Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14317 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 14317 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 35018/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA, che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENETO n. 1333/2018 depositata il 23/11/2018,
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha impugnato l’avviso di liquidazione, con cui l’RAGIONE_SOCIALE ha richiesto la maggiore imposta di successione con riferimento all’asse ereditario del defunto coniuge, raddoppiando il valore di alcuni beni (titoli e crediti costituiti dal saldo del conto corrente), previa esclusione dell’imputazione degli stessi per la sola metà in virtù del regime di comunione legale.
2.Il ricorso è stato rigettato in primo grado, con sentenza confermata in appello. Il giudice di primo grado ha escluso che la documentazione prodotta dalla ricorrente fosse idonea a provare che la giacenza del conto corrente ed i titoli fossero stati acquisiti in costanza di matrimonio e non fossero beni personali del de cuius . Nella sentenza di appello si osserva che «il contribuente illustra la situazione finanziaria dei coniugi con precisione senza però dare prove convincenti della esistenza dei flussi finanziari dalla stessa contribuente nei confronti del marito. Detta prova viene richiesta dalla legge per riconoscere, anche ai fini della tassazione, la titolarità dei beni mobili. Né aiuta la presentazione di atti e documenti scritti in lingua tedesca che, anche nel caso in cui fossero stati elementi utili a fornire prova, non potrebbero essere presi in considerazione data la mancanza di una traduzione asseverata…. E’ probabile e credibile che la sig.ra NOME abbia contribuito alla formazione del patrimonio investito in titoli e azioni intestati al marito; ma mancando la prova …. la Commissione non può accogliere il ricorso».
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la contribuente.
Si è costituita con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE, che ha eccepito la tardività del ricorso e ne ha chiesto, comunque, il rigetto.
Risultano depositate la memoria della contribuente e le conclusioni scritte della Procura Generale, che ha chiesto accogliersi il ricorso.
8.La causa è stata trattata e decisa all’udienza pubblica del 17 maggio 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La contribuente ha dedotto: 1) la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 177, lett a, cod.civ ., in virtù del quale gli investimenti compiuti dai coniugi, insieme o separatamente, durante il matrimonio cadono immediatamente nella comunione legale, senza alcuna necessità di accertare il contributo dei coniugi alla formazione del patrimonio comune; 2) e 3) la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 3, cod.proc.civ., dell’art. 177, lett c, cod.civ., in virtù del quale i proventi dell’attività separata dei coniugi (compresi i proventi confluiti nel conto corrente), se al momento dello scioglimento della comunione non sono stati consumati, cadono nella comunione de residuo ; 4) l ‘error in procedendo , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., costituito dal mancato esame dei documenti in lingua tedesca, che non devono essere necessariamente tradotti; 5) l ‘error in procedendo , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ., costituito dall’omessa pronuncia sulla censura avente ad oggetto il difetto di motivazione dell’atto impugnato.
In primo luogo va rigettata l’eccezione di tardività del ricorso, dovendo applicarsi al presente giudizio la sospensione di cui all’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, convertito in legge n. 136 del 2018.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che si ritiene condivisibile, difatti, in tema di condono fiscale, esulano dal
concetto normativo di lite pendente e, quindi, dalla possibilità di definizione agevolata, soltanto le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo, emanati senza il previo esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, cioè senza accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni, mentre, invece, rientra nell’ambito applicativo del beneficio la controversia conseguente all’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di successione il quale partecipi, nella sostanza, alla funzione propria dell’accertamento, in quanto emesso previa valutazione e rettifica, da parte dell’ufficio finanziario, della congruità dei valori e dell’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE passività dichiarate, derivandone, in tal caso, la persistente controvertibilità del presupposto della materia imponibile (così, tra le altre, Cass., Sez. 5, 5 dicembre 2019, n. 31804). Tali principi, affermati con riferimento ad altre discipline, valgono anche con riferimento al d.l. n. 119 del 2018, convertito in legge n. 136 del 2018.
