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Comportamento antieconomico: non deducibili i costi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7731/2024, ha chiarito importanti principi sulla deducibilità dei costi. In particolare, ha stabilito che le sanzioni amministrative non sono mai deducibili a causa della loro natura punitiva. Inoltre, ha affermato che in caso di comportamento antieconomico, come la sistematica concessione di dilazioni di pagamento senza interessi a società collegate, l’onere di provare la logica economica dell’operazione ricade sul contribuente e non sull’Agenzia delle Entrate. La sentenza è stata cassata con rinvio per un nuovo esame su questi specifici punti.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Comportamento Antieconomico: Quando le Scelte Aziendali Fanno Perdere le Deduzioni Fiscali

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7731 del 22 marzo 2024) ha ribadito un principio fondamentale per ogni imprenditore: le scelte aziendali devono avere una solida giustificazione economica per essere fiscalmente valide. Un comportamento antieconomico, anche se posto in essere verso società dello stesso gruppo, può portare alla non deducibilità dei costi e a pesanti accertamenti fiscali. Analizziamo insieme questa importante pronuncia per capire come evitare errori costosi.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una serie di avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società a responsabilità limitata per gli anni d’imposta 2007, 2008 e 2009. Le contestazioni riguardavano maggiori imposte IRES, IRAP e IVA derivanti da diversi rilievi, tra cui la deducibilità di sanzioni, la gestione di finanziamenti e crediti commerciali con società partecipate, e la corretta imputazione temporale di alcuni costi.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato parzialmente ragione alla società, annullando gran parte degli accertamenti. L’Agenzia delle Entrate, insoddisfatta della decisione, ha proposto ricorso in Cassazione, basandosi su sei distinti motivi.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato punto per punto i motivi del ricorso, accogliendone alcuni e rigettandone altri. Le conclusioni più rilevanti per le imprese riguardano la deducibilità delle sanzioni e la gestione dei rapporti economici infragruppo.

Sanzioni Amministrative: Costo Indeducibile per Definizione

La Cassazione ha affermato con chiarezza un principio consolidato: le sanzioni pecuniarie, come quelle per omessa o tardiva dichiarazione di un tributo comunale, non sono mai deducibili dal reddito d’impresa. La loro funzione è puramente punitiva (ratio punitiva) e repressiva, derivando da un comportamento illecito. Ammetterne la deducibilità significherebbe neutralizzare il loro scopo, trasformando una sanzione in un risparmio d’imposta. Pertanto, non possono essere considerate un costo inerente all’attività d’impresa.

Il Comportamento Antieconomico e l’Onere della Prova

Il punto più interessante della sentenza riguarda la contestazione sulla gestione dei crediti commerciali. La società contribuente concedeva sistematicamente dilazioni di pagamento, senza applicare interessi, a diverse società partecipate. La CTR aveva ritenuto che spettasse all’Ufficio dimostrare la fruttuosità di tali crediti.

La Corte di Cassazione ha ribaltato questa conclusione, evidenziando il comportamento antieconomico del contribuente. Quando un’impresa agisce in modo palesemente contrario ai canoni dell’economia, come rinunciare a percepire interessi su crediti liquidi ed esigibili, scatta un’inversione dell’onere della prova. Non è più l’Agenzia a dover dimostrare l’esistenza di interessi non dichiarati, ma è il contribuente a dover fornire “le necessarie spiegazioni” per giustificare una condotta apparentemente illogica dal punto di vista imprenditoriale. La semplice appartenenza allo stesso gruppo societario non è una giustificazione sufficiente, poiché ogni società ha una propria autonomia patrimoniale e giuridica.

Costi Finanziari e IRAP: La Prevalenza della Sostanza sulla Forma

Un altro motivo di ricorso riguardava la deducibilità, ai fini IRAP, di commissioni di factoring, provvigioni su fideiussioni e commissioni su fido. L’Agenzia le riteneva oneri finanziari “assimilati” e quindi indeducibili. La Corte, tuttavia, ha dato ragione al contribuente. Ha specificato che non basta un’etichetta formale; occorre guardare alla sostanza economica dell’operazione. Nel caso di specie, la CTR aveva correttamente accertato che tali costi non remuneravano un finanziamento, ma servizi specifici: la gestione amministrativa del credito (factoring), il rilascio di una garanzia (fideiussione) e la disponibilità teorica di una linea di credito (fido). Trattandosi di costi per servizi, erano legittimamente deducibili dalla base imponibile IRAP.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi cardine del diritto tributario. La non deducibilità delle sanzioni è diretta conseguenza della loro natura afflittiva: un costo è deducibile solo se è inerente alla produzione del reddito. Un illecito, per definizione, non lo è.

Sul comportamento antieconomico, la Corte sottolinea che la libertà di iniziativa economica non è assoluta in ambito fiscale. Le scelte gestionali, per avere rilevanza ai fini della determinazione del reddito, devono essere coerenti con un criterio di razionalità economica. Rinunciare sistematicamente a un provento (gli interessi attivi) senza una valida e provata ragione commerciale fa sorgere la presunzione che l’operazione nasconda un vantaggio fiscale indebito o una diversa realtà economica. L’onere di superare questa presunzione ricade su chi ha posto in essere tale comportamento.

Infine, per quanto riguarda l’IRAP, la decisione conferma l’importanza del principio della prevalenza della sostanza sulla forma. La qualificazione di un costo non dipende dal suo nome, ma dalla sua reale funzione economica, che deve essere accertata dal giudice di merito.

le conclusioni

Questa sentenza offre preziose indicazioni operative per le imprese. In primo luogo, conferma che le sanzioni pagate all’erario o ad altri enti pubblici non devono mai essere portate in deduzione. In secondo luogo, e soprattutto, lancia un monito sulla gestione dei rapporti infragruppo e, più in generale, su ogni scelta che possa apparire priva di logica economica. È fondamentale documentare e poter giustificare le ragioni imprenditoriali sottostanti a operazioni come finanziamenti infruttuosi o dilazioni di pagamento gratuite, specialmente se sistematiche. In assenza di prove convincenti, il Fisco è legittimato a procedere con un accertamento induttivo, invertendo l’onere della prova a svantaggio del contribuente.

Le sanzioni per tardivo pagamento di un’imposta sono deducibili dal reddito d’impresa?
No, la sentenza conferma che le sanzioni pecuniarie non sono mai deducibili. Hanno una funzione puramente punitiva e non sono considerate un costo inerente all’attività d’impresa, in quanto derivano da un comportamento illecito.

Se un’azienda concede sistematicamente dilazioni di pagamento senza interessi a società collegate, a chi spetta dimostrare la legittimità di tale operazione?
Spetta all’azienda (il contribuente). La Corte di Cassazione ha stabilito che un comportamento manifestamente antieconomico, come la rinuncia sistematica agli interessi attivi, inverte l’onere della prova. Il contribuente deve quindi fornire spiegazioni concrete e convincenti per giustificare tale scelta, che non può essere motivata dalla sola appartenenza al medesimo gruppo societario.

Le commissioni di factoring e per fideiussioni sono sempre considerate oneri finanziari non deducibili ai fini IRAP?
No, non sempre. La loro deducibilità dipende dalla loro natura sostanziale. Se le commissioni remunerano un servizio (come la gestione amministrativa del credito o il rilascio di una garanzia) e non direttamente un finanziamento, sono considerate costi per servizi e, pertanto, deducibili dalla base imponibile IRAP. L’analisi va fatta caso per caso, guardando alla funzione economica del costo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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