Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15201 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15201 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/06/2025
Interpello disapplicativo -Impugnazione -competenza-decadenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6946/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege , -ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore,
-intimato –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CALABRIA 3218/2019, depositata in data 18 settembre 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate – direzione Regionale della Calabria emetteva nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, in data 27 settembre 2012, il provvedimento prot. n. 9191-18905/2012, a firma del Direttore Regionale, che dichiarava inammissibile l’istanza di disapplicazione delle disposizioni contenute nell’art. 30, legge 23
dicembre 1994, n. 724, recante disposizioni di contrasto all’utilizzo a fini esclusivi di società non operative.
Avverso tale provvedimento proponeva ricorso la società dinanzi alla CRAGIONE_SOCIALE di Cosenza; si costituiva l’Agenzia delle Entrate ribadendo la legittimità del proprio operato; non si costituivano in giudizio la Direzione Regionale e la Direzione Provinciale di Cosenza.
La RAGIONE_SOCIALE Cosenza, con sentenza 6414/04/2016, accoglieva il ricorso.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi alla C.t.r. della Calabria, si costituiva in giudizio la società contribuente chiedendo il rigetto del gravame.
Con sentenza n. 3218/02/2019, depositata in data 18 settembre 2019, la C.t.r. rigettava l’appello.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Calabria, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e la società contribuente è rimasta intimata.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 20 marzo 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.»), l’Agenzia delle Entrate lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r., poichè l’atto impugnato era stato emesso dalla Direzione Regionale della Calabria – Ufficio Consulenza, con sede a Catanzaro, non ha ritenuto territorialmente competente a conoscere della controversia la C.t.p. di Catanzaro, piuttosto che quella di Cosenza.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 nonché dell’art. 6, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, recante
revisione della disciplina degli interpelli (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.»), l’Agenzia delle Entrate lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata la C.t.r. ha ritenuto che il provvedimento di inammissibilità dell’istanza di disapplicazione rientrasse tra gli atti impugnabili ai sensi dell’art. 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il quale statuisce, al terzo comma che ‘gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente’.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, sesto comma, d.m. 19 luglio 1998, n. 259 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.»), l’Agenzia delle Entrate lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata la C.t.r., ripetendo pedissequamente quanto affermato dai giudici di prime cure, ha ritenuto che nessuna norma stabilisse un termine di decadenza per la presentazione dell’interpello, che è imposto dall’Agenzia delle Entrate in via interpretativa.
Il primo motivo di ricorso proposto è fondato.
2.1. Con precedenti arresti (Cass. 24/08/2022, n. 25194; Cass. n. 12651 del 09/05/2024, in motivazione) si è chiarito che la Commissione tributaria provinciale competente per territorio si individua con riferimento al luogo in cui ha sede l’ufficio finanziario o il concessionario del servizio di riscossione che ha emesso il provvedimento impugnato, senza che possa assumere rilievo l’acquisizione del parere di altra direzione provinciale, alla quale non è riconducibile l’atto impugnato. (In applicazione del principio, la S.RAGIONE_SOCIALE. ha annullato con rinvio la decisione che aveva individuato quale giudice tributario territorialmente competente quello della sede della direzione provinciale che aveva rilasciato un parere prodromico all’emissione del provvedimento di diniego, in luogo di quello in cui aveva sede l’ufficio finanziario che aveva emesso l’atto impugnato).
Si è in particolare rilevato che l’art. 4, comma uno, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, consente di individuare la competenza territoriale del giudice tributario con riferimento al luogo in cui ha sede l’ufficio finanziario o il concessionario del servizio di riscossione che ha emesso il provvedimento impugnato.
Detta norma, naturalmente, dev’essere letta alla luce delle modifiche apportate alla struttura organizzativa dell’amministrazione finanziaria dal d.lgs. 30/07/1999, n. 300, e ss. mm ., ed in particolare dell’entrata in funzione delle Agenzie fiscali, dotate di personalità giuridica di diritto pubblico e perciò legittimate a stare in giudizio; siffatto mutato assetto, tuttavia, non spiega alcun effetto sull’applicazione del criterio che attribuisce la competenza della Commissione provinciale in funzione della localizzazione dell’ufficio finanziario al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso.
