Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33994 Anno 2024
Oggetto: Tributi
2009-2010
Sanzioni amministrative
tributarie; art.7 del decreto-
legge n. 269 del 2003; art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997l d.l. n. 269/2003- commercialista
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33994 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso iscritto al numero 27064 del ruolo generale dell’anno 2018, proposto
Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
Contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale su foglio separato in calce al controricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME e dall’Avv.to
NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
;
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna n. 562/11/2018, depositata in data 19 febbraio 2018, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 dicembre 2024 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Uditi per l’Agenzia delle entrate l’Avv.to dello Stato NOME COGNOME e per il contribuente l’Avv.to NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La controversia attiene all’impugnativa degli atti di contestazione sanzioni THBCOCE02329/2015 e THBCOCE02331/2015, per gli anni 2009-2010, emessi, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 472/97, nei confronti di NOME COGNOME quale commercialista di RAGIONE_SOCIALE, assunto coautore delle violazioni contestate alla società e in concorso con NOME COGNOME in qualità di interponente ex art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73 e amministratore di fatto della detta società asseritamente interposta.
2.L’atto di contestazione traeva origine da un’attività ispettiva iniziata con indagini finanziarie svolte nei confronti della ditta RAGIONE_SOCIALE (emittente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE di fatture per operazioni inesistenti) e proseguita dalla Guardia di Finanza di Ravenna nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, conclusasi con p.v.c. del 28 aprile 2015 dal quale emergeva, attraverso l’operato dell’amministratore di fatto COGNOME COGNOME e del commercialista NOME COGNOME, l’emissione e l’utilizzo di fatture per operaz ioni inesistenti da parte della società, al fine della creazione di crediti Iva fittizi da utilizzare per compensare indebitamente
imposte e contributi. Dal controllo effettuato in capo a RAGIONE_SOCIALE, emergeva, altresì, la modifica, in poco meno di due anni, della compagine sociale (il rappresentante legale NOME COGNOME cedeva, il 12.5.2010, le proprie quote a NOME COGNOME il quale, a sua volta, cedeva le proprie quote in data 18.7.2011 a NOME COGNOME, di nazionalità rumena) e, dunque, la fittizietà dello strumento societario utilizzato al fine di evadere il fisco attraverso l’occultamento delle scritture contabili e lo spostamento degli obblighi dichiarativi in capo a soggetti prestanome.
3.Avverso gli atti di contestazione delle sanzioni, NOME COGNOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bologna che, con sentenza n. 135/01/2017, lo rigettava.
4.La Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, con sentenza n. 562/11/2018, depositata il 19 febbraio 2018, accoglieva l’appello del contribuente.
5.In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) mancava la prova dell’assunzione da parte del commercialista COGNOME di un ruolo attivo nella gestione dell’impresa e di una corresponsabilità negli illeciti tributari contestati; in particolare, risultava che il COGNOME avesse trasmesso il Mod. Unico per la società soltanto relativamente al 2009, avendo, come sostenuto dallo stesso, interrotto di fatto la propria collaborazione già nel 2010 ancora prima della formale risoluzione del rapporto professionale nel 2011 in quanto, nonostante i solleciti, la società non aveva provveduto a consegnare la documentazione necessaria all’espletamento dell’incarico; dagli atti non emergeva che il COGNOME si fosse occupato di denunciare al fisco i crediti Iva o avesse mai inoltrato deleghe F24 avvalendosi di detti crediti per effettuare compensazioni con ritenute Irpef o contributi INPS e INAIL; le presunte indicazioni che il COGNOME avrebbe fornito al COGNOME per reperire il soggetto prestanome della società, destinatario della cessione delle quote sociali, erano fondate sulle dichiarazioni rese dallo stesso COGNOME, avente un interesse personale nella vicenda; i rapporti tra la ditta RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE che
apparivano reali, essendo quest’ultima pienamente operativa, risultavano essere stati gestiti direttamente dal COGNOME; 2) ‘ a prescindere dalle considerazioni svolte in ordine alla mancanza di prova del comportamento illecito ascritto al commercialista’ , gli atti di contestazione apparivano erronei sotto il profilo della mancata applicazione dell’art. 7 del DL n. 269/2003, dovendo le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società con personalità giuridica ricadere esclusivamente a carico della persona giuridica; al riguardo, la deroga all’applicabilità dell’art. 7 cit. sussisteva soltanto nel caso in cui la persona giuridica fosse una mera fictio creata nell’esclusivo interesse della persona fisica, circostanza che, nel caso di specie, non era stata provata, non essendo emersi elementi a sostegno della tesi prospettata dall’Ufficio della natura simulata di RAGIONE_SOCIALE (rappresentando quest’ultima ‘ una realtà societaria effettivamente operativa ‘) e, dunque, dell’esistenza di un benefic io materiale delle violazioni contestate in capo a COGNOME, quale amministratore di fatto, nonché al commercialista COGNOME quale supposto coautore delle stesse, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 472/97; 3) non ricorrevano neanche i presupposti per la configurabilità in capo a COGNOME di una responsabilità ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472/97(peraltro non invocata dall’Ufficio) non risultando conseguito da quest’ultimo alcun vantaggio eco nomico per effetto degli illeciti fiscali ascritti a RAGIONE_SOCIALE avendo percepito per l’attività di consulenza svolta nel 2009 soltanto il proprio compenso professionale.
6.Avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
7.Resiste, con controricorso, il contribuente.
Il contribuente ha depositato istanza di trattazione in pubblica udienza e riunione ai procedimenti recanti R.G. n. 27066/2018 e R.G. n. 128/2023.
9 .All’udienza del 18.1.2024 l a causa veniva rinviata a nuovo ruolo per trattazione congiunta con i procedimenti R.G. n. 27066/2018 e R.G. n. 128/2023.
