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Concorso del professionista: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33996/2024, ha stabilito che un professionista, come un commercialista, può essere sanzionato per il concorso nelle violazioni tributarie di una società cliente. La Corte ha chiarito che la norma che concentra le sanzioni sulla sola persona giuridica non esclude la responsabilità di terzi esterni che contribuiscono all’illecito. La sentenza sottolinea l’importanza di una valutazione globale e non frammentaria delle prove indiziarie per dimostrare il concorso del professionista, ribaltando la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità del commercialista per mancanza di prova di un ruolo attivo e di un vantaggio economico diretto.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Concorso del professionista: quando il commercialista risponde delle frodi fiscali del cliente

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 33996 del 2024 affronta un tema cruciale per tutti i professionisti che operano in ambito fiscale: i limiti e le condizioni della loro responsabilità in caso di illeciti tributari commessi dalle società clienti. La pronuncia chiarisce la piena compatibilità tra la norma che imputa le sanzioni alla sola persona giuridica e l’istituto del concorso del professionista, stabilendo che quest’ultimo può essere sanzionato per il suo contributo, materiale o psicologico, alla violazione, anche senza un vantaggio economico diretto. Approfondiamo i dettagli del caso e le importanti conclusioni dei giudici.

I fatti del caso: un commercialista accusato di complicità

Il caso trae origine da una verifica della Polizia Finanziaria su una società a responsabilità limitata operante nel settore della meccanica generale. Le indagini hanno rivelato un complesso sistema di frodi fiscali per gli anni 2007-2009, orchestrato dall’amministratore di fatto della società. Le violazioni contestate includevano:

* Contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.
* Indebita compensazione di imposte e contributi tramite crediti IVA fittizi.
* Utilizzo della società come schermo e una successiva fusione illecita con una società statunitense per cancellarla dal registro delle imprese e limitare le responsabilità.

L’Agenzia delle Entrate, ritenendo il commercialista della società un coautore di tali illeciti, gli ha notificato un atto di contestazione delle sanzioni per concorso. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale ha annullato le sanzioni, sostenendo che non vi fosse prova di un ruolo attivo del professionista nella gestione fraudolenta e che, in ogni caso, le sanzioni amministrative dovessero ricadere esclusivamente sulla persona giuridica. L’Agenzia ha quindi proposto ricorso per cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza regionale e rinviando la causa a un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno ritenuto errata l’interpretazione dei giudici di merito su due profili fondamentali: l’applicabilità del concorso di persone nell’illecito tributario e la metodologia di valutazione delle prove indiziarie.

La responsabilità per il concorso del professionista

Il primo punto nodale della sentenza riguarda la coesistenza dell’art. 7 del D.L. n. 269/2003 (che stabilisce la responsabilità esclusiva dell’ente per le sanzioni fiscali) e l’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997 (che disciplina il concorso di persone nella violazione). La Cassazione, allineandosi a un recente orientamento, ha affermato che le due norme sono perfettamente compatibili.

La regola della responsabilità esclusiva dell’ente è una deroga al principio generale della personalità della sanzione ed è finalizzata a colpire il soggetto che ha beneficiato della violazione (la società). Tuttavia, questa deroga si applica solo alle persone fisiche che agiscono in un rapporto organico con l’ente (amministratori, rappresentanti). Non esclude, invece, la punibilità di soggetti terzi ed esterni, come il commercialista, che abbiano fornito un contributo causale, materiale o psicologico, alla commissione dell’illecito. In sostanza, la protezione non si estende ai complici esterni.

La valutazione della prova indiziaria

Il secondo errore censurato dalla Corte riguarda il modo in cui i giudici di merito hanno valutato gli elementi di prova. La Commissione Regionale aveva analizzato ogni indizio (dichiarazioni di un dipendente, documenti bancari, la cessione di quote avvenuta subito dopo la rinuncia all’incarico) in modo isolato e frammentario, concludendo che nessuno di essi fosse, da solo, sufficiente a provare il coinvolgimento attivo del commercialista.

La Cassazione ha ribadito che la prova per presunzioni richiede un procedimento logico diverso: prima un’analisi per conservare gli indizi dotati di potenziale probatorio, poi una valutazione complessiva e sintetica per verificare se, combinati tra loro, formino un quadro grave, preciso e concordante. La decisione di merito è stata giudicata illegittima perché ha omesso questa valutazione globale, che avrebbe potuto far emergere la responsabilità del professionista dalla convergenza dei vari elementi indiziari.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di bilanciare due principi. Da un lato, la volontà del legislatore del 2003 di concentrare la sanzione sul patrimonio dell’ente che trae vantaggio dall’illecito fiscale. Dall’altro, il principio fondamentale, derivato dal diritto penale, secondo cui chiunque concorre a commettere un illecito deve risponderne. La Corte ha chiarito che il perimetro della prima regola è limitato ai soggetti interni all’ente, mentre la seconda regola si applica pienamente ai terzi esterni.

Inoltre, la Corte ha specificato che per configurare il concorso del professionista non è necessario dimostrare che egli abbia conseguito un vantaggio economico ulteriore rispetto al suo compenso professionale. È sufficiente la prova di un contributo consapevole alla realizzazione dell’illecito. Questo principio supera orientamenti precedenti che richiedevano un ‘quid pluris’ per distinguere la consulenza legittima dalla complicità.

Infine, sul piano probatorio, la Corte ha riaffermato l’importanza del corretto utilizzo della prova presuntiva (artt. 2727 e 2729 c.c.), che impone al giudice di non parcellizzare gli indizi ma di leggerli in un’ottica unitaria, per non disperderne la forza probatoria complessiva.

Le conclusioni

La sentenza n. 33996/2024 rappresenta un monito importante per i professionisti del settore fiscale e contabile. La Cassazione ha tracciato una linea netta: il ruolo di consulente non offre un’immunità automatica dalla responsabilità per le frodi commesse dai clienti. Se il professionista, con la sua condotta, fornisce un contributo causale alla violazione, può essere chiamato a risponderne a titolo di concorso, indipendentemente da un profitto diretto. La decisione sottolinea anche il rigore con cui le prove indiziarie devono essere valutate dai giudici, promuovendo un approccio globale che valorizzi la coerenza logica dell’intero quadro probatorio fornito dall’amministrazione finanziaria.

Un commercialista può essere sanzionato per le violazioni fiscali commesse da una sua società cliente?
Sì. Secondo la sentenza, la norma che prevede la responsabilità esclusiva della persona giuridica non esclude la sanzionabilità di un terzo esterno, come il commercialista, che concorre alla realizzazione dell’illecito ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 472/1997.

Per configurare il concorso del professionista, è necessario che abbia ricevuto un vantaggio economico oltre al suo onorario?
No. La Corte ha chiarito che il concorso di persone terze nelle violazioni tributarie è sanzionabile per il contributo materiale e psicologico offerto, a prescindere dal conseguimento da parte del terzo di un personale ed effettivo vantaggio economico.

Come deve essere valutata la prova del coinvolgimento del professionista?
La prova, specialmente se basata su indizi (prova presuntiva), deve essere valutata in modo complessivo e non frammentario. Il giudice deve analizzare tutti gli elementi indiziari nel loro insieme per verificare se questi siano concordanti e in grado di fornire una valida prova del coinvolgimento, anche se singolarmente potrebbero apparire deboli.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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