Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7996 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7996 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 35535/2019 R.G. proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATERAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO
-ricorrente-
contro
AUTORITA’ DI RAGIONE_SOCIALE ORIENTALE GIA’ AUTORITA’ PORTUALE DI LA SPEZIA, rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente all’Avv. COGNOME (RMLSRA69S60I480P)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LIGURIA, n. 1027/2018 depositata il 17/07/2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata è stato rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate verso la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente, proposto contro l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, per tutti i canoni annui, relativi ad una concessione di un’area del demanio p ortuale, estesa per mq 208.400, per un canone annuo di 487.008,31, per anni 60;
ricorre in cassazione l’Agenzia delle entrate con un unico motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione degli art. da 2 a 6 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), art. 1, comma 993 della l. 27 dicembre 2006, n. 269, art. 17, terzo comma, 43, primo comma, lettera h), d.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986, art. 5, secondo comma, tariffa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.);
resiste con controricorso l’ AUTORITA’ DI RAGIONE_SOCIALE GIA’ AUTORITA’ PORTUALE DI LA SPEZIA che richiede preliminarmente di dichiarare inammissibile il ricorso per mancanza di specificità, nel merito comunque chiede il rigetto dell’unico motivo; ripropone, poi, le eccezioni non analizzate dalla sentenza impugnata: violazione dell’art. 12, settim o comma, l. n. 212 del 2000; decadenza ex art. 76, d.P.R. n. 131 del 1986; violazione dell’art – 10, l. n. 212 del 2000; violazione e falsa appl icazione dell’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990;
la Procura generale della Corte, Sostituta procuratore generale, NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, ribadite in udienza, di rigetto del ricorso.
…
Il ricorso dell’Agenzia non può ritenersi inammissibile in quanto contiene tutti gli elementi, di fatto, per la comprensione della problematica, prospettando un solo motivo di diritto.
Del resto, «Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – vedi anche CEDU Patricolo vs Italia, del 23 maggio 2024 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito» (Sez. U – , Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022, Rv. 664409 – 01).
Risulta fondato il motivo di ricorso relativamente alla prospettata violazione di legge dell’art. 17, terzo comma, 43 , primo comma, lettera h, e 45, del d.P.R. n. 131 del 1986.
La sentenza, quindi, deve cassarsi con rinvio, alla CGT di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, in relazione alla presenza delle eccezioni della controricorrente; si demanda al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Il richiamo nel ricorso introduttivo alla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di esenzione di IVA per i canoni di locazione ai sensi dell’art. 13 della Sesta Direttiva IVA 77/384/CEE, risulta ininfluente in quanto è la normativa nazionale che deve trovare applicazione, senza alcun richiamo ad altri settori dell’ordinamento. L’imposta di registro, infatti, non è armonizzata. Conseguentemente non rilevano le nozioni relative alle imposte armonizzate.
Le circostanze di fatto risultano pacifiche, come prospettato nel ricorso; con avviso di liquidazione l’Agenzia applicava l’imposta per
tutti i canoni annui previsti nella convenzione (concessione per anni 60 di un’area del demanio portuale) per un canone annuo di euro 487.008,31; la contribuente aveva pagato l’imposta di registro proporzionale per il canone di un solo anno, e non per tutta la durata della convenzione, mentre l’Agenzia recuperava con l’avviso citato l’imposta per tutti i canoni (60 anni).
4. Il problema posto dal ricorso in cassazione è stato già deciso da questa Corte di legittimità («In tema di imposta di registro, posto che la concessione d’uso di un’area demaniale, stante l’attribuzione del diritto di godimento di beni immobiliari, è equivalente alla locazione di beni immobili, in caso di recesso anticipato le imposte versate sono rimborsabili, ai sensi dell’art. 17, comma 3, TUR, anche anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 3, comma 16, del d.l. n. 95 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 135 del 2012» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 26636 del 09/09/2022, Rv. 665916 – 01)
Tuttavia, la Corte, nella decisione citata, non ha tenuto conto dell’autorevole ricostruzione della normativa operata dalla Corte costituzionale con la decisione n. 461 del 2006 («È manifestamente inammissibile, per carente motivazione sulla non manifesta infondatezza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 3, del d.P.R. del 26 aprile 1986, n. 131, censurato in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione. Infatti, quanto alla dedotta violazione degli artt. 53 e 97 Cost., il rimettente si limita alla mera enunciazione di tali parametri, omettendo di fornire qualsiasi argomento a sostegno della censura; quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., lo stesso rimettente non fornisce alcuna motivazione ne’ sull’asserita omogeneità di fattispecie che il legislatore ha disciplinato in modo diverso -contratti pluriennali di affitto di azienda e locazione pluriennale di immobili urbani – ne’, in particolare, sulla sussistenza anche per l’affitto pluriennale di azienda della speciale ratio giustificatrice posta a base della normativa fiscale derogatoria relativa alle sole
locazioni pluriennali di immobili urbani»). Con questa decisione la Corte costituzionale evidenzia la differenza di disciplina per le locazioni di immobili urbani (da intendersi sia commerciali e sia abitativi) dalla regolamentazione degli affitti di azienda. La Corte costituzionale ritiene non incostituzionale la differenza delle due regolamentazioni in quanto hanno presupposti sociali e normative diverse; solo per le locazioni di immobili urbani risulta applicabile la speciale disciplina dell’art. 17, d.P .R. n. 131 del 1986; norma non applicabile all’affitto di azienda.