10. Il PG ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 7 del d.l. n. 269/2003, 5,9 e 11 del d.lgs. n. 472/97, 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73 per avere il giudice a quo ritenuto che la limitazione della responsabilità alla sola persona giuridica, prevista dall’art. 7 del d.l. n. 269/2003, operasse anche nell’ipotesi di concorso di persone nella violazione di norme tributarie, disciplinato dall’art. 9 del d.lgs. 18 dicemb re 1997, n. 472, laddove già un ‘interpretazione letterale della norma (che parla di ‘ rapporto fiscale ‘) deponeva per l’applicabilità dell’istituto nell’ambito dei rapporti interni società/legale rappresentante, con una piena compatibilità tra gli artt. 7 del d.l. n. 269/2003 e 9 del d.lgs. n. 472/97). In particolare, ad avviso della ricorrente, il giudice di appello avrebbe escluso erroneamente l’applicazione dell’art. 37, comma 3, cit. (in merito al ruolo del COGNOME), sebbene fosse irrilevante la circostanza della effettiva operatività della società, non coincidendo i concetti di società interposta e società non operativa stante la riferibilità dell’art. 37, comma 3 cit. , anche ai casi di interposizione reale. Peraltro, secondo l’Agenzia, la responsabilità a titolo di concorso nell’illecito tributario sarebbe configurabile anche nell’ipotesi in cui il professionista (nella specie, commercialista) non avesse tratto alcun profitto dalla sua realizzazione.
2. Con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c. per avere la CTR ritenuto che l’Ufficio non avesse provato il coinvolgimento di COGNOME nelle violazioni fiscali commesse dalla società senza valutare globalmente e reciprocamente gli elementi indiziari portati dall’Ufficio (dichiarazioni del Ravaglia ai militari verificatori circa la predisposizione anticipata da parte del COGNOME degli atti relativi alle operazioni di cessione delle quote societarie della RAGIONE_SOCIALE in vista del mutamento della compagine sociale; conoscenza del COGNOME NOME, legale rappresentante e supposto prestanome nella compagine sociale di RAGIONE_SOCIALE, da parte del COGNOME, essendo cliente storico dello studio del commercialista; ruolo del
COGNOME di depositario e intermediario di società riconducibili a COGNOME; individuazione ad opera del COGNOME del consulente del lavoro COGNOME NOME al fine della domiciliazione della CMI e degli adempimenti IMPS e INAIL; documentazione rinvenuta presso lo studio del COGNOME; cessione delle quote societarie in data 18.7.2011 e rinuncia al mandato professionale da parte del COGNOME in data 8.7.2011, soltanto 10 giorni prima della cessione delle quote societarie di CMI da COGNOME NOME al rumeno NOME COGNOME denotanti la partecipazione del COGNOME alla gestione della società e la sua consapevolezza dell’attività illecita posta in essere dal RAGIONE_SOCIALE attraverso la società interposta.
3.Nel caso in discussione le sanzioni sono state irrogate in quanto l’Ufficio aveva contestato a NOME COGNOME, commercialista di RAGIONE_SOCIALE, il concorso c.d. esterno -ex art. 9 del d.lgs. n. 472/1997 -nelle violazioni tributarie accertate nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME in qualità di interponente ex art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73 e amministratore di fatto della detta società interposta.
4.Nella sentenza impugnata la CTR ha fondato la decisione di annullamento degli atti di contestazione sostanzialmente su due rationes decidendi : 1) sulla ritenuta mancata prova dell’assunzione da parte del commercialista COGNOME di un ruolo attivo nella gestione dell’impresa e , dunque, di una sua corresponsabilità, quale coautore, negli illeciti tributari contestati (prima ratio decidendi aggredita con il secondo motivo di ricorso); 2) sulla ritenuta applicazione dell’art. 7 del DL n. 269/2003, dovendo le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società con personalità giuridica ricadere esclusivamente a carico della persona giuridica e non ricorrendo, nel caso di specie, l’ipotesi derogatoria della creazione della persona giuridica come mera fictio nell’interesse esclusivo della persona fisica, autrice della violazione; in particolare, non era sostanzialmente applica bile, nella fattispecie, l’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73, con riguardo all’amministratore di fatto COGNOME NOMECOGNOME quale assunto soggetto interponente, cui ascrivere la violazione fiscale della società della quale il COGNOME sarebbe stato corresponsabile ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 472/97, essendo
emersa l’operatività della RAGIONE_SOCIALE (‘ quale realtà societaria effettivamente operativa che gestiva concretamente le relazioni commerciali con i propri clienti e fornitori erogando prestazioni e servizi per mezzo del proprio personale ‘) e non essendo configurabile un beneficio materiale delle violazioni tributarie contestate in capo a COGNOME, quale amministratore di fatto, nonché al commercialista COGNOME quale supposto coautore delle stesse. (seconda ratio decidendi aggredita con il primo motivo di ricorso).
I motivi- da trattare congiuntamente per connessione- sono fondati.
5.1. Con riguardo al primo motivo di ricorso, vanno, in primo luogo, verificati i presupposti applicativi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997 e il rapporto di detta norma con l’art. 7 del decreto -legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 236 del 2003.
5.2. Come condivisibilmente affermato da questa Corte nella sentenza n. 20697 del 2024, « In tema di sanzioni amministrative, l’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 è norma compatibile con l’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, conv., con modif., dalla l. n. 326 del 2003, sicché è configurabile, nella sussistenza di tutti gli elementi costitutivi, il concorso di persone terze (nella specie, notaio) nelle violazioni tributarie relative alle società con personalità giuridica e la loro sanzionabilità per il contributo materiale e psicologico offerto nella realizzazione dell’illecito ».
