Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21500 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21500 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21805/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE;
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LAZIO n. 4816/2023 depositata il 09/08/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugnava i ruoli esattoriali e le relative cartelle di pagamento ivi portate per un importo di € 4.182,30 per crediti di natura tributaria di cui veniva casualmente a conoscenza a seguito di un accesso presso gli Uffici del Concessionario in data 10.2.2020
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 6784/2021, accoglieva il ricorso liquidando le spese del giudizio in € 800 per compensi professionali, 15% per spese forfettarie oltre accessori di legge con il beneficio della distrazione.
Avverso tale decisione, il contribuente proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio (oggi Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado di Roma), censurandola nella parte in cui aveva liquidato le spese di lite, in danno della ADER in misura inferiore sia ai parametri medi, e comunque, minimi del d.m.55/14 come modificato dal d.m. 37/2018 applicabile rationae temporis alla fattispecie in esame ed in base al valore della controversia.
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, con sentenza n. 4816/2023 rigettava l’appello sul presupposto che: ‘L’atto oggetto dell’impugnazione è il ruolo. Il ruolo e la cartella assumono la funzione di titolo esecutivo, tant’è che in sede di espropriazione forzata presupposto dell’intervento è l’esistenza di un titolo esecutivo che, nel caso di crediti azionati dall’agente di riscossione, è costituito dal ruolo e dalla cartella esattoriale. Ciò premesso, va rilevato che nelle procedure esecutive, alla “fase istruttoria”, per la quale l’ultimo periodo dell’art. 4 del d.m. prevede la possibilità di una immotivata riduzione fino al settanta per cento, corrisponda la “fase di trattazione e conclusiva” descritta al punto 17 della tabella allegata al decreto: con la conseguenza che il giudice può allora discostarsi, senza alcuna particolare motivazione, da quei valori medi in ragione del cinquanta per cento
1.
per il compenso per la fase introduttiva e del settanta per cento per quella successiva. Di conseguenza , diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, secondo il quale, in buona sostanza, si sarebbe violata la disposizione che non consente di liquidare compensi al di sotto del minimo previsto, ovvero la riduzione ai fini della determinazione del minimo non potrebbe mai superare il 50%, il complessivo compenso minimo, per lo scaglione di valore applicabile nella fattispecie, ammonta ad euro 319,50, come emerge dal seguente conteggio: Fase introduttiva: compenso medio € 315,00; compenso minimo (riduzione del 50%): € 157,50; Fase di trattazione e conclusiva: compenso medio € 540,00; compenso minimo (riduzione del 70%): € 162,00; Compenso minimo complessivo: € 157,50+€ 162,00= € 319,50. La censura per cui dovrebbero ritenersi violati i minimi di tariffa, formulata sulla base del conteggio contenuto nell’appello, risulta in definitiva inammissibile, in quanto la liquidazione complessiva pari ad € 800,00 non può ritenersi di per sé in violazione dei minimi tariffari>.
Il contribuente ricorre avverso detta decisione svolgendo un unico motivo.
La Riscossione resta intimata.
MOTIVI DI DIRITTO
Il motivo di ricorso deduce .
Si osserva che la decisione del giudice risulta illegittima in quanto in violazione dell’art. 4 del d.m. n. 55/2014, come aggiornato dal d.m. n. 37/2018, che stabilisce i criteri di liquidazione dei compensi forensi. In particolare, l’errore deriva da due aspetti principali; il primo dall’erronea classificazione della controversia, in quanto il
decidente ha erroneamente considerato la fattispecie come rientrante tra le ‘procedure esecutive’ (Tabella 17 del DM 55/2014) anziché nei ‘giudizi innanzi alle Commissioni Tributarie Provinciali’ (Tabella 23). Tuttavia, essendo la causa relativa all’impugnazione di un ruolo esattoriale per tributi, essa rientra nella giurisdizione tributaria e non in quella ordinaria, come riconosciuto anche dalla Corte territoriale. In secondo luogo, si assume che i giudici regionali hanno liquidato il compenso secondo criteri inferiori a quelli previsti per i giudizi tributari. In particolare, si assume che il d.m. 37/2018 ha reso inderogabili i minimi tariffari, pertanto qualsiasi riduzione doveva essere adeguatamente motivata, cosa che non è avvenuta.
Il valore della controversia, pari a €4.182,30, avrebbe dovuto essere liquidato secondo i parametri corretti, anche nella loro riduzione massima, ma il giudice ha applicato un compenso inferiore senza fornire alcuna giustificazione, in contrasto con le disposizioni normative e con la giurisprudenza di Cassazione (sentenze n. 9690 e 9691/2021).
2. Il motivo è fondato.
3.Occorre premettere, in tema di spese processuali, che i parametri cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, vanno applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto a condizione che a tale data non sia stata ancora completata la prestazione professionale, ancorché essa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata» (v. Cass. 27233 del 26/10/2018; Cass. n.12537 del 10/05/2019).
4.Come più volte affermato da questa Corte -ex multis, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 10466 del 19/04/2023, e Cass., Sez. 2,
Sentenza n. 9815 del 13/04/2023, entrambe riguardanti fattispecie analoghe a quella in esame, alle cui motivazioni è sufficiente rinviare, ai sensi dell’art. 118, comma 1, ultimo periodo, disp. att. cod. proc. civ. -«in tema di spese legali, in assenza di diversa convenzione tra le parti, il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018, non può scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile».
