Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24773 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24773 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 5827/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso (PEC: EMAIL
EMAIL);
-ricorrente – contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia -sezione staccata di Siracusa n. 2901/16/2016, depositata l’ 8.08.2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Siracusa accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE già esercente l’attività di albergo con annesso
Oggetto: Tributi -Comportamento antieconomico -Contraddittorio preventivo
ristorante, avverso l’avviso di accertamento, per IRES, IRAP e IVA, in relazione all’anno 20 06, con il quale erano stati determinati maggiori ricavi, stante la gestione antieconomica dell’impresa che per diversi anni consecutivi aveva dichiarato perdite;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva parzialmente l ‘appello proposto dall ‘Agenzia delle entrate, ri ducendo l’ammontare dei ricavi accertati e rideterminando imposte e sanzioni;
dalla sentenza impugnata e dagli atti di causa si evince che:
-l’accertamento analitico induttivo effettuato dall’Ufficio era legittimo, perché fondato su presunzioni semplici, fornite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, a nulla rilevando la regolarità formale della contabilità;
-poiché l’attività esercitata non poteva essere equiparata a quella di altre strutture ricettive, in quanto era destinata ad accogliere prevalentemente flussi del turismo religioso, non era applicabile la redditività media del settore, sicchè la percentuale di incidenza dei costi diretti sui ricavi andava determinata nella misura del 90% e il maggiore reddito d’impresa andava ridotto, con conseguente riduzione delle imposte e delle sanzioni;
la contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi;
l ‘Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
-Preliminarmente va rilevato che, per effetto del principio della cd. “perpetuatio” dell’ufficio di difensore (di cui è espressione l’art. 85 c.p.c.), nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia che il difensore
del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza (cfr. Cass. n. 28365 del 29/09/2022);
per le stesse ragioni e sempre in via preliminare va rilevato che anche l’intervenuto fallimento della società e la successiva chiusura dello stesso, con conseguente cancellazione della società dal registro delle imprese, documentati dal difensore con nota del 19.01.2022, non determinano l’interruzione del giudizio di legittimità (cfr. Cass. n. 6642 del 2024 e n. 26452 del 2024) ;
ciò posto, con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che ricorressero i presupposti per l’accertamento induttivo e, segnatamente, che si potessero ravvisare circostanze gravi, precise e concordanti, dimostrative della condotta evasiva, non avendo considerato che nell’esercizio 2006 la società aveva esposto in dichiarazione un ammontare di utili di circa euro 15.000,00 e tale limitata entità era riconducibile alle scelte imprenditoriali della ricorrente che ospitava per lo più persone che si recavano in pellegrinaggio al Santuario INDIRIZZO di Siracusa, con disponibilità economiche limitate, sicchè mancava una effettiva antieconomicità della gestione, non potendosi effettuare la comparazione con strutture alberghiere di maggior prestigio e la percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza non poteva costituire di per sé un fatto noto da cui si potesse dedurre il reddito di impresa; aggiunge che la contribuente aveva comunque fornito idonea prova contraria;
con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. omesso esame di uno specifico motivo del gravame, relativo alla
contestata nullità dell’avviso di accertamento per omessa preventiva in considerazione del fatto che l’Ufficio, dopo avere ritenuto la presunta antieconomicità della gestione aziendale, ha poi in concreto applicato, per determinare i maggiori ricavi, le percentuali ricavate dagli studi di instaurazione del contraddittorio con la contribuente, anche settore degli alberghi e oggetto di ripresa era comunque anche l’IVA;
con il terzo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR motivato in modo apparente, contraddittorio e manifestamente illogico, avendo ridotto la pretesa utilizzando le argomentazioni fornite dalla contribuente per giustificare lo scostamento dei ricavi, mentre invece avrebbe dovuto annullare integralmente l’atto impositivo per mancanza del presupposto dell’antieconomicità;
con il quarto motivo deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR motivato in ordine alle ragioni sottese alla individuazione ed applicazione del criterio seguito per la determinazione dei maggiori ricavi, quantificato nella percentuale di incidenza dei costi del 90%, essendo parimenti incomprensibili anche i calcoli matematici effettuati nella sentenza.