5.3.Nella detta pronuncia si è precisato che, mentre in un primo momento il sistema sanzionatorio si è caratterizzato, in ossequio ai principi di matrice penalistica e alla volontà di allineare il sistema sanzionatorio tributario alla disciplina generale sulle sanzioni amministrative di cui alla legge n. 689 del 1981, per una «personalizzazione» della sanzione, rivolta a punire l’effettivo autore dell’illecito (decreto legislativo n. 473 del 1997), in un secondo momento, con il decreto-legge n. 269 del 2003, la portata del principio di personalità è stata mitigata, istituendo la responsabilità esclusiva degli enti dotati di personalità giuridica che traggono beneficio dal compimento della violazione del precetto fiscale (art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003). Più in particolare, il legislatore
del 1997, che ha dettato le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, in ossequio al principio di personalità di matrice penalistica, ha individuato quale soggetto responsabile per la sanzione amministrativa l’autore della violazione, mentre con l’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 (norma inserita in un decreto legge recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici»), tale disciplina è stata modificata, prevedendo che «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica», così ridimensionando il principio della personalità (art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 47 del 1997) secondo cui è la trasgressione materiale del precetto fiscale a innescare la reazione punitiva dell’ordinamento (e non il diretto beneficio ottenuto dal contribuente). Si legge specificamente nella relazione illustrativa al disegno della legge di conversione del decreto-legge n. 269 del 2003 (n. 2518Senato) che «L’art. 7 introduce il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie. L’articolo introduce disposizioni innovative rispetto al sistema sanzionatorio delineato dal D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. In deroga al principio della riferibilità della sanzione alla persona fisica, di cui all’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n.472/ 1997 e al principio di sol idarietà, di cui all’art. 11 dello stesso Decreto legislativo, si prevede la responsabilità esclusiva della persona giuridica per la sanzione amministrativa allorché questa sia relativa al rapporto fiscale della stessa persona giuridica. In tal caso, quind i, è obbligato a sopportare l’onere della sanzione un soggetto diverso da quello che ha commesso l’illecito». In tale contesto normativo, anche questa Corte si è posta la questione se l’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003, nell’innovare le regole dett ate dal decreto legislativo n. 472 del 1997, avesse definitivamente escluso l’esigibilità della sanzione dalla persona fisica, identificando nella compagine sociale l’unico soggetto passivo, quando dotato di personalità giuridica, e ciò soprattutto alla luce del fatto che il comma 3 del citato art. 7 prevede che «nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472,
si applicano in quanto compatibili». Nella sentenza n. 20697 del 2024 si è poi richiamato il condivisibile orientamento di questa Corte secondo cui «In materia di sanzioni amministrative tributarie vige il principio (mutuato dal diritto penale) della responsabilità personale dell’autore della violazione stabilito dall’art.2 comma 2 del d.lgs. n.472 del 1997, secondo cui “la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso la violazione”. In deroga a tale principio, nonché in deroga all’art.11 del d.lgs. n.472 del 1997 che prevede la responsabilità solidale delle società (con o senza personalità giuridica) nel cui interesse ha agito la persona fisica autrice della violazione, l’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge 326 del 2003, ha stabilito che ” le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società od enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica “. L’applicazione della norma eccezionale introdotta dal citato art. 7 presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico (società dotata di personalità giuridica) quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore; viceversa, qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito. Conferma tale conclusione l’art.11 del d.lgs. n.472 del 1997, il quale prevede la responsabilità solidale delle società senza personalità giuridica per le sanzioni amministrative irrogate a carico della persona fisica autrice della violazione, qualora la violazione sia stata commessa
“nell’interesse” della società rappresentata o amministrata; ciò significa, a contrariis , che qualora la persona fisica autrice della violazione non abbia agito nell’interesse della società, ma abbia perseguito un interesse proprio o comunque diverso da quello sociale, non sussiste la responsabilità solidale per le sanzioni amministrative della società priva di personalità giuridica, ed allo stesso modo non sussiste la responsabilità esclusiva della società dotata di personalità giuridica ex art. 7 d.l. n. 269 del 2003, ma trova applicazione la regola generale sulla responsabilità personale dell’autore della violazione commessa nell’interesse esclusivamente proprio » (cfr. per tutte Cass., 9 maggio 2019, n. 12334; nello stesso senso cfr. Cass., 29 ottobre 2021, n. 30755; Cass., 30 marzo 2021, n. 8811; Cass., 18 aprile 2019, n. 10975; Cass., 8 marzo 2017, n. 5924; Cass., 7 novembre 2018, n. 28331; Cass., 28 agosto 2013, n. 19716). Nella richiamata pronuncia, la Corte – dopo avere precisato la diversità della q uestione che concerne la compatibilità dell’art. 9 del d .lgs. n. 472 del 1997 con l’art. 7, comma 1, del d .l. n. 269 del 2003 -ha superato l’orientamento giurisprudenziale riguardante l ‘incompatibilità dell’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997 con l’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003, secondo il quale:1) l’esclusione del concorso sanzionabile di terzi concorrenti nella violazione della contribuente persona giuridica è fondata, sull’inequivoco dato testuale del ridetto art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003, il quale tanto nel titolo («Riferibilità esclusiva alla persona giuridica…»), quanto nel disposto («…sono esclusivamente a carico della persona giuridica…»), esprime in maniera chiara la volontà legislativa di riferire le sanzioni amministrative tributarie esclusivamente alla persona giuridica contribuente (in conformità alla dichiarata intenzione, espressa nella relazione governativa al decreto legge in questione, di superare, quanto meno per le strutture imprenditoriali complesse, lo schema personalistico di imputazione delle sanzioni previgente); 2) tale assunto trova conferma nella clausola di compatibilità di cui al terzo comma della stessa norma, sull’applicabilità del precedente art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, al fine di configurare il concorso di ulteriori soggetti nella stessa violazione, indipendentemente dalla sussistenza, o meno, di una loro relazione organica