Come ha argomentato la giurisprudenza di legittimità più recente (cfr. Cass. 9815/2023, 9818/2023, 25847/2023), nella liquidazione del compenso il giudice è chiamato dall’art. 4 co. 1 d.m. 55/2014 a tenere conto dei valori medi determinati dalle tabelle allegate al decreto. Essi possono essere aumentati fino al 50% ovvero diminuiti in ogni caso non oltre il 50% e sono soggetti ad aggiornamento biennale ex art. 13, comma 6, legge n. 247/2012. Rileva in particolare la previsione che i parametri medi non possono essere diminuiti oltre il 50%, senza eccezione («in ogni caso»). Tale inderogabilità dei parametri medi è stata espressamente introdotta con una modifica apportata dal d.m. 37/2018. Anteriormente si prevedeva che nella liquidazione non si potesse scendere di regola al di sotto del 50% nella diminuzione rispetto ai parametri medi. Su questa base testuale si argomentava che la quantificazione giudiziale del compenso e delle spese fosse espressione di un potere discrezionale; se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, la liquidazione non richiedeva un’apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, mentre il giudice era tenuto a motivare la decisione di aumentare o diminuire gli importi da riconoscere, ulteriormente rispetto ai massimi ovvero a minimi. L’unico limite rigido, ma a sua volta determinato attraverso concetti elastici, era dettato dall’obbligo di non ledere il decoro professionale con l’attribuire una
somma scarsissima (meramente simbolica). Così, tra le altre, Cass. 28325/2022.
Tale orientamento è da disattendere con riferimento alle liquidazioni sottoposte al regime del d.m. 55/2014, così come modificato dal d.m. 37/2018. In forza della ricordata modifica, non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore al 50% dei parametri medi. Il legislatore ha deciso di circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso o le spese processuali e di garantire così (cioè, attraverso una limitazione della flessibilità dei parametri) l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale. Da ultimo, tale intenzione legislativa ha trovato un’ulteriore espressione nella legge n. 49/2023, in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, ove l’art. 1 dispone che «per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale», nonché – per gli avvocati – conforme ai compensi previsti dal decreto del Ministero della Giustizia ex art. 13 co. 6 l. 247/2012 (cioè, attualmente, il d.m. 55/2014)».
Si prevede inoltre (all’art. 3) che «sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 13, co. 6, legge n. 247/2012 per la professione forense».
Nel caso in esame, gli importi liquidati dal giudice di appello sono decisamente inferiori ai minimi di legge per lo scaglione sino ad €.
5.200,00 e quindi la violazione di legge è palese, atteso anche il riferimento (erroneo) alla tabella 17 allegata al d.m. n. 55 del 2014 (come modifica dal d.m. del 2018) che ha riguardo alle «PROCEDURE ESECUTIVE PRESSO TERZI, PER CONSEGNA E RILASCIO, IN FORMA SPECIFICA».
In linea generale, a seguito delle modificazioni introdotte nella formulazione dell’art. 4 del d.m. 10 marzo 2014 n. 55 con il d.m. 8 marzo 2018 n. 37, non è più consentito, dunque, nella liquidazione delle spese di lite, scendere al di sotto dei valori minimi della tariffa, per lo scaglione applicabile, in quanto tali valori minimi devono ritemersi avere carattere inderogabile (Cass., 13 aprile 2023, n. 9815; Cass., 20 ottobre 2023, n. 29184; Cass. 19 aprile 2023, n. 10438; Cass., 24 aprile 2024, n. 11102); diversamente, non appare del tutto esclusa, in astratto, la possibilità del superamento dei valori massimi, sebbene ciò possa avvenire, evidentemente, solo in casi del tutto eccezionali e sulla base di specifica, effettiva e adeguata motivazione. Tale conclusione si fonda sul rilievo che l’attuale formulazione dell’art. 4, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, come, infine, modificato dal d.m. 13 agosto 2022 n. 147, mentre prevede genericamente la possibilità di un aumento fino al 50% dei valori medi dello scaglione, consente corrispettivamente, una diminuzione di essi ‘in ogni caso’ non oltre il 50%: ciò induce a ritenere che solo per la diminuzione il limite del 50% dei valori medi sia assolutamente inderogabile (‘in ogni caso’), mentre per l’aumento possano continuare ad applicarsi i principi di diritto più sopra enunciati, che consentono una deroga anche del limite massimo previsto dalla tariffa, peraltro solo in casi eccezionali e sulla base di specifica, adeguata e puntuale motivazione (così Cass., 3 giugno 2024, n. 15506; Cass. n. 25833/2024; Cass. n. 26734/24; Cass. n. 9815/2023).
8.Il giudice di rinvio si atterrà al principio di diritto già enunciato da Cass. 9815/2023, 9818/2023, 25847/2023: «salvo diversa
convenzione tra le parti, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. 55/2014, così come modificato dal d.m. 37/2018, non è consentito al giudice di scendere al di sotto degli inderogabili valori minimi, predeterminati da tale decreto e aggiornati a cadenza periodica ex art. 13 co. 6 l. 247/2012».
Pertanto, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui va demandata anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della sezione