Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24619 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24619 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 7047/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione (PEC: EMAIL), nonché dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale allegata alla memoria con la costituzione di nuovi difensori (PEC: EMAIL;
EMAIL)
-ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-resistente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia -sezione staccata di Lecce n. 1524/23/2015, depositata il 25.06.2015.
Oggetto: Tributi
–
Accertamento -Concordato fiscale biennale -Limitazioni ai poteri di accertamento Presupposti
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
RILEVATO CHE
La CTP di Lecce accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’ avviso di accertamento, per imposte dirette ed IVA, con il quale erano stati determinati maggiori ricavi per l’anno d’imposta 2003;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia -sezione distaccata di Lecce accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla contribuente, riconoscendo la deducibilità di alcuni costi, ma confermando per il resto la legittimità dell’accertamento;
dalla sentenza impugnata si evince che:
nel corso della verifica fiscale erano stati rinvenuti atti e documenti inerenti l’attività imprenditoriale della società, che, seppure incompleti, costituivano validi elementi presuntivi di diverse attività economiche non dichiarate o parzialmente dichiarate dalla società contribuente e, nel contempo, inducevano a ritenere la sussistenza di una ‘probabile’ omissione di fatturazione (totale o parziale), che legittimava, in ragione del rilevante valore del maggiore reddito accertato (pari ad euro 117.690,00), ben superiore a quello dichiarato, « il venir meno delle limitazioni alla verifica generale disposta dal legislatore in relazione alle disposizioni di cui all’art. 33 del concordato preventivo di cui al D.L. n. 269/2003 atteso che al n. 3 si pone come presupposto all’ammissione al concordato ‘l’osservanza degli obblighi fiscali intrinseca alla adesione al concordato preventivo’; tale osservanza deve ritenersi non limitata
alla formale tenuta delle scritture contabili, ovvero alla congruità dei dati dichiarati e reperiti, ma deve anche potersi rintracciare in dati univoci e non equivoci quali invece sono da ritenersi e valutarsi i documenti anomali, incongrui, seppure non estranei all’attività di impresa, che gli operanti avevano reperito in azienda nel corso della verifica generale; ci si riferisce in particolare alla documentazione acquisita ed alle differenze rilevate tra i prezzi pattuiti nei preliminari reperiti presso la sede sociale e gli importi poi fatturati per la vendita dei medesimi cespiti immobiliari .»;
la società aveva riconosciuto di non avere fatturato, al momento della loro ricezione, le somme riscosse a titolo di caparra, di averle restituite ai promittenti acquirenti e di avere successivamente fatturato gli acconti ricevuti ed il saldo dei prezzi solo al momento della consegna del bene;
tale modalità di contabilizzazione e fatturazione era errata, le somme risultavano poi fatturate in misura ridotta ed era priva di rilievo la ricostruzione contabile realizzata dalla contribuente al fine di operare la distinzione tra caparra, acconto e prezzo finale, posto che le somme ricevute dalla contribuente – fermo restando il rilievo sulle differenze economiche riscontrate tra i contratti preliminari ed i contratti definitivi -avrebbero dovuto essere qualificate, contabilizzate e fatturate allorquando materialmente ricevute senza utilizzare di metodi anomali di contabilizzazione per differirne la fatturazione al momento della consegna del bene venduto;
la contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati con memoria;
-l ‘ Agenzia delle entrate si costituiva al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33 del d.l. n. 269 del 2003, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che, avendo la contribuente aderito al concordato preventivo, era inibito all’Ufficio procedere con l’accertamento analitico -induttivo e con l’accertamento induttivo ; rileva che la CTR ha ritenuto erroneamente che fossero sufficienti mere presunzioni, anzichè ‘prove dirette’ e ‘veri e propri documenti’, tali non potendosi considerare i ‘documenti incompleti’ che erano meri fogli dattiloscritti privi di firme o di qualsivoglia altro elemento che potesse attribuire agli stessi valenza sostanziale e probatoria; aggiunge che l’art. 33, comma 3, del d.l. n. 269 del 2003 non esclude le limitazioni imposte ai poteri di accertamento dell’Ufficio dal comma 8 del medesimo articolo e che tali limitazioni non sono escluse dal fatto che il reddito presuntivamente accertato sia risultato pari o maggiore al 50% a quello dichiarato, posto che il comma 8bis dell’art. 33 non fissa alcuna limitazione a quanto stabilito dal precedente comma 8, ma stabilisce semmai un’ulteriore limitazione ai poteri dell’Amministrazione fiscale, disponendo che alla stessa sono anche ”preclusi gli atti di accertamento (anche analitici) qualora il maggiore reddito accertabile sia inferiore o pari al 50% di quello dichiarato “;
