Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9910 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9910 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 19200/2023, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-resistente –
avverso la sentenza n. 8/2023 della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado di Bolzano, depositata il 16 febbraio 2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione tributaria di primo grado di Bolzano dichiarò inammissibile il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso il silenzio-rifiuto formatosi su lla sua istanza di rimborso dell’Ires per l’anno d’imposta 2011.
L’istanza di rim borso era stata avanzata dalla contribuente dopo la presentazione di una dichiarazione integrativa di sintesi contenuta nel Modello Unico 2014, con la quale essa aveva portato in detassazione, ai sensi dell’art. 6 della l. n. 388/2000 (cd. Tremonti ambiente ), l’importo precedentemente investito nella realizzazione di un impianto fotovoltaico.
La sentenza indicata in epigrafe, resa all’esito del giudizio di appello promosso da RAGIONE_SOCIALE ha confermato la decisione di prime cure.
I giudici del gravame, in particolare, hanno osservato:
che la società aveva in realtà impugnato tanto il silenzio-rifiuto formatosi sulla sua istanza di rimborso, quanto il successivo rigetto disposto dall’Agenzia delle entrate ;
che quest’ultimo , in particolare, era consistito nel fatto che, all’esito di controllo formale sulla dichiarazione ex art. 36 -bis del d.P.R. n. 600/1973, l’ Amministrazione aveva indirizzato alla società una comunicazione di irregolarità, per il tramite del suo consulente fiscale;
che, giusta quanto disposto da ll’art. 21 del d.lgs. n. 546/1992 , il provvedimento espresso dell’ Amministrazione si era così sostituito al
precedente silenzio-rifiuto, caratterizzandosi come idoneo a cristallizzare i rapporti fra le parti in mancanza di impugnazione;
-che, conseguentemente, erano inammissibili tanto l’impugnazione del silenzio -rifiuto, perché superato dal diniego espresso, quanto l’impugnazione di quest’ultimo, perché tardivamente intervenuta;
che a tale ultimo riguardo, poi, non era applicabile la dilazione prevista dall’art. 2 -bis del d.l. n. 203/2005, applicabile alla contestazione effettuata con comunicazione telematica al consulente fiscale, che non interferisce con il termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale.
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Amministrazione finanziaria ha depositato controricorso.
Il 16 novembre 2024 il Consigliere delegato della Sezione tributaria ha formulato proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.; la società ha depositato istanza di decisione ai sensi dell’art. 380 -bis , comma secondo, cod. proc. civ.; è stata così fissata udienza camerale per la discussione, in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Il primo motivo è rubricato «violazione e/o falsa applicazione dell ‘ art. 36 bis d.p.r. 600/1973 e dell ‘ art. 6, commi da 13 a 19, l. 388/2000, nonché del combinato disposto di cui agli artt. 19, d.lgs. 546/1992, 6, comma 5, e 7 l. 212/2000».
La ricorrente contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito valore di diniego del rimborso alla comunicazione di irregolarità ex art. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 inviatale dall’amministrazione finanziaria.
In primo luogo, infatti, tale ultima sarebbe consentita nelle sole ipotesi di controllo meramente cartolare, avente ad oggetto oneri non deducibili in base ad un rilievo materiale ed immediato; si tratterebbe, inoltre, di atto sprovvisto dei requisiti tipici del provvedimento impugnabile e avente carattere meramente interlocutorio.
Con il secondo motivo, la sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha ritenuto inapplicabile la dilazione del termine prevista dall’art. 2 -bis del d.l. n. 203/2005 , concernente il caso in cui l’atto dell’amministrazione finanziaria è stato comunicato al contribuente mediante invio telematico all’intermediario .
La ricorrente sostiene, per un verso, che tale statuizione sarebbe nulla per motivazione apparente; nonché, e per altro verso, che essa sarebbe errata, perché l’interpretazione della norma offerta dai giudici d’appello finirebbe con l’escludere che la comunicazione telematica produca, nell’ottica del contribuente, gli stessi effetti della notifica di un provvedimento.
Il primo motivo non è fondato.
3.1. La comunicazione di irregolarità effettuata all’esito dello svolgimento di controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, contenente il rilievo di poste non deducibili, è finalizzata a « ridurre i crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione » (così, fra le altre, Cass. n. 17750/2023; Cass. n. 30804/2022; Cass. n. 5446/2022).
