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010). Costituisce, inoltre, orientamento consolidato quello secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale (nella specie del contratto di agenzia) è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito (Cass. Sez. Un. n. 21216/2015 e da molte altre pronunzie conformi vedi, per tutte, Cass. n. 13641/2016), incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c., e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione).
Il motivo in esame non è stato formulato in conformità delle suddette indicazioni e, pertanto, si risolve nella mera e inammissibile contrapposizione di una diversa -più favorevole alla ricorrente -interpretazione del testo dei contratti tassati, perché in essi non sono individuate le specifiche modalità attraverso le quali si sarebbe consumata la denunziata violazione delle regole legali di interpretazione né è dedotta l’anomalia della motivazione oggi unicamente denunciabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., che è quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e che attiene all’esistenza della motivazione in sé -quale risulta dal testo della sentenza e
prescindendo dal confronto con le risultanze processuali -e si esaurisce nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili’, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’ (principio consolidato a partire da Cass. Sez. Un. 8053/2014).
Vale osservare, di poi, che la relativa formulazione non risulta conforme al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che, secondo quanto da ultimo precisato dalle Sezioni unite di questa Corte, comporta che, in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 cod.proc.civ., comma 2, n. 4, così come modificato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 cod.proc.civ., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726). Nella specie i suddetti adempimenti non sono stati rispettati con riguardo alle scritture private, diversamente tassate, che non risultano trascritte né allegate al ricorso. Difatti, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, si impone la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, e ciò ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento; il ricorso è dunque inammissibile se si riproduce solo in parte il suo contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 7 marzo 2007, n. 5273; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; nel senso, sostanzialmente
conforme, che ove venga fatta valere la inesatta interpretazione di una norma contrattuale, il ricorrente per cassazione è tenuto, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso, a riportare nello stesso il testo della fonte pattizia invocata, al fine di consentirne il controllo al giudice di legittimità, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative: Cass. 8 marzo 2019, n. 6735; Cass. 11 luglio 2007, n. 15489; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 8943/2020).
Segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio sostenute dalla controricorrente che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi , oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della