Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7951 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7951 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 128/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
NOME , elettivamente domiciliato in TORINO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. BOLOGNA n. 658/2022 depositata il 19/05/2022.
Udita la relazione svolta nel l’udienza pubblica del 05/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. NOME COGNOME per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con atto n. THQCODA00879/2016, notificato il 3.12.2016, per l’anno di imposta 2011, l’Agenzia delle entrate contestava a NOME COGNOME il concorso ex art. 9 d.lgs. n. 471/1997, nelle violazioni fiscali commesse da NOME COGNOME, amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE , contestate a quest’ultimo con accertamento n. THQ001D01624 allegato all’atto di contestazione sanzioni. In particolare, la società RAGIONE_SOCIALE, riconducibile al COGNOME, era risultata coinvolta in un processo di intermediazione illecita di manodopera, che aveva determinato evasioni fiscali e contributive.
2 . NOME COGNOME impugnava quest’atto, deducendo in primo luogo il difetto di motivazione e, nel merito, di non avere partecipato in alcun modo al disegno fraudolento posto in essere da RAGIONE_SOCIALE e, comunque, di non aver ricavato alcun ritorno economico dalle attività contestate.
3 . L’Agenzia delle entrate si costituiva, difendendo fondatezza e legittimità dell’atto, basato sulle dichiarazioni confessorie rese da NOME COGNOME che avevano trovato riscontro nelle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, intermediario della dichiarazione annuale IVA presentata da RAGIONE_SOCIALE, e dalle analoghe dichiarazioni del consulente del lavoro di RAGIONE_SOCIALE, dott. NOME COGNOME che avevano dichiarato di non avere mai conosciuto direttamente il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, e di avere avuto rapporti solo con COGNOME NOME.
Con sentenza n. 85/2018 la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Ravenna accoglieva il ricorso ed annullava l’atto impugnato.
5 . L’appello erariale veniva a sua volta rigettato, con la sentenza in epigrafe, dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR)
dell’Emilia Romagna, la quale osservava che l’atto si fondava esclusivamente sulle dichiarazioni rese da NOME COGNOME interessato ad attenuare in qualche modo la propria posizione processuale. Non vi erano, invece, riscontri precisi a chiari a tali dichiarazioni che, pur costituendo indizi, non assurgevano a rango di prova sufficiente.
Infatti, le dichiarazioni rese dal COGNOME e dal COGNOME non riscontravano né aggiungevano nulla al quadro probatorio, né provavano che il COGNOME fosse « l’ideatore del disegno frodatorio », potendo essere del tutto normale che i suddetti professionisti si relazionassero soltanto con il commercialista dell’impresa.
7 . Avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo. Resiste con controricorso il contribuente.
Con ordinanza interlocutoria n. 20153/2024 si è disposto rinvio per la trattazione congiunta con quelle iscritte RG n. 27121/2018, RG n. 27064/2018 e RG n. 27066/2018.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, 9 e 11 del d.lgs. 472/97 e degli artt. artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
1.1. Secondo l’Agenzia, la sentenza della CTP è censurabile per aver fatto malgoverno dei principi sanciti da codesta Suprema Corte in tema di presunzioni ed, in violazione di legge: da un lato, non aveva esaminato in maniera analitica tutti gli elementi indiziari portati dall’Ufficio, che non si limitavano alle dichiarazioni del COGNOME e dei due consulenti, e, dall’altro, non aveva considerato nel suo valore complessivo il quadro indiziario, manifestamente
incompatibile con l’asserita estraneità del COGNOME alla gestione della società e l’affermata inconsapevolezza dell’attività illecita posta in essere dal COGNOME. La Commissione si era limitata a considerare le dichiarazioni del COGNOME, che aveva disatteso sebbene queste fossero particolarmente attendibili, avendo un contenuto confessorio, ed avessero trovato conferma in una serie di elementi oggettivi.
Il motivo è ammissibile in quanto non tende a rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito ma muove specifiche censure di diritto lamentando la mancata osservanza delle regole attraverso le quali deve svolgersi il ragionamento presuntivo. Il motivo è altresì fondato.