(formale o fattuale) con la stessa persona giuridica; 3) non è rilevante l’ipotetica illegittimità costituzionale del trattamento deteriore che si assume riservato, per effetto del cosiddetto «doppio binario», ai terzi concorrenti «esterni» nelle violazioni commesse da una contribuente che non sia una persona giuridica, atteso che essa non potrebbe comunque giustificare un’interpretazione adeguatrice dell’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 che si risolvesse nell’estensione del ritenuto peggior trattamento anche a chi (come nel caso di specie) abbia concorso nelle violazioni tributarie di una persona giuridica, conducendo, in violazione del principio di legalità, alla creazione di una fattispecie di responsabilità che il legislatore ha, invece, espressamente escluso, limitandola esplicitamente alla sola contribuente dotata di personalità giuridica (Cass. ordinanze nn. 9448, 9449, 9450 e 9451 del 22 maggio 2020). Tale orientamento non è stato ritenuto condivisibile e ciò proprio sul presupposto che l’art. 7, comma 3, del decreto legge n. 269 del 2003, esige che l ‘ interprete ricerchi quali regole dettate dal decreto legislativo n. 472 del 1997 (di impronta personalistica) continuano ad essere applicabili alle persone fisiche, ovvero (per converso) quali norme del decreto legislativo n. 472 del 1997, non siano compat ibili con l’art. 7, primo comma, del decreto legge n. 269 del 2003 e, dunque, non operanti quando la sanzione fiscale colpisce una persona giuridica. In particolare, nella sentenza n. 20697 del 2024 si è ritenuto, contrariamente all’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato che esclude la compatibilità dell’art. 9 del decreto legislativo n, 472 del 1997 con l’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 e che, di conse guenza, riconduce l’operatività del concorso di persone nell’ambito degli enti privi di personalità giuridica, che siano legittimi gli atti di irrogazione delle sanzioni alle persone fisiche, che agiscano come soggetti esterni di enti dotati di personalit à giuridica, in applicazione dell’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, e ciò sulla base delle considerazioni che seguono. Si è, al riguardo, osservato: « Rileva, in primo luogo, la «ratio» dell’art. 7 della legge n. 269 del 2003, che è quella di concentrare le sanzioni amministrative fiscali esclusivamente in capo al contribuente (società giuridica) che abbia tratto un effettivo vantaggio dalla violazione, spostando il carico
sanzionatorio su quest’ultimo, ovvero sul beneficiario dell’illecito, con la conseguenza che la prevista deroga al regime generale di responsabilità personale deve intendersi necessariamente circoscritta alle persone fisiche titolari di un rapporto organic o (di diritto o di fatto) all’ente contribuente e non passibile di applicazione estensiva, data l’eccezionalità della norma, all’ipotesi del concorso di persone. E’ soltanto la persona fisica con ruoli di rappresentanza della persona giuridica che viene esclusa da tale forma di responsabilità. A riscontro di ciò rileva anche il tenore letterale della norma, laddove statuisce che «Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica», che esclude l’applicabilità delle sanzioni soltanto relativamente alle persone fisiche titolari di organi della stessa società contribuente, con personalità giuridica, che abbiano materialmente commesso violazione dalla quale quest’ultima ha tratto vantaggio e, dunque, le persone fisiche che, tramite il rapporto organico (di diritto o di fatto), si immedesimano nella persona giuridica contribuente, nel nome e per conto della quale operano; così deve essere spiegata, contrariamente a quanto affermato dalla dottrina, la rilevanza del «rapporto fiscale» richiamato dall’inequivoco dettato normativo, la cui funzione testuale è, quindi, quella di porre l’attenzione sulla riferibilità alla persona giuridica contribuente della violazione tributaria commessa, indiscussa in capo a quest’ultima la titolarità del rapporto tributario a cui è correlata la violazione tributaria, apparendo «eccessivo» volere ricondurre al legislatore, con il richiamo del rapporto fiscale, la volontà di fissare (addirittura) un criterio legale che non differenzi i concorrenti «interni non punibili» da quelli «esterni sanzionabili»; non vi è, dunque, ragione, in base al dato testuale richiamato, di escludere anche le persone fisiche che, non agendo in nome e per conto della persona giuridica, abbiano comunque concorso alla realizzazione della violazione tributaria, in virtù di un rapporto, con la persona giuridica, diverso da quello di immedesimazione organica (di diritto o di fatto), in applicazione dell’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, per il quale «Quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta». Allo stesso modo
non può condividersi il carattere «inequivoco» dell’avverbio «esclusivamente», affermato dalla dottrina al fine di ricondurre le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale delle persone giuridiche soltanto a carico di queste ultime, con esclusione di qualsiasi altro soggetto diverso dalla persona giuridica titolare di tale rapporto, ivi compresi le persone fisiche, terzi concorrenti nella realizzazione della violazione tributaria, dovendosi operare un’interpretazione sistematica della norma che ri conduca l’avverbio «esclusivamente» (come già detto per il rapporto fiscale) alla persona giuridica contribuente, titolare del rapporto tributario cui è collegata la violazione tributaria commessa. Ciò anche in considerazione del fatto che il legislatore, che ha voluto detta norma al fine di ricondurre la sanzione in capo al contribuente-persona giuridica che ha tratto vantaggio dalla violazione commessa necessariamente da una persona fisica (autore della violazione), non ha voluto, per ciò solo, scardinare i principi generali di personalità e causalità psichica dettati dal decreto legislativo n. 472 del 1997: così l’art. 2 del decreto legislativo n. 472 del 1997, che stabilisce il principio della «personalità della sanzione» prevedendo che la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione; l’art. 4 del decreto legislativo n. 472 del 1997 dettato in tema di imputabilità («Non può essere assoggettato a sanzione chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere»), l’art. 5 in tema di colpevolezza che dispone che «Delle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa», nonché l’art. 8 che prevede il principio della intrasmissibilità della sanzione agli eredi, quale corollario del carattere personale della responsabilità. 2.6.5 In terzo luogo, deve evidenziarsi che è lo stesso art. 7 che, al comma 3, fa salve le disposizioni del decreto legislativo n. 472 del 1997, in quanto compatibili, e tra queste certamente rientra, per quanto rilevato, anche l’art. 9 che disciplina le ipotesi del concorso di persone, in coerenza, peraltro, con quanto espresso anche nella relazione illustrativa dell’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 (n. 2518 -Senato), ove, come già precisato, si legge che l’art. 7 del decreto legge n. 269
del 2003 introduce disposizioni innovative rispetto al sistema sanzionatorio delineato dal decreto legislativo n. 472 del 1997, in deroga al principio della riferibilità della sanzione alla persona fisica, di cui all’art. 2, comma 2, del decreto legislativ o n. 472 del 1997 e al principio di solidarietà, di cui all’art. 11 dello stesso decreto legislativo, prevede la responsabilità esclusiva della persona giuridica per la sanzione amministrativa allorché questa sia relativa al rapporto fiscale della stessa persona giuridica. 2.6.6 Depongono, nello stesso senso, anche ragioni di ordine logico e sistematico, che si evincono dalle norme generali in materia di sanzioni tributarie, dettate dal decreto legislativo n. 472 del 1997, già citate, unitamente alla disposizione sull’autore mediato ex art. 10 e all’art. 11 sulla responsabilità individuale del dipendente, rappresentante legale o negoziale o da un soggetto in rapporto organico con l’ente, ferma restando la responsabilità solidale dell’ente di riferimento. 2.6 .7 Ciò che induce anche a evitare un disparità di trattamento tra la posizione della persona fisica, soggetto terzo, che partecipa alla realizzazione della violazione con il titolare di un’impresa individuale e che risponde, ai sensi dell’art. 9 del decret o legislativo n. 472 del 1997, secondo le comuni regolare del concorso di persone, e la persona fisica, soggetto terzo (come appunto un notaio) che non dovrebbe rispondere delle violazioni commesse in concorso con la persona giuridica o, meglio, con l’auto re della violazione, il quale, come tale, sfugge completamente ad ogni conseguenza sanzionatoria sul piano amministrativo tributario, in virtù della disposizione di cui all’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003. Ed infatti, la circostanza che il dato testuale esprima in maniera chiara la volontà legislativa di riferire le sanzioni amministrative tributarie esclusivamente alla persona giuridica contribuente (in conformità alla dichiarata intenzione, espressa nella relazione governativa all’art. 7 del decr eto legge n. 269 del 2003, di superare, quanto meno per le strutture imprenditoriali complesse, lo schema personalistico di imputazione delle sanzioni amministrative previgente), non vale ad escludere tout court l’applicabilità dell’art. 9 del decreto legi slativo n. 472 del 1997, come confermato anche dalla clausola di compatibilità di cui al terzo comma della stessa norma, e, dunque, la configurabilità del concorso di ulteriori soggetti nella
