Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34459 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34459 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
NOMECOGNOMENOME COGNOME
-intimato – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. BASILICATA, n. 104/2016, depositata l’11 marzo 2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Irpef-avviso- accertamento- Incremento patrimoniale- simulazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23252/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-ricorrente – contro
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate ricorre nei confronti di NOME COGNOME che non ha svolto attività difensiva, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. della Basilicata ha accolto l’appello del contribuente avverso la sentenza della C.t.p. di Matera che aveva rigettato il ricorso spiegato a vverso l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno di imposta 2006 (oltre che per gli anni 2007 e 2008 oggetto di separati ricorsi), era stato accertato in via sintetica un maggior reddito di euro 120.000,00 pari alla a quota di 1/5 dell’incremento patrimoniale derivante dall’acquisto di un terreno , nell’anno 2010 , per il prezzo dichiarato di euro 600.000,00.
La C.t.p. rigettava la domanda ritenendo che il contribuente non avesse provato quanto dal medesimo allegato, ovvero che si trattava di una vendita simulata e che il terreno, in realtà, gli era stato donato dalla zi a che non aveva mai incassato l’assegno tratto a pagamento.
La C.t.r., in riforma della sentenza di primo grado, affermava invece, che dalla documentazione bancaria esaminata emergeva che non vi era stato alcun esborso effettivo in quanto l’a ssegno, non trasferibile, a mezzo del quale sarebbe dovuto avvenire il pagamento del corrispettivo, non era stato mai negoziato; che il relativo importo non era mai stato addebitato sul conto corrente del contribuente e dei suoi familiari; che la dichiarazione resa dall’alienante aveva il valore di controdichiarazione circa il reale contratto voluto dalle parti; che i motivi sottesi all’operazione , volti ad eludere le norme in materia di eredità erano del tutto irrilevanti ai fini della presunta onerosità del trasferimento.
Considerato che:
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. in
combinato disposto con gli artt. 72, 1414, comma 2, 1418, 1421, 2704, 2725, secondo comma, e 2726 cod. civ.
L’Ufficio individua l’oggetto del contendere nella questione relativa all’opponibilità o meno al Fisco di una donazione simulata ( rectius dissimulata) da una compravendita per atto pubblico ed assume che la C.t.r. ha errato nel ritenere che la dichiarazione dell’alienante fungesse da controdichiarazione. Osserva che la donazione è nulla per vizio di forma e non può produrre effetto tra le parti; che la controdichiarazione non riveste la forma della scrittura privata.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. ci v. violazione dell’art. 38 d.P.R . 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 115 cod. proc. civ. , dell’art. 2697cod. civ.
Con una prima critica, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto sufficiente a provare la simulazione il mancato incasso dell’assegno emesso a pagamento del prezzo, sebbene la prov vista potesse derivare anche da altre fonti. Con una seconda critica, censura la sentenza per aver ritenuto irrilevanti le ragioni che avrebbero portato le parti a dissimulare la donazione, ipotizzando la volontà di eludere le norme ereditarie, sebbene il contribuente avesse allegato un motivo del tutto implausibile e non provato, ovvero la necessità di un tempo maggiore per stipulare la donazione che gli avrebbe impedito di partecipare ai bandi per ottenere contributi regionali.
Il primo motivo è infondato.
3.1. L’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la legge n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di
determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
3.2. Costante orientamento di legittimità afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa (tra le più recenti Cass. 13/06/2023, n. 16904, Cass. 28/12/2022, n. 37985). Conseguentemente, l’accertamento non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, oltre che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, anche che, più in generale, il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142, Cass. 24/10/2005, n. 20588).
3.3. La prova contraria ben può consistere nella dimostrazione che i beni o gli importi individuati quali indici di capacità contributiva non siano effettivamente entrati nella disponibilità del contribuente, in quanto derivanti da un atto simulato, che non ne implica la corrispondente e reale disponibilità economica (Cass. 10/10/2014, n. 21442); ugualmente, può consistere nella dimostrazione che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l’effettuata acquisizione di beni non denota una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poiché il contratto stipulato, in
ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita anziché quella onerosa apparente (Cass. 08/05/2024, n. 12527).
3.4. Con riferimento ai limiti codicistici alla prova dell’accertamento della simulazione (relativa, nel caso di specie) che le parti del contratto simulato possono legittimamente fornire, questa Corte ne ha già escluso la rilevanza, evidenziando che il giudizio non ha ad oggetto un’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità del contratto simulato oppure a far valere gli effetti di quello dissimulato; che, piuttosto, l’argomento speso è inteso dimostrare – esercitando il diritto di provare l’inconsistenza del dato presunto – l’infondatezza della pretesa fiscale, originata dalla constatazione di una capacità di spesa che la contribuente assume inesistente perché, a fronte degli atti di compravendita immobiliare stipulati, non avrebbe pagato alcun prezzo (Cass. 14/06/2022, n. 19201, Cass. 11/11/2020, n. 25414).