2.2. Ne deriva che laddove, come nel caso di specie, l’atto impugnato sia stato emesso da una Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate, il giudice competente va individuato nella C.t.p.. del luogo in cui ha sede l’ufficio regionale, a nulla rilevando il fatto che, nel corso del procedimento di formazione dell’atto, sia stato acquisito anche il parere di una diversa direzione provinciale, alla quale l’emissione dell’atto impugnato non è in alcun modo riconducibile.
2.3. A tale indirizzo giurisprudenziale si intende dunque dare continuità, rilevando peraltro che, con riferimento al caso di specie, esso neppure si pone necessariamente in contrasto con altro, secondo cui p er l’impugnazione di un provvedimento di diniego di disapplicazione di una legge antielusiva, effettuato dal direttore regionale delle entrate, ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del d.P.R. n. 600 del 1973, è competente, ai sensi dell’art. 4, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio al
quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso, che coincide con la circoscrizione in cui ha sede la direzione provinciale competente per l’accertamento, in ragione del domicilio fiscale del contribuente (Cass. 10/09/2024, n. 24352).
Invero, il riferimento, nell’art. 4, co.1, secondo periodo, d.lgs. 546/1992, ‘all’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso’ , non è comunque dirimente nel caso di specie, nel quale non è necessariamente individuabile uno specifico tributo controverso, mirando la disapplicazione della disciplina delle società di comodo alla rimozione di un possibile status della contribuente, dal quale possono derivare eventualmente diverse conseguenze anche per differenti tributi. Pertanto, emerge piuttosto la necessità di connettere la competenza giudiziaria all’ attribuzione specifica della facoltà di risposta all’interpello, esercitata dall’Ufficio con il provvedimento, di rilevanza esterna, che ha dichiarato inammissibile l’istanza e che è stato impugnato dalla contribuente .
2.4. La sentenza d’appello, pertanto, è errata nella parte in cui, attribuendo rilievo al coinvolgimento della Direzione provinciale di Cosenza sotto forma del rilascio di un parere prodromico all’emissione del provvedimento di diniego, ha ritenuto la competenza della C.t.p. di Cosenza anziché di quella di Catanzaro, ove ha sede la direzione regionale.
Il secondo motivo è pure infondato.
3.1. Nella giurisprudenza di legittimità è ormai prevalso l’indirizzo che ammette l’autonoma impugnabilità del rigetto dell’interpello ex art. 37 bis , ottavo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile ratione temporis (cfr. tra le tante: Cass. 03/12/2024, n. 30907). In materia, infatti, è principio consolidato quello secondo cui l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben
individuata pretesa tributaria, di talché quest’ultimo ha la facoltà di impugnare il diniego di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis , ottavo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto esso, seppur atto non rientrante in quelli indicati dall’art. 19, è il provvedimento con il quale l’amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per quest’ultimo, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario (Cass. n. 8412/2024 e Cass. n. 2634/2023).
3.2. Non smentisce l’assunto la recente decisione delle Sezioni Unite del 22 gennaio 2024, n. 2147, che -in sede di regolamento di giurisdizione -ha affermato il principio secondo cui le risposte dell’amministrazione finanziaria agli interpelli non costituiscono atti impugnabili ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, poiché non portano a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria (esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche) e non sono immediatamente lesive dei diritti del contribuente; la Suprema Corte, infatti, ha fatto salve proprio le risposte rese a seguito di richiesta di disapplicazione di norme antielusive, che possono essere impugnate in quanto contenenti una compiuta pretesa tributaria.
3.3. Questa Corte, poi, ha svolto le suesposte considerazioni con riferimento a provvedimenti di diniego dell’interpello disapplicativo anteriori all’entrata in vigore sia dell’art. 6, comma 1, del d.lgs. 7 ottobre 2015, n. 156 (secondo cui non sono impugnabili le risposte alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 della L. n. 212 del 2000), sia dell’art. 11, comma 7, dello Statuto del contribuente, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera n), del d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, che ha ribadito tale non impugnabilità prevista dal citato art. 6, comma 1 (contestualmente abrogato). A tal proposito, peraltro, si è chiarito che l’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2015 non ha né valenza interpretativa né portata di
innovazione retroattiva, sicché non dispone che per l’avvenire (Cass. n. 23469/2017).