3 Va premesso che il sistema sanzionatorio tributario di cui al decreto legislativo n. 473 del 1997 è caratterizzato, in ossequio ai principi di matrice penalistica e alla volontà di allineare il sistema sanzionatorio tributario alla disciplina generale sulle sanzioni amministrative di cui alla legge n. 689 del 1981, dalla «personalizzazione» della sanzione, rivolta a punire l’effettivo autore dell’illecito. La portata del principio di personalità è stata mitigata con l’introduzione dell’art. 7 del decreto-legge n. 269 del 2003 (recante « Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici »): mentre il legislatore del 1997 ha individuato quale soggetto responsabile per la sanzione amministrativa l’autore della violazione, l’art. 7, cit. ha modificato tale disciplina, prevedendo che « le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica », così ridimensionando il principio della personalità (art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 47 del 1997) secondo cui è la trasgressione materiale del precetto fiscale a innescare la reazione punitiva dell’ordinamento (e non il diretto beneficio ottenuto dal contribuente). Si legge specificamente nella
relazione illustrativa al disegno della legge di conversione del decreto-legge n. 269 del 2003 (n. 2518-Senato) che « L’art. 7 introduce il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie. L’articolo introduce disposizioni innovative rispetto al sistema sanzionatorio delineato dal D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. In deroga al principio della riferibilità della sanzione alla persona fisica, di cui all’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n.472/ 1997 e al principio di solidarietà, di cui all’art. 11 dello stesso Decreto legislativo, si prevede la responsabilità esclusiva della persona giuridica per la sanzione amministrativa allorché questa sia relativa al rapporto fiscale della stessa persona giuridica. In tal caso, quindi, è obbligato a sopportare l’onere della sanzione un soggetto diverso da quello che ha commesso l’illecito ».
3.1. Secondo orientamento consolidato di questa Corte, peraltro, l’applicazione dell’art. 7, d.l. n. 269/2003 presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico (società dotata di personalità giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore; viceversa, qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7, d.lgs. n. 269 del 2003 e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (Cass. n. 12334 del 2019; Cass. n. 29038 del 2021;
Cass., n. 10651 del 2022; Cass. n. 36037 del 2021; Cass. n. 25757 del 2020; Cass. n. 10975 del 2019).
3.2. Va precisato, inoltre, che la valutazione del perseguimento di un interesse diverso da quello societario e l’utilizzo strumentale della società per perseguire scopi personali o, comunque, diversi da quelli societari non richiede la dimostrazione che la società sia una mera fictio ovvero uno schema formale privo di risorse personali e/o reali e di operatività; si esclude, infatti, la configurabilità dell’istituto della simulazione in tema di società (v. Cass. n. 23231 del 2022) e si riconosce la deroga all’art. 7 cit. nella fattispecie di cui all’art. 37 comma 3 del d.P.R. n. 600 del 1973, che non distingue tra interposizione fittizia e reale ma richiede la prova, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, della gestione uti dominus dell’impresa e delle sue risorse finanziarie e dell’effettivo possesso del reddito del soggetto interposto (Cass. n. 23231 del 2022; Cass. n. 5276 del 2021; Cass. n. 11055 del 2021). Ricorrendo tale fattispecie, quindi, delle sanzioni formalmente ascrivibili all’ente collettivo interposto risponde anche la persona fisica interponente, in deroga alla previsione dell’art. 7 cit.
3.3. Va altresì considerato che recentemente questa Corte (Cass. n. 20697 del 2024; v. anche Cass. n. 21092 del 2024; Cass. n. 23172 del 2024; Cass. nn. 33994 e 33996 del 2024) ha affermato che l’art. 7 cit. «riguarda solo gli amministratori, i dipendenti ed i rappresentanti di società, associazioni od enti con personalità giuridica» , riguarda cioè solo le cd. figure interne, quali manager , dipendenti e funzionari esecutivi, non essendo stato abrogato l’istituto del concorso di persone nel reato ex art. 9 del d.lgs. n. 472/1997 ( v. anche Circolare Agenzia delle entrate, n. 28/E del 21 giugno 2004, pag. 14). ne sub b), disattendendo la opposta tesi che, valorizzando l’avverbio « esclusivamente » di cui alla lettera dell’art. 7 cit., pone le sanzioni amministrative
esclusivamente a carico della persona giuridica titolare del rapporto tributario escludendo ogni responsabilità delle persone fisiche, non solo dei soggetti legati all’ente da un rapporto organico ma anche dei terzi che possono essere chiamati in responsabilità quali concorrenti esterni ex art. 9 d.lgs. n. 472 del 1997 (v. Cass. n. 25284 del 2017; Cass., nn. 9448/9449/9450/9451 del 2020; Cass. n. 14364 del 2022; Cass. n.26057 del 2023).