stessa violazione. Ed invero, la riferibilità delle sanzioni alla persona giuridica fonda da un lato il collegamento con le persone legate ad essa da un rapporto organico (di diritto o di fatto) ai sensi dell’art. 7 del decreto -legge n. 269 del 2003, dall’altro la sanzionabilità, ex art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, dei terzi concorrenti, persone fisiche. Non sussiste, dunque, alcuna violazione del principio della legalità, in quanto da un lato l’esenzione dall’appl icazione delle sanzioni per le persone legate da un rapporto organico con la persona giuridica contribuente è disposta dall’art. 7 del decreto legge n. 269 del 2003 e, dall’altro il titolo di responsabilità, a titolo di concorso, per le persone esterne, è previsto dall’art. 9 del dec reto legislativo n. 472 del 1997, in presenza di quelli che, sulla base di quanto affermato nella dottrina penalistica, sono gli elementi costitutivi della responsabilità per concorso di persone nell’illecito tributario, ovvero la pluralità di agenti; la realizzazione dell’elemento oggettivo dell’illecito da parte di almeno uno degli agenti; il contributo causale del singolo concorrente alla realizzazione del fatto illecito; la volontà effettiva di cooperare alla commissione dell’illecito. Il legislatore tr ibutario, dunque, con l’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997 (che ricalca la lettera dell’art. 110 cod. pen., oltre che dell’art. 5 della legge n. 689 del 1981), ha espressamente introdotto una norma specifica per la sanzionabilità del contributo del concorrente. L’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997 rende, in particolare, applicabile la sanzione a tutti coloro che offrono un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito tributario, ivi compresi i soggetti che appo rtano un contributo comunque agevolatore (quindi un contributo atipico non conforme alla fattispecie punitiva) rispetto alla realizzazione collettiva dell’illecito tributario. Le conseguenze, in tema di applicazione delle sanzioni sono evidenti, in quanto ciascun concorrente nella realizzazione della violazione soggiace alla sanzione per questa disposta, fatta salva la diversa ipotesi (pure normata all’art. 11 del decreto legislativo n. 472 del 1997, che riprende il principio stabilito dall’art. 6 della legge n. 689 del 1981) di responsabilità solidale, nel qual caso viene irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso. Il legislatore, infatti, ha voluto
distinguere la figura del concorrente nell’illecito da quella del responsabile solidale. Si tratta di un soggetto (il responsabile solidale) che pur non essendo in alcun modo autore della condotta illecita, è chiamato a rispondere dell’adempimento dell’obb ligazione sanzionatoria secondo lo schema civilistico della solidarietà passiva di cui agli artt. 1292 e ss. cod. civ., verosimilmente per rafforzare la posizione dell’Amministrazione finanziaria creditrice perché, all’evidenza, il vincolo solidale rende l a realizzazione del diritto di credito più sicura, in quanto ciascun debitore è tenuto per l’intero e il creditore può esigere l’intera prestazione da un solo debitore solidale e può scegliere il coobbligato (soggetto diverso dall’autore materiale della vi olazione e che può essere anche un ente collettivo, oltre che una persona fisica) cui chiedere l’intero adempimento. Le situazioni sono profondamente diverse: nell’ipotesi di concorso nell’illecito tributario ciascun concorrente soggiace ad una sanzione, nell’ipotesi di responsabilità solidale la medesima sanzione è inflitta una volta una sola volta, con la conseguenza che, secondo la disciplina del concorso, il pagamento da parte di uno non estingue l’obbligazione degli altri, mentre nel diverso caso di re sponsabilità solidale l’adempimento di uno ha efficacia liberatoria nei confronti di tutti gli altri. Delineata, dunque, la differenza tra la figura del concorrente nella violazione della norma tributaria e quella del coobbligato in solido, va, altresì, precisato che, nel sistema definito dal decreto legislativo n. 472 del 1997, è sempre la persona fisica che può essere soggetto attivo e autore materiale dell’illecito tributario e che sono qualificati come illeciti anche quei comportamenti che non integrano appieno la condotta tipica prevista dalla norma sanzionatoria, pur traducendosi in un contributo causale alla loro realizzazione. Al riguardo, va evidenziato che il legislatore ha voluto ricondurre la responsabilità del concorrente nell’illecito tributar io ai principi di personalità e causalità psichica dell’evento. Dunque, il concorrente nella realizzazione della violazione amministrativa è la persona fisica a cui è riferibile il «contributo causale» che integra la violazione, ovvero il soggetto che abbia in concreto tenuto la condotta positiva o omissiva che abbia concorso, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale, a realizzare l’infrazione. 2.10 È importante
puntualizzare, in proposito, che il «contributo causale» posto in essere dal concorrente ha una sua autonomia sia rispetto alla condotta posta in essere dall’autore della violazione (ossia la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione), sia rispetto all’obbligazione del corresponsabile solidale. In conclusione, il soggetto attivo dell’illecito tributario, cui è riferibile l’azione o l’omissione che ha determinato la violazione, deve essere identificato in chi materialmente ha posto in essere la violazione tributaria a mezzo di una condotta commissiva od omissiva, ma ciò non esclude l’eventuale concorso morale o materiale di altre persone fisiche, che sono soggetti autonomamente sanzionabili a titolo di concorso di persone ex art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, nel qual caso ciascuna di esse dovrà soggiacere alla sanzione, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge (così nella seconda parte dell’art. 9 citato, quando la violazione consiste nel l’omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti). L’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, contemplando il concorso di persone, recepisce, per quanto già rilevato, i principi fissati in materia dal codice penale, rendendo così applicabile la sanzione non soltanto all’autore, o ai coautori, della violazione tributaria, ma anche a coloro che abbiano comunque dato un contributo causale, anche se esclusivamente sul piano psichico. Di conseguenza la sanzione è applicabile a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito tributario, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato e sempre che sussista nei singoli partecipi la consapevolezza del collegamento finalistico dei vari atti, cioè la coscienza e volontà di portare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito tributario. In conclusione, le persone fisiche, soggetti terzi (come nel caso in esame, il notaio), sono sanzionabili in via amministrativa a titolo di concorso ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, nelle violazioni relative al rapporto fiscale proprio di società con personalità giuridica anche dopo l’entrat a in vigore del decreto-legge n. 269 del 2003 ».