Infatti, tra l’affitto di azienda e la locazione di immobili commerciali sussiste una differenza giuridica rilevante («Il giudice, nel valutare se un contratto debba essere qualificato come locazione di immobile od affitto di azienda (o di un ramo di essa), deve, in primo luogo, verificare se i beni oggetto di tale contratto fossero già organizzati in forma di azienda; in caso di esito positivo dell’indagine, egli è tenuto, quindi, ad accertare se le parti abbiano inteso trasferire o concedere il godimento del complesso organizzato o semplicemente quello di un immobile, al cui utilizzo risultino strumentali gli altri beni e servizi eventualmente ceduti, restando poi libero l’avente causa di costituire “ex novo” un’azienda propria. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha cassato con rinvio la decisione della corte di appello, la quale, poiché l’immobile oggetto del contratto era situato in un centro commerciale, aveva erroneamente ritenuto l’avvenuta cessione di un’organizzazione aziendale, senza verificare se il cedente avesse in precedenza impresso ai beni interessati dall’accordo una tale organizzazione e valorizzando, invece, il trasferimento in godimento, assieme al locale, di elementi, quali un massetto, un registratore ed un gabinetto, di per sé insufficienti a costituire un’azienda)» (Sez. 3 – , Sentenza n. 3888 del 17/02/2020, Rv. 657146 -01; vedi anche Sez. 5 – , Sentenza n. 23851 del 25/09/2019, Rv. 655150 – 03).
La concessione di un’area del demanio portuale (come nel caso in odierno giudizio) non può equipararsi alla locazione di immobile urbano (anche commerciale ; come non può equipararsi l’affitto di azienda alla
locazione di un immobile ), in quanto per la concessione di un’area del demanio non ricorrono esigenze di tutela del conduttore (ex art. 17, d.P.R. n. 131 del 1986, citato); infatti, la Cassazione a Sezioni Unite (Sez. U, Ordinanza n. 6019 del 25/03/2016, Rv. 638987 -01) ha distinto le concessioni delle aree demaniali destinate ad un pubblico servizio da quelle non destinate ad un pubblico servizio, inquadrabili nello schema privatistico della locazione («Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’art. 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio; in difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del “nomen iuris” che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrarsi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario» Sez. U, Ordinanza n. 6019 del 25/03/2016, Rv. 638987 -01; vedi anche Sez. U, Sentenza n. 14865 del 28/06/2006, Rv. 590191 – 01).
Il demanio portuale oggetto della presente controversia è evidentemente del primo tipo, riconducibile ad un rapporto amministrativo di concessione e non ad un rapporto privatistico di locazione.
Infatti, la Cassazione con la sentenza del 21 febbraio 2024, pubblicata il 15 marzo 2024, n. 6992, ha respinto la tesi dell’Agenzia
delle entrate (volta a ritenere tassabili i canoni percepiti in relazione alla concessione di beni demaniali) che aveva prospettato la concessione quale locazione di immobili urbani (vedi anche Cass. N. 6992 del 2024).
Può, in conseguenza esprimersi il seguente principio di diritto: ‘le concessioni di beni demaniali riconducibili ad un rapporto di concessione amministrativa non possono equipararsi, quanto all’imposta di registro, alle locazioni di immobili urbani , prima dell’entrata in vigore dell’art. 3, comma 16, d. l. n. 95 del 2012 che ha esteso alle concessioni demaniali il regime specifico dell’art. 17, terzo comma, del d.P.R. n. 131 del 1986 ; non sussiste pertanto l’interesse del conduttore posto alla base della norma citata, art. 17, terzo comma, nella disciplina applicabile al tempo dei fatti ‘.
L’art. 3, comma 16, del d.l. n. 95 del 2012 ha esteso l’applicazione dell’art. 17, terzo comma, del d.P.R. n. 131 alle concessioni di beni immobili appartenenti al demanio dello Stato, fermo restando quanto previsto dall’art. 57, settimo comma; la norma è di carattere finanziario e non di interpretazione autentica, come rilevano sia i lavori preparatori sia la lettera della disposizione. La stessa, quindi, si applica solo per il futuro, e non rileva, quindi, nel caso in giudizio in quanto il contratto di concessione è antecedente all’entrata in vigore della norma (atto pubblico registrato il 19 gennaio 2010).
L’art. 45, d.P.R. n. 131 del 1986 prevede la base imponibile per l’imposta di registro dell’ammontare del canone o del corrispettivo pattuito, intendendosi norma specifica rispetto alla generale previsione dell’art. 43. La base imponibile, infatti, è costituita dal corrispettivo o in alter nativa dal canone per le concessioni; mentre l’art. 43, primo comma, lettera h, prevede, in via generale, la base imponibile nell’ammontare dei corrispettivi pattuiti per l’intera durata del contratto.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, in diversa composizione, cui demanda anche di liquidare le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26/09/2024.