3.4. Deve darsi continuità a questo orientamento, a cui la Corte è giunta sulla scorta delle seguenti considerazioni: a) si rileva, in primo luogo, la ratio dell’art. 7 della legge n. 269 del 2003, che è quella di concentrare le sanzioni amministrative fiscali esclusivamente in capo al contribuente (società dotata di personalità giuridica) che abbia tratto un effettivo vantaggio dalla violazione, spostando il carico sanzionatorio su quest’ultimo, ovvero sul beneficiario dell’illecito, con la conseguenza che la prevista deroga al regime generale di responsabilità personale deve intendersi necessariamente circoscritta alle persone fisiche titolari di un rapporto organico (di diritto o di fatto) all’ente contribuente e non passibile di applicazione estensiva, data l’eccezionalità della norma, all’ipotesi del concorso di persone, come si può desumere anche dal tenore letterale dell’art. 7 che, laddove indica « Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica », si riferisce proprio alla riferibilità alla persona giuridica contribuente del rapporto tributario e della violazione tributaria commessa, alludendo quindi al rapporto organico (di diritto o di fatto) tra la persona fisica che abbia agito e la persona giuridica contribuente, nel nome e per conto della quale si è operato; b) in questo senso, viene ridimensionato il carattere « inequivoco » dell’avverbio « esclusivamente », affermato dalla dottrina al fine di ricondurre le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale delle persone giuridiche soltanto a carico di queste ultime, optandosi per un’interpretazione sistematica della norma
che riconduca l’avverbio « esclusivamente » al contribuente persona giuridica, titolare del rapporto tributario cui è collegata la violazione tributaria commessa; c) si esclude che con la previsione di cui all’art. 7 cit. vengano scardinati i principi generali di personalità e causalità psichica dettati dal decreto legislativo n. 472 del 1997, segnatamente dall’art. 2, che stabilisce il principio della ‘personalità della sanzione’ prevedendo che la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione, dall’art. 4 del stesso decreto dettato in tema di imputabilità (« Non può essere assoggettato a sanzione chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere »), dall’art. 5 in tema di colpevolezza che dispone che « Delle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa », nonché dall’art. 8 che prevede il principio della intrasmissibilità della sanzione agli eredi, quale corollario del carattere personale della responsabilità; d) lo stesso art. 7, al comma 3, fa salve le disposizioni del decreto legislativo n. 472 del 1997, in quanto compatibili, e tra queste certamente rientra, per quanto rilevato, anche l’art. 9 che disciplina le ipotesi del concorso di persone, in coerenza, peraltro, con quanto espresso anche nella relazione illustrativa dell’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 ( Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 269/2003, Senato n. 2518), ove si legge che l’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 introduce disposizioni innovative rispetto al sistema sanzionatorio delineato dal decreto legislativo n. 472 del 1997, in deroga al principio della riferibilità della sanzione alla persona fisica, di cui all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997 e al principio di solidarietà, di cui all’art. 11 dello stesso decreto legislativo, prevedendo la responsabilità esclusiva della persona giuridica per la sanzione amministrativa allorché
questa sia relativa al rapporto fiscale della stessa persona giuridica; e) si rammentano ulteriori ragioni di ordine logico e sistematico, desunte dalle norme generali in materia di sanzioni tributarie, dettate dal decreto legislativo n. 472 del 1997, quali la disposizione sull’autore mediato ex art. 10 e l’art. 11 sulla responsabilità individuale del dipendente, rappresentante legale o negoziale o da un soggetto in rapporto organico con l’ente, dovendosi evitare un disparità di trattamento tra la posizione della persona fisica, soggetto terzo, che partecipa alla realizzazione della violazione con il titolare di un’impresa individuale e che risponde, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, secondo le comuni regole del concorso di persone, e la persona fisica, soggetto terzo che non dovrebbe rispondere delle violazioni commesse in concorso con la persona giuridica o, meglio, con l’autore della violazione, il quale, come tale, sfuggirebbe completamente ad ogni conseguenza sanzionatoria sul piano amministrativo tributario, in virtù della disposizione di cui all’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003.