In tal senso, e come da tempo affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, essa è idonea a « portare comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma
autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992 » (in questi termini, Cass. n. 21045/2007; successivamente, fra le numerose altre, si vedano Cass. n. 7344/2012; Cass. n. 23460/2017; Cass. n. 3775/2018; Cass. n. 18998/2021).
3.2. Ed invero, il disconoscimento , da parte dell’Erario, dell’importo che la società aveva dedotto ai fini Ires con la dichiarazione integrativa allegata al Modello Unico 2015, in relazione al quale la stessa aveva poi poi avanzato istanza di rimborso, costituisce atto d ‘ esercizio della potestà impositiva e vale a portare a conoscenza della contribuente una ben precisa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti.
Con esso, pertanto, l’Amministrazione ha certamente espresso il suo diniego alla richiesta di rimborso che la contribuente le aveva rivolto.
Del resto, poiché la deduzione riguardava una precedente annualità, comportando la diminuzione della base imponibile sulla quale la società aveva già interamente versato le imposte, non era ipotizzabile il ricorso, da parte dell’Erario, all’adozione di un atto impositivo; la rettificazione del reddito oggetto di dichiarazione integrativa poteva dunque comportare solo la comunicazione dell’esito del controllo formale, con il connesso disconoscimento dei crediti d’imposta che vi erano rappresentati.
Il secondo motivo è anzitutto infondato nel profilo concernente la motivazione della sentenza impugnata.
4.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che il difetto di motivazione della sentenza ricorre allorquando il giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.) e fissato dall ‘ art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. e dall ‘omologa previsione contenuta nell’art. 36, comma
2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre (anche concisamente) i motivi in fatto e diritto della decisione.
Ciò si verifica quando il giudice non illustra le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ovvero non chiarisce su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
È poi noto, in tal senso, che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014), ma anche quelle sorrette da una motivazione che, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, è tuttavia tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
4.2. Si è in presenza, dunque, di una ‘ motivazione apparent e’ quando la stessa, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, così da non attingere la richiamata soglia del ‘ minimo costituzionale ‘.
In tale caso, la mera apparenza della motivazione è causa di nullità della sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
4.3. Tale fattispecie non ricorre nel caso qui in esame.
La motivazione della sentenza è, infatti, pienamente comprensibile, perché i giudici d’appello hanno chiarito le ragioni per le quali hanno ritenuto inapplicabile la dilazione prevista dall’art. 2 -bis del d.l. n. 203/2005, come dimostra, del resto, il fatto che, sul punto, la ricorrente ha potuto svolgere ampie e puntuali difese nel merito.
4.4. Anche nel suo secondo profilo il motivo non è fondato.
Nel testo vigente all’epoca dei fatti, l’art. 2 -bis del d.l. n. 203/2005 disponeva, al comma 2, che la comunicazione di irregolarità fosse effettuata con mezzi telematici agli intermediari (consulenti fiscali e professionisti incaricati) i quali, se previsto nell’incarico di trasmissione, dovevano portare a conoscenza dei contribuenti interessati, tempestivamente e comunque nei termini di cui all ‘ art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462/1997, e ss.mm., gli esiti della liquidazione delle dichiarazioni contenuti nell ‘ invito.
Detto ultimo segmento temporale , sempre all’epoca dei fatti, era fissato in trenta giorni e, come correttamente rilevato nella proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., determinava il successivo decorso del termine per impugnare.
Pertanto, poiché la comunicazione all’intermediario ebbe luogo il 5 settembre 2019, il termine per proporre ricorso giurisdizionale sul diniego decorreva dal 5 ottobre successivo ed era destinato a scadere il 4 dicembre 2019.
L’impugnazione, proposta il 2 gennaio 2020, era pertanto tardiva, come rilevato dal giudice a quo .
In conclusione, poiché entrambi i motivi sono infondati, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
La stessa va inoltre condannata, ai sensi dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., richiamati dall’art. 380bis cod. proc. civ., al pagamento delle ulteriori somme pure liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito, e alla somma di € 2.800,00, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., a titolo di responsabilità aggravata; condanna, altresì, la ricorrente al pagamento della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende , ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.