5.4. Vanno, altresì, richiamati i principi di diritto in tema di derogabilità della regola di cui all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e ascrivibilità delle violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo , in capo all’interponente ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73, sia in caso di interposizione fittizia che reale.
5.5.Come precisato nella sentenza n. 33457 del 2023, il meccanismo che, nel nostro ordinamento, mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore dei redditi è quello previsto dall’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 che dispone: « In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona ». La norma prevede che l’Ufficio possa utilizzare elementi indiziari, dotati di pregnanza presuntiva, al fine di accertare il fatto costitutivo dell’imposizione tributaria rappresentato dal possesso effettivo di un reddito «per interposta persona». Come costantemente ribadito dalla Corte, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio dell’Ufficio, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 22/05/2019; Cass. n. 4168 del 21/02/2018; Cass. n. 17833 del 19/07/2017; Cass. n. 25129 del 7/12/2016; già Cass. S.U. n. 9961 del 13/11/1996). L’oggetto della prova incombente sull’Amministrazione finanziaria, peraltro, non attiene agli element i costitutivi dell’interposizione ma solo come precisa la norma -che «egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona»: la funzione della norma, dunque, è quella di evitare che il contribuente (effettivo possessore) si sottragga al prelievo occultando all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrendo a interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito. In altri termini, il possesso del reddito «per interposta persona» costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il
reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo: la rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità. Tale percorso argomentativo e giuridico, per l’ampia latitudine della norma, non è limitato dalla tipologia di reddito oggetto di accertamento e, dunque, si estende -come recentemente precisato da questa Corte (Cass. n. 5276 del 17/02/2022) -anche al reddito d’impresa e all’ipotesi in cui l’in terposto sia una società di capitali, salva la necessaria specifica verifica della relazione di fatto tra contribuente e reddito per operare la traslazione del reddito d’impresa prodotto all’effettivo titolare. Nel caso di reddito d’impresa ha rilievo, di norma, la figura dell’amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito (i.e. la società); tuttavia, tale ruolo, per assumere incidenza, deve «assumere una particolare pregnanza al fine di integrare la presunzione del possesso del reddito perché deve essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso (e, quindi, anche ai fini Irap e Iva) al soggetto persona fisica interponente come se fosse stato pr odotto da quest’ultimo» (così Cass. n. 5276 del 2022, cit.). Ciò significa che la posizione dell’interponente non è quella di mero gestore dell’ente collettivo -condizione che, in quanto tale, sarebbe significativa ai fini reddituali solo nelle società di persone interposte e, in caso di socio, a fondamento del maggior reddito da partecipazione ai fini Irpef -ma di soggetto che disponga uti dominus delle risorse del soggetto interposto. Come si è osservato, del resto, nell’ipotesi in questione, « si configu ra, in relazione all’interponente, una fattispecie simile a quella della holding unipersonale, ossia di chi eserciti professionalmente con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo e il coordinamento delle società (Cass., Sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1439; Cass., Sez. I, 16 gennaio 1999, n. 405; Cass., Sez. I, 9 agosto 2002, n. 12113; Cass., Sez. I, 13 marzo 2003, n. 3724; Cass., Sez. U., 29 novembre 2006, n. 25275;
Cass., Sez. I, 6 marzo 2017, n. 5520; Cass., Sez. I, 3 giugno 2020, n. 10495)» (così, sempre la già citata Cass. n. 5276 del 2022). Ne deriva che, in tale ipotesi, la prova che incombe sull’Amministrazione finanziaria ha ad oggetto il totale asservimento d ella società interposta all’interponente, tale, quindi, da dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società. Non ha rilievo, invece, la dimostrazione che l’interposizione sia reale o fittizia: l’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, infatti, si riferisce a qualsiasi ipotesi di interposizione, anche a quella reale, ed anche ad un uso improprio di un legittimo strumento giuridico (ex multis, Cass. n. 11055 del 27/04/2021; Cass. n. 17128 del 28/06/2018; Cass. n. 5408 del 03/03/2017). A fronte di tale prova, che può essere fornita anche solo in via presuntiva, incomberà poi al contribuente fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto (Cass. n. 29228 del 20/10/2021; Cass. n. 5276 del 2022, cit.). Va sottolineato, infine, che, in caso di interposizione mediante una società, la traslazione riguarda esattamente il reddito d’impresa nel suo complesso prodotto dal contribuente interposto avuto riguardo alla pluralità di elementi che lo compongono (salva la prova, a carico dell’Ufficio, di un maggior reddito conseguito da ll’interponente), che, dunque, è attribuito all’interponente quale effettivo possessore del reddito ed effettivo debitore dei tributi formalmente imputati alla società interposta. La compiuta traslazione del reddito, del resto, è coerente con il diritto al rimborso dell’interposto, ai sensi dell’art. 37, quinto comma, d.P.R. n. 600 del 1973, per quelle imposte che abbia pagato per redditi imputati all’interponente, condizione che legittima il riconoscimento, ove ne sussistano i presupposti formali e sostanziali, anche del diritto alla detrazione ex art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. n. 27964 del 30/12/2009). La traslazione del reddito d’impresa dall’interposto (società) all’interponente ai sensi dell’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 è idonea ad assicurare la ripresa a tassazione nei confronti di quest’ultimo per le imposte dovute. Quanto all’IVA, più in particolare, va sottolineata la piena convergenza su questo esito dei