3.5. Va altresì osservato che la responsabilità, a titolo di concorso, per le persone esterne è prevista dall’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 in presenza di quelli che, sulla base di quanto affermato nella dottrina penalistica, sono gli elementi costitutivi della responsabilità per concorso di persone nell’illecito tributario, ovvero la pluralità di agenti, la realizzazione dell’elemento oggettivo dell’illecito da parte di almeno uno degli agenti, il contributo causale del singolo concorrente alla realizzazione del fatto illecito, la volontà effettiva di cooperare alla commissione dell’illecito. Il legislatore tributario, dunque, con l’art. 9 (che ricalca la lettera dell’art. 110 cod. pen., oltre che dell’art. 5 della legge n. 689 del 1981), ha espressamente introdotto una norma specifica per la sanzionabilità del contributo del concorrente. La norma rende applicabile la sanzione a tutti coloro che offrono un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito
tributario, ivi compresi i soggetti che apportano un contributo comunque agevolatore (quindi un contributo atipico non conforme alla fattispecie punitiva) rispetto alla realizzazione collettiva dell’illecito tributario. La conseguenza, in tema di applicazione delle sanzioni, è che ciascun concorrente nella realizzazione della violazione soggiace alla sanzione per questa disposta.
3.6. Nel sistema definito dal d.lgs. n. 472 del 1997 è sempre la persona fisica che può essere soggetto attivo e autore materiale dell’illecito tributario e sono qualificati come illeciti anche quei comportamenti che non integrano appieno la condotta tipica prevista dalla norma sanzionatoria, pur traducendosi in un contributo causale alla loro realizzazione. Al riguardo, va evidenziato che il legislatore ha voluto ricondurre la responsabilità del concorrente nell’illecito tributario ai principi di personalità e causalità psichica dell’evento. Dunque, il concorrente nella realizzazione della violazione amministrativa è la persona fisica a cui è riferibile il ‘contributo causale’ che integra la violazione, ovvero il soggetto che abbia in concreto tenuto la condotta positiva o omissiva che abbia concorso, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale, a realizzare l’infrazione. È importante puntualizzare, in proposito, che tale contributo posto in essere dal concorrente ha una sua autonomia sia rispetto alla condotta posta in essere dall’autore della violazione (ossia la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione), sia rispetto all’obbligazione del corresponsabile solidale. In conclusione, il soggetto attivo dell’illecito tributario, cui è riferibile l’azione o l’omissione che ha determinato la violazione, deve essere identificato in chi materialmente ha posto in essere la violazione tributaria a mezzo di una condotta commissiva od omissiva, ma ciò non esclude l’eventuale concorso morale o materiale di altre persone fisiche, che sono soggetti autonomamente sanzionabili a titolo di concorso di persone ex art. 9 del d. lgs. n. 472 del 1997,
nel qual caso ciascuna di esse dovrà soggiacere alla sanzione, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge (così nella seconda parte dell’art. 9 citato, quando la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti). L’art. 9, contemplando il concorso di persone, recepisce, per quanto già rilevato, i principi fissati in materia dal codice penale, rendendo così applicabile la sanzione non soltanto all’autore, o ai coautori, della violazione tributaria, ma anche a coloro che abbiano comunque dato un contributo causale, anche se esclusivamente sul piano psichico. La sanzione è applicabile a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito tributario, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato e sempre che sussista nei singoli partecipi la consapevolezza del collegamento finalistico dei vari atti, cioè la coscienza e volontà di portare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito tributario. In conclusione, i soggetti terzi (come nel caso in esame, il commercialista) sono sanzionabili in via amministrativa a titolo di concorso ai sensi dell’art. 9 del d. lgs. n. 472 del 1997, nelle violazioni relative al rapporto fiscale proprio di società con personalità giuridica anche dopo l’entrata in vigore del d. l. n. 269 del 2003.