– con il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 90 (ora 76), 53 (ora 85) e 75 (ora 109) del TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che nel caso in esame, essendo stati stipulati gli atti pubblici traslativi della proprietà nel dicembre 2005 e nel gennaio 2006, l’esercizio di competenza, al quale fare riferimento per le somme incassate a titolo di caparra, non era il 2003, ma il 2005 e il 2006, anni questi ultimi in cui la ricorrente ha effettuato il versamento di quanto dovuto;
– con il terzo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 6 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 1385 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere che le somme ricevute a titolo di caparra dovessero essere fatturate al momento della loro ricezione, senza considerare, peraltro, che nel caso in esame le caparre erano state restituite ai clienti prima della verifica fiscale, mediante assegni, e gli acconti effettivamente incassati erano stati regolarmente fatturati al momento della percezione nell’anno 2003;
-con il quarto motivo lamenta l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione fra le parti e, segnatamente, sul fatto che la contribuente aveva dedotto e documentato di aver restituito, mediante assegno, le caparre al momento delle stipule degli atti pubblici di compravendita e di avere regolarmente fatturato gli acconti ricevuti nell’anno 2003;
il primo motivo è fondato;
-nella specie è pacifico che la contribuente aveva aderito, per l’anno d’imposta 2003, al concordato preventivo biennale, introdotto in via sperimentale dall’art. 33 del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, dal quale derivano limitazioni ai poteri di accertamento spettanti all’Amministrazione finanziaria con riguardo agli anni d’imposta coperti dal concordato;
-l’art. 33, comma 8, del d.l. n. 369 del 2003 prevede che : «Per i periodi di imposta soggetti a concordato preventivo, relativamente al reddito d’impresa o di lavoro autonomo, sono inibiti i poteri spettanti all’amministrazione finanziaria in base alle disposizioni di cui: a) al primo comma, lett. d), secondo periodo, e secondo comma, lett. a), d) e d-bis), dell’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni; b) all’articolo 54, secondo comma, secondo periodo, del decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni; c) all’articolo 55, secondo comma, numero 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni»;
al successivo comma si stabilisce poi che «8.bis. Per i medesimi periodi d’imposta di cui al comma 8, relativamente al reddito d’impresa o di lavoro autonomo, sono preclusi gli atti di accertamento qualora il maggiore reddito accertabile sia inferiore o pari al 50 per cento di quello dichiarato»;
-nella specie, l’accertamento è scaturito dal rinvenimento, nel corso della verifica fiscale, di alcune bozze di contratti preliminari, privi di sottoscrizione, dai quali risultava che la contribuente aveva incassato somme a titolo di caparra o di acconti, senza emettere i relativi documenti fiscali, sicchè il prezzo di vendita risultava maggiore di quello dichiarato;
i maggiori ricavi erano stati accertati sulla base di un elemento presuntivo consistente nella differenza tra i prezzi dichiarati nei rogiti notarili e gli importi quantificati dall’Agenzia sulla base del contenuto della suindicata documentazione extracontabile rinvenuta presso la sede della contribuente, sicchè l’accertamento effettuato dall’Amministrazione va senz’altro qualificato come analitico -induttivo essendo fondato su una presunzione semplice;
-poichè l’accertamento analitico -induttivo rientra nell’ipotesi prevista dall’art. 39, comma 1, lett. d), secondo periodo, del d.P.R. n. 600/1973, tale tipo di accertamento era inibito all’Amministrazione finanziaria poiché la contribuente nell’anno 2003 aveva aderito al concordato preventivo fiscale previsto dall’art. 33 del d.l. n. 269/2003, nella formulazione vigente ratione temporis (Cass. n. 6862 del 2019);
– con riferimento al rapporto tra il comma 8 e il comma 8bis dell’art. 33 cit., poi, occorre rilevare che questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. n. 13885 del 2018) che «tra le due disposizioni esiste un rapporto di complementarietà e non già di specialità», trattandosi di disposizione strettamente collegate, atteso che «la prima inibisce, a monte, l’esercizio di alcuni poteri (in termini, Cass. n. 11947/12), laddove la seconda preclude, a valle, nei limiti previsti, gli atti di accertamento, i quali postulano l’avvenuto esercizio del relativo potere»;