principi unionali. Nell’esecuzione delle prestazioni di servizi tra il soggetto gestore uti dominus e la società (la cui esistenza, come detto, non è scalfita dall’assoggettamento di fatto), infatti, si instaura, quando il primo agisca in nome proprio ma per conto della seconda, un rapporto riconducibile al mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore e il mandante è la società. Ciò si verifica, in particolare, quando l’imprenditore, che gestisca delle società cartiere, disponga in autonomia in merito alle attività e alle transazioni e decida, per conto della società, sulla realizzazione delle operazioni commerciali, individuando, ad esempio, i venditori (esteri) e i successivi acquirenti (nazionali). Orbene, l’art. 6, § 4, della direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977 (cd. sesta direttiva), corrispondente all’art. 3 , terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, stabilisce che, qualora un soggetto passivo partecipi, in nome proprio ma per conto terzi, ad una prestazione di servizi, si deve ritenere che egli stesso abbia ricevuto o fornito i detti servizi a titolo personale. Si realizza, in altri termini, la finzione giuridica di due prestazioni di servizi identiche fornite consecutivamente sull’assunto che l’operatore che partecipa alla prestazione di servizi -il commissionario -abbia in un primo tempo ricevuto i servizi in questione da prestatori specializzati prima di fornire, in un secondo tempo, gli stessi servizi all’operatore per conto del quale agisce (v., tra le varie, Corte di giustizia, 4 maggio 2017, in C-274/15, Commissione c/ Lussemburgo, punto 86; nella giurisprudenza interna, v., ex multis , Cass. n. 30360 del 23/11/2018; Cass. 20591 del 29/09/2020): il mandatario, quindi, assume e acquista in nome proprio, rispettivamente, gli obblighi e i diritti derivanti dal compimento dell’affare trattato per conto del mandante. Ne deriva che se la prestazione di servizi a cui l’operatore partecipa è soggetta all’IVA, pure il rapporto giuridico tra costui e la parte per conto della quale agisce è soggetto all’IVA (v. Corte di giustizia, in C-274/15, cit., punto 87). Giova sottolineare, sul punto, che resta estranea e irrilevante ogni indagine sul carattere oneroso o meno del rapporto di mandato: infatti, ai fini dell’applicazione della disciplina IVA del mandato senza rappresentanza, la norma unionale non contiene alcun riferimento ad un eventuale carattere oneroso della partecipazione alla prestazione di servizi (v.
Corte di giustizia, 19 dicembre 2019, in C707/18, RAGIONE_SOCIALE, punto 38). 2.7.6. L’irregolarità delle operazioni riferite al mandante, infine, se, da un lato, non esime il mandatario senza rappresentanza dall’obbligo di provvedere alla fatturazione posto che quale soggetto passivo, nel rapporto con il mandante, è tenuto al vaglio critico dell’operazione (e di verificare, quindi, il regime fiscale e di fatturazione), dall’altro, ove vengano in rilievo operazioni soggettivamente inesistenti, ciò refluisce sulla sua posizione, neppure essendo in dubbio la fittizietà delle operazioni e la consapevolezza delle frode. La delineata cornice normativa entro cui si colloca la questione in esame ha immediate conseguenze anche sul piano sanzionatorio. L’irrogazione delle sanzioni, difatti, trova il suo diretto riferimento nella condotta dell’interponente, il quale è sanzionato in proprio, in relazione all’avvenuta traslazione del reddito e dei relativi tributi dell’ente collettivo, con conseguente imput azione anche delle condotte evasive. 6.4.La fattispecie è esterna al perimetro dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003: il rapporto fiscale che viene in considerazione non è quello, previsto dalla citata norma, «proprio di società o enti con personalità giuridica» ma, in conseguenza della traslazione del reddito all’effettivo possessore ex art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1970, quello specifico e proprio dell’interponente . Il contribuente, come osservato, non riveste, in questo caso, la posizione di (me ro) amministratore di fatto ma è l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società come se fossero stati da lui prodotti, sicché assume rilievo, anche per tale versante, il suo rapporto fiscale, con le correlate sanzioni per gli inadempimenti e le violazioni che lo caratterizzano, e non quello della società Sulla base della superiore ricostruzione, Cass. n. 23231 del 2022 ha, quindi, enunciato i seguenti principi di diritto: «in tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’IVA, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali si determina, ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta; inoltre, in tale ipotesi, tra i due soggetti si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore uti dominus e la
mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a IVA, pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta è soggetto all’IVA; a tali fini incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, spettando quindi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto». «in tema di sanzioni tributarie, nell’interposizione del gestore uti dominus alla società di capitali interposta ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non ha rilievo il rappor to fiscale proprio di quest’ultima ma quello che fa capo direttamente all’interponente in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 de l d.l. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività» (da ultimo nello stesso senso, Cass. sez. 5 n. 1358 del 2023).