3.7. Se il concorso di persone terze nelle violazioni tributarie relative alle società con personalità giuridica è sanzionabile per il contributo materiale e psicologico offerto nella realizzazione dell’illecito, si deve prescindere dal conseguimento da parte del terzo di un personale effettivo vantaggio economico (v. Cass. n. 20697 del 2024; Cass. nn. 33994 e 33996 del 2024), cosicché deve essere disatteso il diverso orientamento espresso da questa Corte, nella sentenza n. 23229 del 2024, che richiede, per l’applicabilità dell’art. 9 cit., che il concorrente « tenga una condotta finalizzata al raggiungimento di un autonomo beneficio (..) un quid
pluris, cioè di benefici che vadano ben oltre il corrispettivo della propria prestazione, traducendosi in altri termini non già in una mera prestazione al servizio di un committente, ma in una diretta e comune finalità di concorso nell’attuazione di condotte soggettivamente intese a ottenere vantaggi economici non spettanti, mediante il compimento di illeciti fiscali». Tale orientamento, secondo cui il consulente risponde a titolo di concorso « se non si sia limitato a svolgere le sue tipiche funzioni professionali, ma, attraverso le sue capacità tecniche, abbia condiviso, o coinvolto, la società nel compimento di condotte illecite, tese a ottenere vantaggi economici non spettanti » altera i principi generali sopra riportati, accomunando, in sostanza, l’ extraneus a colui che, in forza di un rapporto organico con l’ente, abbia tenuto una condotta diretta al conseguimento di benefici per la sola società e ponendo un’ulteriore restrizione nella disciplina delle sanzioni in materia di enti con personalità giuridica, cioè proprio nel settore di maggior rilievo sul piano economico e quindi fiscale, che non trova un preciso fondamento normativo. Deve escludersi, pertanto, la necessità di provare il conseguimento da parte del consulente di un vantaggio o un profitto personale dagli illeciti fiscali oltre il compenso professionale, che non assurge ad elemento costitutivo della fattispecie ma può valere soltanto quale elemento indiziario, ma non unico, comprovante la ricorrenza del concorso.
Passando alle specifiche censure, è noto che il ragionamento presuntivo deve essere condotto secondo il modello “atomistico-analitico”, che prevede il rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e la successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza (Cass. n. 18327 del 2023). Il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e
concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi (Cass. n. 9054 del 2022). Invero, « in tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi
acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento » (Cass. 29402 del 2021; Cass. n. 9059 del 2018; conf. Cass. n. 27410 del 2019; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017).
4.1. Inoltre, come costantemente ribadito dalla Corte, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio dell’Ufficio, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 22231 del 2022; Cass. n. 13807 del 2019; Cass. n. 4168 del 2018; Cass. n. 17833 del 2017; Cass. n. 25129 del 2016; già Sez. U. n. 9961 del 1996). Va altresì tenuto presente che in tema di processo tributario, tanto al contribuente quanto all’Amministrazione finanziaria è riconosciuta, in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti ex art. 111 Cost., la possibilità di introdurre nel giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale -e, di conseguenza, dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà -, le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, senza che ciò comporti il venir meno del potere-dovere del giudice tributario di valutare l’attendibilità del contenuto delle dichiarazioni, secondo il principio della libera valutazione delle prove, confrontando le propalazioni raccolte e valutando la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi e oggettivi, come la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con eventuali altri
elementi acquisiti (Cass. n. 28022 del 2024; Cass. n. 22302 del 2022; Cass. n. 29757 del 2018).
4.2. La CTR non ha seguito questi principi essendosi limitata ad esaminare singoli elementi indiziari offerti dall’Amministrazione omettendo la valutazione complessiva degli stessi che offrono un quadro incompatibile con l’asserita estraneità del COGNOME alla gestione della RAGIONE_SOCIALE. Spiccano, in particolare, le dichiarazioni del COGNOME da cui emerge il ruolo attivo del COGNOME, il quale aveva messo a disposizione le sue competenze e conoscenze, consigliando le modalità di svolgimento dell’attività attraverso lo schermo della società di capitali unipersonale, individuando la figura del prestanome e curandone poi la sostituzione, predisponendo materialmente gli atti societari. La CTR non ha dato credito al COGNOME, ritenendo che costui mirasse ad alleggerire la sua posizione, ma non ha considerato che si trattava di dichiarazioni di contenuto confessorio che avevano trovato elementi di riscontro: non solo il consulente del lavoro NOME COGNOME e il consulente fiscale NOME COGNOME avevano confermato il coinvolgimento del COGNOME nell’attività della RAGIONE_SOCIALE (« Non ho mai avuto contatti diretti con la società RAGIONE_SOCIALE in quanto per tutte le informazioni nonché la documentazione necessarie per l’effettuazione della consulenza mi sono state fornite dal summenzionato Dr. NOME COGNOME», così il COGNOME ) ma presso lo studio del controricorrente i militari della Guardia di finanza avevano rinvenuto copie di due contratti di appalto relativi alla ditta RAGIONE_SOCIALE di Montagna Giuseppe e alla ditta RAGIONE_SOCIALE considerati fittizi dall’Ufficio e rientranti nella frode accertata.
Conclusivamente, accolto il motivo e cassata di conseguenza la sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata al giudice del merito.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado dell’Emilia Romagna che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 05/12/2024.