Quanto alla controdichiarazione, si è affermato che anche al contribuente, oltre che all’amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuta – in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’art. 111 Cost. – la possibilità d’introdurre nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, e, quindi, anche dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate – non potendo costituire da sole il fondamento della decisione – nel contesto probatorio emergente dagli atti (Cass. 04/04/2022, n. 10872
3.5. La C.t.r., nel valutare le prove addotte, ivi inclusa la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà rilasciata dall’alienante, ha fatto corretta applicazione di questi principi.
Il secondo motivo è fondato.
4.1. Questa Corte, pronunciandosi sulla medesima fattispecie, ma con riferimento ai redditi del contribuente relativi all’anno di imposta 2010 (cfr. Cass. 20/05/2022, n. 16399), ha già evidenziato che in materia di accertamento dell’imposta sui redditi, ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione del l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 la sottoscrizione di un atto pubblico (nella specie, una compravendita) contenente la dichiarazione di pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente, può costituire elemento sulla cui base determinare induttivamente il reddito da quello posseduto, in base all’applicazione di presunzioni semplici, che l’ufficio finanziario è legittimato ad applicare per l’accertamento sintetico, risalendo dal fatto noto e quello ignoto, senza che possa ravvisarsi, nella disposizione che consente l’esercizio di tale potere, una violazione del principio costituzionale della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., essendo sempre consentita al contribuente la prova contraria in ordine al fatto che manca del tutto una disponibilità patrimoniale, essendo questa meramente apparente, per avere, l’atto stipulato, in ragione della sua natura simulata, una causa gratuita anziché quella onerosa apparente.
Si è aggiunto che tale prova contraria, tuttavia, non può consistere nella sola esibizione di documentazione bancaria che, se idonea a dimostrare il possesso di altri redditi esenti o assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta e, dunque, a provare la natura e la provenienza della provvista utilizzata per l’acquisto, ove, al contrario, venga posta a fondamento della gratuità del negozio originante l’accertamento, può costituire, al più, uno degli indizi da allegare, ma non il solo, giacché in tal caso l’assenza di riscontri della provvista nella documentazione bancaria non impedisce di ritenere che essa sia stata diversamente ed occultamente acquisita. Infatti, in materia di simulazione negoziale, specie con riguardo al pagamento del prezzo, la
prova negativa costituita dalla documentazione bancaria è di per sé stessa inidonea a dimostrare la diversa causa negoziale sottostante al tipo formalizzato, atteso che le risultanze degli estratti conto non hanno alcuna attinenza certa e causalmente efficiente rispetto all’adempimento dell’obbligazione del prezzo, nel negozio, simulato come oneroso che si assume celarne uno gratuito, atteso che la provvista necessaria all’adempimento del prezzo può provenire dalle tante altre fonti, e può avere come sua destinazione tanti altri canali, non esauribili – né quelle né questi – in quelli bancari (Cass. 17/0/2002, n. 8665).
4.2. Quanto alla controdichiarazione, si è già detto che è consentito il suo ingresso nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie; va ribadito, tuttavia, che detta dichiarazione ha il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali deve essere valutata. Infatti, non viene meno in capo al giudice tributario il potere-dovere di valutare l’attendibilità del contenuto della stessa, esigendo la corretta applicazione del principio della libera valutazione delle prove, l’obbligo di confrontare le propalazioni raccolte e di valutare la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con eventuali altri elementi acquisiti» (Cass. 27/02/2020, n. 5340, conformi Cass. Cass. 16/03/2018, n. 6616 e Cass. 21/01/2015, n. 960, ex plurimis ). Tali documenti, e le risultanze da essi emergenti, al pari delle dichiarazioni di terzi raccolte e prodotte dall’Ufficio, rilevano, quindi, quali elementi indiziari che possono concorre a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (cfr. Cass. 16/03/2018, n. 6616; Cass. 07/4/2017, n. 9080; Cass. 05/04/2013, n. 8639, ex plurimis ).
4.3. In tema di prova presuntiva, poi, si è precisato che il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ. ad ammettere
solo presunzioni gravi, precise e concordanti; che il requisito della precisione è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica; quello della gravità al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della concordanza, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza; che, inoltre, il giudice deve articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la violazione di legge può prospettarsi non solo quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ma anche quando fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota (Cass. 21/03/2022, n. 9054).
5. La C.t.r. non si è attenuta a questi principi. La stessa, infatti, al fine di concludere per la gratuità del trasferimento sotteso alla ripresa per cui è causa, si è limitata a rilevare che l’assegno corrisposto a pagamento del prezzo non era stato incassato né mai addebitato (elemento, come detto, questo inidoneo ex se a superare la presunzione correlata all’accertamento induttivo per cui è causa) ed a prendere atto della dichiarazione del venditore, zia del contribuente, precisando che quest’ultima fungeva da controdichiarazione, mentre avrebbe dovuto sottoporre la medesima a vaglio critico.
In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; ne consegue la cassazione della decisione impugnata con rinvio alla Commissione tributaria di secondo grato della Basilicata, in diversa composizione, affinché riesamini la vicenda processuale e liquidi, altresì, le spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2024.