5.6.Richiamati i suddetti principi di diritto in ordine alla compatibilità degli artt. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 e alla ascrivibilità delle violazioni fiscali dell’ente collettivo in capo all’interponente, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73 con conseguenze anche sul piano sanzionatorio in deroga all’art. 7 cit. , nella sentenza impugnata, il giudice di appello non si è attenuto agli stessi nel ritenere gli atti di contestazione illegittimi stante la mancata applicazione dell’art. 7 del D .L. n. 269/2003 (dovendo le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società con personalità giuridica ricadere esclusivamente a carico della persona giuridica) e l’ insussistenza dei presupposti per la derogabilità dell’art. 7 cit. non risultando provata la creazione della persona giuridica come una mera fictio nell’esclusivo interesse della persona fisica, non essendo emersi elementi a sostegno della tesi prospettata dall’Ufficio della natura simulata di RAGIONE_SOCIALE (rappresentando quest’ultima ‘ una realtà societaria effettivamente operativa ‘) e, dunque, dell’esistenza di un beneficio
materiale delle violazioni contestate in capo a COGNOME, quale amministratore di fatto, nonché al commercialista COGNOME quale supposto coautore delle stesse, ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 472/97 ; diversamente, alla luce dei principi sopra richiamati, era configurabile -in caso di sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997 -il concorso del terzo (commercialista) nelle violazioni tributarie contestate alla società e ad NOME COGNOME in qualità di interponente ex art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600/73 e amministratore di fatto della detta società asseritamente interposta, anche nell’ipotesi di interposizione reale e a prescindere dal conseguimento da parte del terzo di un effettivo vantaggio economico.
5.7.A tal riguardo, questo Collegio ritiene di superare il diverso orientamento espresso da questa Corte, nella sentenza n. 23229 del 2024, secondo cui « per riconoscere l’applicabilità dell’art. 9 della disciplina del 1997, è necessario che il concorrente, prevalentemente persona fisica, sia identificabile con un soggetto giuridico, il quale tenga una condotta finalizzata al raggiungimento di un autonomo beneficio, non essendovi altrimenti ragione per distinguerlo dalla fattispecie normativa introdotta per esonerare dalla sanzione colui che abbia tenuto una condotta diretta al conseguimento di benefici per la sola società. Sotto questo aspetto, considerando ad esempio proprio il consulente della società, tale vantaggio non può identificarsi nel compenso professionale percepito, anch’esso inquadrabile in una condotta esclusivamente finalizzata a conseguire benefici per la società, ma deve trattarsi di un quid pluris, cioè di benefici che vadano ben oltre il corrispettivo della propria prestazione, traducendosi in altri termini non già in una mera prestazione al servizio di un committente, ma in una diretta e comune finalità di concorso nell’attuazione di condotte soggettivamente intese a ottenere vantaggi economici non spettanti, mediante il compimento di illeciti fiscali. Occorre, in altri termini, che il consulente non si sia limitato a svolgere le sue tipiche funzioni professionali, ma, attraverso le sue capacità tecniche, abbia condiviso, o coinvolto, la società nel compimento di condotte illecite, tese a ottenere vantaggi economici non spettanti ». Invero, il concorso di persone terze nelle violazioni tributarie relative
alle società con personalità giuridica è sanzionabile per il contributo materiale e psicologico offerto nella realizzazione dell’illecito, a prescindere dal conseguimento da parte del terzo di un personale effettivo vantaggio economico.
6.Quanto alla denunciata violazione – con il secondo motivo- delle norme in tema di formazione della prova presuntiva circa la sussistenza degli elementi costitutivi per la configurabilità, in capo a COGNOME, del concorso di persone, ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo n. 472 del 1997, va ricordato che , secondo l’orientamento di questa Corte, «in tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento» (Cass. 29402 del 2021; Cass. n. 9059 del 12/04/2018; conf. Cass. n. 27410 del 25/10/2019; Cass. n. 12002 del 16/05/2017; Cass. n. 5374 del 02/03/2017); mal governando il superiore principio di diritto la CTR ha compiuto un non corretto e parcellizzato apprezzamento degli elementi indiziari offerti dall’Ufficio, escludendo che, nel caso di specie, fosse stata raggiunta la prova dell’assunzione da parte del
commercialista COGNOME di un ruolo attivo nella gestione dell’impresa e di una corresponsabilità negli illeciti tributari contestati atteso che: 1) il COGNOME aveva trasmesso il Mod. Unico per la società soltanto relativamente al 2009, avendo, come sostenuto dallo stesso, interrotto di fatto la propria collaborazione già nel 2010 ancora prima della formale risoluzione del rapporto professionale nel 2011 in quanto, nonostante i solleciti, la società non aveva provveduto a consegnare la documentazione necessa ria all’espletamento dell’incarico; 2) dagli atti non emergeva che il COGNOME si fosse occupato di denunciare al fisco i crediti Iva o avesse mai inoltrato deleghe F24 avvalendosi di detti crediti per effettuare compensazioni con ritenute Irpef o contributi INPS e INAIL; 3) le presunte indicazioni che il COGNOME avrebbe fornito al COGNOME per reperire il soggetto prestanome della società, destinatario della cessione delle quote sociali, erano fondate sulle dichiarazioni rese dallo stesso COGNOME, avente un interesse personale nella vicenda; 4) i rapporti tra la ditta RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE che apparivano reali, essendo quest’ultima pienamente operativa, risultavano essere stati gestiti direttamente dal COGNOME; con ciò senza valutare nel loro complesso, gli altri elementi indiziari- emersi in sede di p.v.c. della GdF ( riportato nelle parti di interesse nel ricorso) – di una corresponsabilità del COGNOME ne ll’attività evasiva posta in essere dal RAGIONE_SOCIALE attraverso la società interposta (dichiarazioni del COGNOME ai militari verificatori circa la predisposizione anticipata da parte del COGNOME degli atti relativi alle operazioni di cessione delle quote societarie della CMI in vista del mutamento della compagine sociale; conoscenza del COGNOME NOME, legale rappresentante e supposto prestanome nella compagine sociale di RAGIONE_SOCIALE, da parte del COGNOME, essendo cliente storico dello studio del commercialista; ruolo del COGNOME di depositario e intermediario di società riconducibili a COGNOME; individuazione ad opera del COGNOME del consulente del lavoro COGNOME NOME al fine della domiciliazione della CMI e degli adempimenti IMPS e INAIL; documentazione rinvenuta presso lo studio del COGNOME; cessione delle quote societarie in data 18.7.2011 e rinuncia al mandato professionale da parte del COGNOME in data 8.7.2011, soltanto 10
giorni prima della cessione delle quote societarie di RAGIONE_SOCIALE da COGNOME NOME al rumeno NOME COGNOME.
7.In conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione;
P.Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione;
Così deciso in Roma il 5 dicembre 2024