– al riguardo è stato altresì precisato che «il comma 8-bis fissa la soglia di preclusione degli atti di accertamento ragguagliandola al ‘maggior reddito accertabile’ e non già a quello accertato. Il reddito accertabile è quello che l’Amministrazione può accertare, in caso di adesione del contribuente al condono fiscale del quale si discute e, quindi, non già quello che all’Amministrazione “appaia” accertabile, sibbene quello che risulti dall’esercizio dei soli poteri di accertamento non inibiti dall’8° comma . In definitiva, il comma 8-bis non può che operare nell’ambito non precluso dal comma che lo precede, che è quello segnato dall’esercizio dei poteri di accertamento che l’8° comma non inibisce»; poiché il collegamento tra le due disposizioni si riverbera sul contenuto del controllo giurisdizionale, a fronte di contestazione, la verifica giudiziale riguarda dapprima la corretta determinazione di quest’ambito, ossia che l’Agenzia abbia accertato la maggiore materia imponibile ricorrendo ai soli poteri consentiti dal comma 8 dell’art. 33 del d.l. n. 269/2003 e poi, entro quest’ambito, secondo le regole generali, che la maggiore materia imponibile sia adeguatamente provata e non contrastata da idonea controprova e, infine, che il risultato dell’attività sia, o no, superiore alla soglia del 50 per cento del reddito dichiarato (Cass. n. 13885 del 2018, cit.; Cass. n. 13359 del 2019; Cass. n. 20340 del 2019);
-pertanto, essendo stato effettuato nel caso in esame un accertamento analitico-induttivo, precluso ai sensi dell’art. 33, comma 8, cit., non si applicava neppure il comma 8bis della predetta disposizione, che opera solo nell’ambito non inibito dal precedente comma 8;
quanto all’IVA, va ribadito che «la disciplina complessiva non si pone in frizione con il diritto unionale, e ciò perché la Corte di giustizia (con le sentenze in causa C-546/14, RAGIONE_SOCIALE, punto 21; in causa C-500/10, RAGIONE_SOCIALE; in causa C144/14, punto 22; in causa C-132/06, Commissione c. Italia, punto 39; in causa C- 539/09, Commissione c. Germania, punto 74) ha chiarito che, nell’ambito del sistema comune dell’I.V.A., gli Stati membri sono liberi di utilizzare i mezzi a loro disposizione per garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi, purchè garantiscano una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione e non creino differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme di tutti loro. In questo caso, di contro, la – solo – parziale inibizione dei poteri di accertamento dell’amministrazione finanziaria, stabilita a fronte del reperimento di risorse ottenute mediante l’adesione al concordato in questione, esclude che i soggetti passivi interessati possano sfuggire a qualsiasi controllo dell’Amministrazione tributaria. Non vi è, in definitiva, come invece la Corte Europea ha ravvisato nella sentenza del 17 luglio 2008, Commissione/Italia, in causa C-132/06, una rinuncia generale ed indifferenziata alla verifica delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi d’imposta. Il che esclude altresì la sussistenza di differenze significative nel modo di trattare i contribuenti» (Cass. n. 13885 del 2018, cit.);
la CTR non si è attenuta ai richiamati principi, in quanto ha ritenuto che il superamento della soglia del 50% del reddito dichiarato , ‘ i documenti anomali, incongrui, seppure non estranei all’attività di impresa, che gli operanti avevano reperito in azienda nel corso della verifica generale ‘, e le ‘ differenze rilevate tra i prezzi pattuiti nei preliminari reperiti presso la sede sociale e gli importi poi fatturati per la vendita dei medesimi cespiti immobiliari ‘ facevano venir meno le limitazioni all’accertamento, previste dall’art. 33 cit., nonostante l’adesione della contribuente al concordato preventivo;
-anche il quarto motivo è fondato, limitatamente all’IRAP, con assorbimento delle altre censure;
il concordato preventivo biennale introdotto dall’art. 33 cit., infatti, concerne essenzialmente le imposte sui redditi con limitati effetti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, mentre da esso esula l’imposta regionale sulle attività produttive, atteso il tenore testuale della disposizione, che, tra l’altro, rinvia, per la determinazione del significato dei termini «ricavi» e «compensi», alle disposizioni in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Cass. n. 14266 del 2016; n. 7765 del 2020);
ciò posto, limitatamente all’IRAP, la CTR non ha chiarito la natura giuridica delle somme corrisposte dagli acquirenti prim a dell’acquisto degli immobili (caparra confirmatoria o acconto) e se queste fossero state poi effettivamente restituite dalla contribuente al momento della stipula degli atti pubblici di compravendita;
in conclusione, va accolto il primo e il quarto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, assorbiti gli altri; la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado territorialmente competente, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese dei giudizi di legittimità, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 25 giugno 2025.