il terzo e quarto motivo, che per priorità logica vanno esaminati prima e unitariamente, in quanto connessi, sono inammissibili, perché non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata che non ha negato l’antieconomicità della condotta, ma l’ha valutata in modo diverso, avendo considerato la concreta gestione imprenditoriale della contribuente;
i predetti motivi sono in ogni caso infondati;
è stato più volte affermato, infatti, che ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass., Sez. U. 3.11.2016, n. 22232);
la motivazione della sentenza impugnata non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel citato, consolidato e condivisibile, arresto giurisprudenziale, in quanto spiega, seppure in modo conciso ma comprensibile, che la società ricorrente aveva gestito un’attività commerciale in forma antieconomica per diversi anni consecutivi, dichiarando perdite, e l’Ufficio ha correttamente proceduto ad effettuare un accertamento con metodo analitico -induttivo, fondato sì su presunzioni semplici, ma gravi, precise e concordanti;
il giudice di appello ha ritenuto, quindi, di dover tenere conto della finalità solidaristica della struttura che offriva alloggio a ‘ povera gente che presenta problemi di salute ed affronta le spese di viaggio, di vitto e pernottamento per finalità del tutto diverse da quelle di soggetti che si recano in vacanza per esclusivi fini di divertimento e di relax ‘ , senza tuttavia trascurare la natura di impresa commerciale della società; la CTR ha condiviso il metodo analitico -induttivo di accertamento del reddito – adottato dall’Amministrazione finanziaria che ha preso le mosse dai dati desumibili dalla contabilità della società – ma ha poi deciso di ridurre i maggiori ricavi determinati dall’Ufficio;
anche con riferimento alla percentuale di ricarico adottata in sentenza, oggetto del quarto motivo, il giudice di appello ha motivato in modo comprensibile e sufficiente, non potendosi configurare una motivazione apparente, avendo la CTR ridotto i ricavi calcolati dall’Ufficio in relazione
alle ordinarie strutture ricettive, in considerazione delle finalità, anche solidaristiche, perseguite dalla contribuente;
alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, si deve ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
il primo motivo è pure infondato;
sul punto va richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, ‘l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni. Gli elementi assunti a fonte di presunzione, peraltro, non devono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su di un elemento unico, purchè preciso e grave, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata’ (Cass n. 26036/2015, n. 25217/2018, n. 27552/2018);
– è utile precisare, in proposito, che questa Corte ha affermato che « l’antieconomicità della gestione di un’impresa non può verificarsi solo quando essa concluda il proprio esercizio annuale con una perdita, ma anche quando chiuda il bilancio con un utile talmente esiguo, a fronte di ingenti investimenti sostenuti, da far ritenere senz’altro sconveniente il rischio d’impresa sopportato in rapporto al risultato conseguito » (Cass., 5 dicembre 2019, n. 31814, in
motivazione) e ciò sul presupposto, condiviso anche dalla dottrina, che l’attività produttiva è condotta con metodo economico quando è diretta al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi utilizzati mediante lo svolgimento con modalità tali da consentire, nel lungo periodo, la copertura dei costi con i ricavi, assicurando in tal modo l’autosufficienza economica;
-dall’avviso di accertamento, il cui contenuto è stato richiamato anche dalla sentenza impugnata, si evince che la società aveva dichiarato, per diversi anni consecutivi, perdite o utili irrisori, senza essere interessata da eventi imprevedibili o straordinari; si tratta di un comportamento anomalo che già di per sé è sufficiente a giustificare una rettifica del reddito, nonostante la struttura alberghiera fosse finalizzata ad accogliere anche ospiti con limitate disponibilità economiche;
anche il secondo motivo è infondato;
-sebbene la CTR abbia omesso di pronunciarsi sull’eccezione della contribuente, riguardante l’omessa instaurazione del contraddittorio preventivo, va premesso che, secondo l’indirizzo ormai costante di questa Corte, ‘Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto’ ( ex plurimis , Cass. 28.06.2017, n. 16171);
occorre altresì premettere che nel caso in esame è pacifico che l’accertamento di era svolto ‘a tavolino’;