Ne consegue che, avendo l’RAGIONE_SOCIALE rettificato in aumento alcuni degli importi imponibili indicati dalla ricorrente nella dichiarazione di successione (crediti e titoli), il provvedimento impugnato non integra un mero atto di liquidazione, ma piuttosto un atto impositivo, che ricade nell’ambito applicativo dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, convertito in legge n. 136 del 2018, in quanto partecipa della funzione propria dell’accertamento.
In ordine al ricorso in esame, va ricordato che, secondo l’orientamento di questa Corte, i n tema di imposta sulle successioni, siccome al momento della morte del coniuge si scioglie la comunione legale sui titoli (quali azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote di fondi di investimento etc) in deposito presso banche (c.d. dossier) ed anche la comunione differita – o de residuo – sui saldi attivi dei depositi in conto corrente, l’attivo ereditario, sul quale determinare l’imposta, è costituito soltanto dal 50% RAGIONE_SOCIALE
disponibilità bancarie, pure se intestate al solo de cuius (Cass., Sez. 5, 23 febbraio 2011, n. 4393; v. anche Cass., Sez. 5, secondo cui, in tema di imposta sulle successioni, il saldo attivo di un conto corrente bancario, intestato – in regime di comunione legale dei beni – soltanto ad uno dei coniugi e nel quale siano affluiti proventi dell’attività separata svolta dallo stesso, se ancora sussistente entra a far parte della comunione legale de residuo dei beni, ai sensi dell’art. 177, primo comma, lett. c), cod. civ., al momento dello scioglimento della stessa, determinato dalla morte, con la conseguente insorgenza, solo da tale epoca, di una titolarità comune dei coniugi sul predetto saldo; lo scioglimento attribuisce invero al coniuge superstite una contitolarità propria sulla comunione e, attesa la presunzione di parità RAGIONE_SOCIALE quote, un diritto proprio, e non ereditario, sulla metà dei frutti e dei proventi residui, già esclusivi del coniuge defunto -in applicazione di tale principio, la S.C. ha rigettato il ricorso dell’RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del giudice tributario che aveva ritenuto che l’imposta di successione fosse stata illegittimamente liquidata e corrisposta sull’intero asse ereditario mentre le attività relative ai conti correnti e titoli dovevano essere tassati al cinquanta per cento, con conseguente rimborso della maggiore imposta versata).
Invero, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 346 del 1990 l’attivo ereditario, base imponibile dell’imposta sulle successioni, è costituito da tutti i beni e diritti che formano oggetto della successione (ad esclusione di quelli non soggetti all’imposta a norma degli artt. 2, 3, 12,13), per la individuazione dei quali si deve fare capo alle ordinarie disposizioni dettate dal codice civile, tra cui quelle che regolano la comunione legale tra coniugi, in particolare l’art. 177 cod.civ. (ai sensi del quale, costituiscono oggetto della comunione:
a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni
personali;
b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione, c) i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati, d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio). Da tale premessa, deriva che, determinando la morte di un coniuge lo scioglimento della comunione legale (visto che la comunione non può proseguire venuto meno il vincolo coniugale, nonostante l’art. 191 cod.civ. faccia riferimento solo alla dichiarazione di morte presunta e non alla morte effettiva), i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi e i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, percepiti, ma non consumati al momento dello scioglimento della comunione, confluiscono nella stessa, sicché, per la metà, divengono di titolarità dell’altro coniuge e non ricadono nell’asse ereditario del de cuius .
Siffatta contitolarità riverbera i suoi effetti anche a fini fiscali e non viene scalfita dalle disposizioni sulla presunzione di appartenenza all’attivo ereditario dettate dall’art. 11 del d.lgs. n. 346 del 1990. Del resto, prima dell’abrogazione del comma 2 dell’art. 11 del d.lgs. n. 346 del 1990, il legislatore aveva espressamente precisato che la presunzione ( iuris tantum ) ivi sancita di appartenenza esclusiva al defunto dei beni mobili, titoli al portatore, azioni e crediti, cointestati anche ad eredi o legatari, non si applicasse per i beni e i diritti cointestati al coniuge ed oggetto della comunione legale, confermando che le presunzioni dettate per la determinazione dell’asse ereditario non possono prevalere rispetto al regime della comunione legale.