3.4. Nella fattispecie in esame, la C.t.r., con una statuizione implicita, avendo rigettato l’appello dell’ente erariale, ha correttamente ritenuto che il diniego da parte del Direttore Generale delle Entrate di disapplicazione di una legge antielusiva effettuato ai sensi dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 fosse un atto definitivo in sede amministrativa e ricettizio con immediata rilevanza esterna da qualificarsi come un’ipotesi di diniego di agevolazione, come tale impugnabile innanzi alle commissioni tributarie ai sensi dell’art. 19, comma uno, lett. h, del d.lgs. n. 546 del 1992.
3.5. Va qui richiamato l’orientamento giurisprudenziale (Cass. 26/05/2022, n. 17011) secondo, pur in assenza di specifica argomentazione, non è configurabile un vizio di omessa pronuncia o motivazione, dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l’eccezione non espressamente esaminata non risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.
Parimenti, è infondato il terzo motivo.
Con un precedente arresto (Cass. 31/10/2024, n. 28097) si è chiarito che «Il D.M. 259 del 1998 sulle modalità di presentazione degli interpelli disapplicativi, tra l’altro, all’art. 1, comma 2, sanziona con l’inammissibilità soltanto la mancanza, nell’istanza di interpello, dei seguenti elementi: a) i dati identificativi del contribuente e del suo legale rappresentante; b) l’indicazione dell’eventuale domiciliatario presso il quale sono effettuate le comunicazioni; c) la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante, e non, quindi, la sua presentazione meno di novanta giorni prima del termine di presentazione della dichiarazione. In realtà, tale decreto non afferma nulla sul termine, ma dispone soltanto che l’ufficio deve rispondere entro novanta
giorni. L’Agenzia nella circolare 32/E del 2010 sugli interpelli, (vigente quindi all’epoca dei fatti di causa) aveva infatti chiarito, sul requisito della preventivai proposizione, che analoghe considerazioni valgono, più in generale, per le istanze di disapplicazione presentate ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del d.P.R. n. 600 del 1973, per le quali l’istanza è preventiva se presentata novanta giorni prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui l’operazione straordinaria è stata posta in essere; tali considerazioni valgono ancorché il contribuente possa utilizzare anche in successivi periodi d’imposta i componenti reddituali oggetto dell’istanza di interpello (alla luce degli eventuali limiti fissati dalla legge in chiave antielusiva), in quanto tali componenti costituiscono oggetto di evidenziazione già nella dichiarazione relativa all’esercizio in cui è avvenuta l’operazione straordinaria.
Il difetto della preventiva proposizione, secondo quanto appena indicato, comporterebbe secondo la prassi l’inammissibilità degli interpelli, ed agli stessi non verrebbe fornita alcuna risposta nel merito, nemmeno a titolo di consulenza giuridica.
Tuttavia, ritiene questo collegio che l’interpello sia preventivo quando è presentato prima che il contribuente ponga in essere il comportamento oggetto dell’istanza, per cui, se il comportamento trova attuazione nella dichiarazione, l’interpello è preventivo se proposto prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione, e non novanta giorni prima della scadenza di tale termine. La mancanza di una norma, primaria o secondaria, che chiarisca che per “preventivo” si intende che l’interpello debba essere presentato almeno novanta giorni prima della scadenza del termine per la dichiarazione (non potendosi interpretare in tal senso la previsione secondo cui l’ufficio deve rispondere entro novanta giorni), fa sì che un interpello sottoposto all’ufficio entro un termine più breve dei suddetti novanta giorni, purché prima
della scadenza della data di presentazione della dichiarazione, non possa considerarsi inammissibile. La circolare è un documento di prassi, con considerazioni di una parte, e non può stabilire sanzioni procedimentali non previste dalla legge ‘ (Cass. Sez. V, sentenza n. 24352 del 10/09/2024; v. anche, nel medesimo senso, v. Cass. n. 1317/2020, richiamata da Cass. n. 7462/2023 in motivazione, § 5).
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso e, rigettati i restanti, la sentenza impugnata va cassata con l’indicazione del giudice competente nella Corte di Giustizia di primo grado di Catanzaro, innanzi alla quale la causa andrà riassunta nel termine di cui all’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 546/1992.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di Giustizia di primo grado di Catanzaro, dinanzi alla quale la causa dovrà essere riassunta nel termine di sei mesi dalla comunicazione della presente ordinanza.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2025.