orbene, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che in tema di accertamento tributario, qualora l’Amministrazione finanziaria non abbia proceduto a una verifica mediante accesso o ispezione presso la sede del contribuente e l’avviso di accertamento ha come oggetto tributi non armonizzati (Irpef e Irap) determinati «a tavolino», ossia presso gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria su base documentale, nessuna norma prevede l’obbligo di contraddittorio a pena di invalidità; mentre, se ha per oggetto un tributo armonizzato (come l’Iva), la mancata instaurazione del pur doveroso contraddittorio non può ritenersi causa d’invalidità dell’atto accertativo qualora il contribuente non abbia allegato cosa avrebbe fatto valere in sede amministrativa ove il contraddittorio endoprocedimentale fosse stato attivato (Cass. n. 10564 del 2022);
il contribuente ha, in ogni caso, l’onere di provare che l’osservanza del contraddittorio endoprocedimentale « avrebbe potuto comportare un risultato diverso » del procedimento impositivo, nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifica allorché, in sede giudiziale, risulta che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali (cd. prova di resistenza). Più in particolare, è stato affermato che, in relazione ai tributi «armonizzati», affinché il difetto di contraddittorio endoprocedimentale determini la nullità del provvedimento conclusivo del procedimento impositivo, non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far
valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto (Cass. Sez. Un. n. 24823 del 2015; Cass. n. 6619 del 2021; Cass. n. 14723 del 2021);
– secondo la giurisprudenza unionale, inoltre, il positivo superamento della c.d. prova di resistenza avviene, quando il contribuente illustra come e in che termini, il procedimento amministrativo, nel caso in cui il diritto di difesa fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (CGUE, 3 luglio 2014, Kamino, C-129/13 e C130/13, punti 78 e 79; CGUE, SC C.F. cit., punto 35);
– in ultimo, va condiviso anche il recente arresto giurisprudenziale di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 21271 del 2025), secondo il quale, con riguardo alla disciplina ratione temporis applicabile e alle verifiche ‘a tavolino’ su tributi armonizzati, ‘ la violazione dell’obbligo di contraddittorio procedimentale comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto gli elementi in fatto che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale essendo quella non idonea, secondo una valutazione probabilistica ex ante spettante al giudice di merito, a determinare un risultato diverso del procedimento impositivo.’;
-le Sezioni Unite hanno, dunque, chiarito che l’oggetto della prova di resistenza deve consistere nella ‘ specifica indicazione dei fatti e delle informazioni mancate, in una con la loro concreta e ragionevole idoneità ad orientare l’Amministrazione a non più adottare il
provvedimento impositivo, oppure ad adottarlo con un contenuto oggettivamente o soggettivamente più mite ‘, dovendosi considerare che: ‘ a. i fatti in esso deducibili non sono necessariamente gli stessi che possono essere dedotti in sede giurisdizionale; b. la ripetibilità della deduzione in sede giurisdizionale non salva dall’invalidità l’atto di imposizione; c. la ‘evidenza’ del fatto o delle deduzione in sede amministrativa non coincide con i requisiti della ‘prova’ da fornire nel processo ‘;
nella specie la ricorrente non ha fornito la cd. prova di resistenza, non avendo indicato gli argomenti decisivi che avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio preventivo, tali da determinare , secondo una valutazione probabilistica ex ante , un risultato diverso del procedimento impositivo;
né può sostenersi che si trattava di accertamento fondato sugli studi di settore, non essendo ciò desumibile dalla sentenza impugnata; la stessa ricorrente, peraltro, ha ammesso che l’accertamento si era fondato sull’antieconomicità della gestione aziendale, essendosi l’Amministrazione limitata a ricavare la percentuale di incidenza dei costi dai parametri utilizzati dagli studi di settore nel settore alberghiero;
-sul punto occorre rammentare che l’obbligo di instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente ai sensi dell’art. 10 della l. n. 146 del 1998 sussiste solo nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, mentre detto obbligo non opera qualora l’accertamento si fondi anche su altri elementi giustificativi, quali le riscontrate irregolarità contabili o comportamenti antieconomici dell’imprenditore (Cass. n. 31914 del 5.12.2019);
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 5.900,00, oltre alle spese prenotate a debito;
dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 9 luglio 2025