Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18869 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18869 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
Cartella di pagamento -Irap 2005
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15639/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME sito in Roma, INDIRIZZO c/o studio RAGIONE_SOCIALE
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege ,
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. CALABRIA n. 3280/2020, depositata in data 12 novembre 2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 giugno 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA scaturita dalla liquidazione ex art. 36 bis d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e 54 bis d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633 della dichiarazione modello unico 2006, presentata per l’anno di imposta 2005, dalla quale era emersa la totale assenza dei versamenti di imposta a debito a titolo IRAP e recuperando l’importo di € 176.544,00 anche a titolo di credito di imposta per investimenti in aree svantaggiate.
Avverso la cartella di pagamento, la Curatela fallimentare della RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Reggio Calabria, la quale, con sentenza n. 1194/2016, lo accoglieva asserendo la nullità del ruolo siccome non preceduto dalla notifica della comunicazione d’irregolarità di cui agli artt. 36/bis Dpr 600/73.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla C.t.r. della Calabria; la Curatela si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 3280/2020, depositata in data 2 dicembre 2020, la C.t.r. adita accoglieva l’appello dell’Ufficio ritenendo che non era necessario l’invio della comunicazione contenente l’esito della liquidazione essendo il ruolo contenuto nella cartella di pagamento stato formato nel rispetto della previsione di cui all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Calabria, la Curatela fallimentare ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 4 giugno 2025.
Considerato che:
1.1. Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’artt. 36 bis d.p.r. n. 29 settembre 1973 n. 600 e art. 6, quinto comma, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», la Curatela fallimentare denuncia l’ error in iudicando , nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che non sussisteva l’obbligo dell’invio della comunicazione di irregolarità posto che dal controllo automatico non emergeva un risultato diverso da quello indicato nella dichiarazione laddove doveva opinarsi diversamente in quanto il presunto credito erariale nascente dalla liquidazione della dichiarazione Mod. Unico anno d’imposta 2005 era frutto in parte del mancato versamento dell’IRAP ed in altra parte del recupero del credito di imposta per l’incremento occupazionale.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.», la Curatela fallimentare lamenta l’ error in iudicando , nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che non sussistevano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione al punto da non rendere necessario l’invio della propedeutica comunicazione di irregolarità.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e art. 36, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» , la Curatela fallimentare deduce l’ error in procedendo , nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha sostenuto che le contestazioni mosse in ordine al recupero del credito d’imposta non fossero state in alcun modo documentate dalla società contribuente senza motivare congruamente, adottando anzi una motivazione apparente.
Ragioni di natura logico-giuridica impongono la preventiva disamina del terzo motivo che attiene alla denuncia del vizio di
apparenza della motivazione, che -se fondato -sarebbe assorbente delle altre doglianze.
Esso, tuttavia, si prospetta privo di fondamento e deve, perciò, essere respinto.
2.1 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. stesso codice, è desumibile il principio secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto, determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. n. 6758 del 2022).
Questo principio, in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (comprese le sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma secondo, del d.lgs. 546/1992, è applicabile anche al rito tributario (Cass. n. 13990 del 2003; Cass. n. 9745 del 2017). Va osservato, inoltre, che a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. sez. un. 8053 del 2014; Cass. n.
23940 del 2018), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., da ultimo, anche Cass. n. 7090 del 2022).
2.2 La sentenza in esame, non solo presenta i requisiti richiesti, contenendo lo svolgimento del processo e i fatti essenziali di causa, ma si connota per l’esplicazione di una ratio decidendi chiaramente intellegibile, sicché la sua motivazione si colloca ben al di sopra della soglia del minimo costituzionale ex art. 111 cost. comma 6. La C.t.r., invero, con una motivazione della quale è agevole scorgere l’iter logico -giuridico sottostante, ha ritenuto: – da un lato, che non era necessaria la propedeutica comunicazione della cartella perché il ruolo ivi contenuto è stato formato in ossequio ai presupposti di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 600 del 1973 nonché ai principi dello Statuto del contribuente; -dall’altro, che la documentazione probatoria fornita con riferimento all’asserito credito di imposta non era stata prodotta.
Il primo motivo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono anch’essi infondati.
3.1 Costituisce principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui l’art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000 non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma solo quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione quest’ultima che non ricorre quando la cartella sia stata emessa in ragione del mero mancato pagamento di quanto risultante dalla dichiarazione, sicché in tale ipotesi non è dovuta comunicazione di irregolarità (cfr., tra tante, Cass. n. 18405/2021).
3.1. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha fatto buon governo dei principi testé declinati, avendo, appunto, escluso la necessità della propedeutica comunicazione della cartella perché il ruolo ivi contenuto è stato formato nel rispetto di quanto previsto d all’art.
36 del d.P.R. n. 600 del 1973, oltre che in conformità ai principi dello Statuto del contribuente.
3.2. Ancora, risulta ex actis che il credito di imposta utilizzato dalla ricorrente con i codici tributo 675, 6756, 6757 sono relativi al credito d’imposta per l’incremento occupazionale, ai sensi dell’art. 63, comma 1, lett. B), legge n. 289/2002, che non ha alcuna attinenza con il credito d’imposta a cui si riferisce la parte ricorrente, che è quello maturato ai sensi dell’art. 62, comma 1, lett. a), legge cit., riconosciuto a seguito di un’istanza telematica; pertanto, il contribuente ha utilizzato in compensazione un credito d’imposta per l’incremento occupazionale non esposto in dichiarazione atteso che la contestazione della curatela è improntata sul mancato riconoscimento del diverso credito d’imposta per gli investimenti su cui l’ufficio non ha operato alcuna correzione.
4.1. Nel caso affrontato, la C.t.r. ha correttamente motivato laddove ha opinato che, in ordine al recupero del credito di imposta, non era stata fornita la prova contraria; invero, la ricorrente ha compilato il quadro RU corrispondente al credito d’imposta per gli investimenti agevolabili mentre è stato utilizzato un credito d’imposta per l’incremento occupazionale che non era esposto in dichiarazione.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, in un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore de ll’Agenzia delle Entrate, dei compensi del presente giudizio, che si liquidano in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 4 giugno 2025.