In definitiva, nella controversia insorta tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria relativamente all’individuazione dei beni facenti parte dell’asse ereditario, l’accertamento della inclusione di un bene nella comunione legale deve avvenire in base
alle ordinarie regole di ripartizione dell’onere della prova, non incidendo né le presunzioni di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 346 del 1990 né quella di cui all’art. 195 cod.civ., che opera solo in sede di divisione e tra i condividenti.
3. Fatte queste premesse, occorre esaminare preliminarmente il quarto motivo, con cui la ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod.proc.civ., per violazione degli artt. 122 e 123 cod.proc.civ., in quanto il giudice di appello ha ritenuto non dimostrata l’appartenenza dei beni controversi alla comunione senza esaminare i documenti prodotti in lingua tedesca per la mancanza di una traduzione asseverata (documenti decisivi in base alle allegazioni difensive della parte, in quanto diretti a dimostrare l’avvenuto acquisto dei titoli durante il matrimonio e la confluenza sul conto corrente di somme comuni). Difatti, la questione della prova dell’appartenenza dei beni in esame alla comunione legale tra i coniugi è pregiudiziale rispetto all’applicazione del relativo regime -applicazione esclusa dai giudici di merito, i quali hanno, al contrario, ritenuto trattarsi di beni personali del de cuius proprio in ragione del materiale probatorio.
Precisato che la dimostrazione dell’appartenenza dei beni in esame alla comunione (originaria o de residuo ) non presuppone la esistenza di flussi finanziari dalla moglie al marito, contrariamente a quanto sembra affermare il giudice di appello, la sentenza impugnata è effettivamente incorsa in una violazione degli artt. 122 e 123 cod.proc.civ. Difatti, secondo l’orientamento di questa Corte, ai sensi degli artt. 122 e 123 c.p.c., applicabili ex art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 al giudizio tributario, in tale processo, come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non per i documenti prodotti dalle parti che, se redatti in lingua straniera, devono ritenersi acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione, avendo il giudice la
facoltà, ma non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, del quale può fare a meno allorché sia in grado di comprendere il significato degli stessi documenti, o qualora non vi siano contestazioni sul loro contenuto o sulla loro traduzione giurata allegata dalla parte (Cass., Sez. 5, 9 novembre 2022, n. 33079). Dalla ritualità della produzione istruttoria dei documenti in lingua straniera deriva che, in tema di valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, l’art. 122 cod. proc. civ., che prescrive l’uso della lingua italiana in tutto il processo, non esonera il giudice dall’obbligo di prendere in considerazione qualsiasi elemento probatorio decisivo, ancorché espresso in lingua diversa da quella italiana, restando affidato al suo potere discrezionale il ricorso ad un interprete a seconda che sia o meno in grado di comprenderne il significato o che in ordine ad esso sorgano contrasti tra le parti (cfr. Cass. 24/01/2011, n. 1608).
Né può condividersi la tesi della controricorrente, secondo cui la Commissione tributaria regionale ha esaminato i documenti redatti in lingua straniera, ma li ha ritenuti ininfluenti. Difatti, in sentenza non vi è alcun riferimento al contenuto di tali documenti, affermandosi, invece, che, anche laddove essi potessero essere rilevanti ai fini della prova, «non potrebbero essere presi in considerazione data la mancanza di una traduzione asseverata».
L’accoglimento di tale censura comporta l’assorbimento di tutti gli altri motivi.
In conclusione, va accolto il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata ed il giudizio rinviato alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, cui è demandata anche la regolamentazione RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 17/05/2024.