Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6268 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6268 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16434/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
REGIONE LAZIO
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 2024/2021 depositata il 19/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso notificato in data 23.5.2018 alla Regione Lazio, il contribuente impugnava, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, l’intimazione di pagamento n. 097 2018 9002068964 000 notificatale in data 3.5.2018 dal Concessionario, emessa per l’omesso pagamento di crediti, di natura tributaria, per un importo complessivo, oggetto di contestazione, di € 194,47. La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 14349/2019, depositata in data 4.11.2019, accoglieva il ricorso. Il Sig. NOME COGNOME proponeva appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, eccependo secondo una prima opzione ermeneutica la violazione dell’art. 112 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 15 del d.lgs. 546/1992 nella parte in cui i giudici di prossimità, nell’utilizzare la locuzione ‘nulla per le spese’, avrebbe ritenuto di non pronunciarsi sulla domanda di condanna della Regione Lazio al pagamento delle spese di lite in favore della parte vittoriosa; secondo una seconda opzione ermeneutica la violazione dell’art. 15 del d.lgs. 546/1992 nella parte in cui la Commissione capitolina avrebbe, con la locuzione ‘nulla per le spese in mancanza di costituzione dell’ADER’, inteso disporre implicitamente la compensazione delle spese incorrendo, tuttavia, nella violazione dell’art. 15 del d.lgs. 546/1992; a tal riguardo l’originaria parte appellante evidenziava che la motivazione articolata dalla Commissione di primo grado, a
sostegno della disposta compensazione delle spese di lite, presentava caratteri di apparenza in quanto il rilievo ‘nulla per le spese in mancanza di costituzione dell’ADER’ avrebbe trovato, al più, giustificazione, nell’ipotesi opposta a quella esaminata, e cioè in quella in cui a rimanere intimate fossero state le parti risultate vittoriose (e non già soccombenti), in quanto in tale ipotesi non vi sarebbe stato bisogno di applicare il principio di soccombenza in favore di soggetti che non avevano sostenuto spese per la difesa tecnica, a differenza del caso esaminato nel quale a risultare vittoriosa era stata la parte costituita. E chiedeva che, in riforma parziale della sentenza appellata, la Regione Lazio, sul presupposto della sua totale soccombenza nel rapporto processuale di primo grado con l’originario ricorrente, venisse condannata al pagamento delle spese di lite del primo grado di giudizio, nonché al pagamento delle spese del grado di appello.
La Commissione tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 2024/2021 del 12.4.2021, depositata in data 19.4.2021, accoglieva l’appello sul presupposto che . La Commissione tributaria regionale del Lazio nella parte dispositiva statuiva ‘accoglie l’appello del contribuente e condanna la Regione Lazio al pagamento delle spese che liquida in complessivi € 150, di cui € 50 per il primo grado di giudizio ed € 100 per il secondo grado di giudizio, oltre accessori come per legge>.
Il contribuente ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria Regionale del Lazio, n. 2024/2021 del
12.4.2021, con la quale i giudici regionali hanno accolto l’appello del contribuente, liquidando le spese dei giudizi di merito, in violazione del d.m. n. 55/2014.
La Regione Lazio è rimasta intimata.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Con un unico motivo di ricorso per cassazione si denuncia ; per avere il giudicante erroneamente accolto l’appello, condannando la parte soccombente al pagamento delle spese di lite in favore dell’odierna ricorrente nella misura di € 50,00 per il primo grado e nella misura di € 100,00 per il secondo grado, così violando il disposto dell’art. 4 del d.m. 55/14, come aggiornato dal d.m. 37/2018, alla stregua del quale il giudice deve tener conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate al d.m., che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati di regola sino all’80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso in misura non superiore al 50 per cento .
Si deduce che il compenso deve essere liquidato per fasi, errando quindi il Collegio d’appello nella parte in cui ha operato una liquidazione delle spese legali omnicomprensiva dei compensi del singolo grado di giudizio, e non già distinta per fasi, nonché nella parte in cui ha operato, comunque, una liquidazione, nel suo importo complessivo, in misura evidentemente inferiore ai parametri medi, ed anche minimi; non consentendo alla parte ricorrente di stabilire la correttezza della liquidazione stessa e la sua conformità, anche in ragione del principio di inderogabilità posto ai valori minimi con riferimento a ciascuna fase di giudizio dal
richiamato art. 4, alle tabelle 1-2 dei parametri allegati al d.m. n. 55/2014, come aggiornato dal d.m. 37/2018, ed applicabile, ai sensi dell’art. 7 del medesimo decreto, alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore avvenuta in data 27.4.2018 (nel caso di specie la sentenza di primo grado è stata emessa in data 28.10.2019 e depositata in data 4.11.2019, e quella oggetto di ricorso in Cassazione è stata emessa in data 12.4.2021 e depositata in data 19.4.2021).
2.Il ricorso pone il problema della derogabilità dei valori tabellari minimi fissati per ciascuna fase processuale dal nuovo testo dell’art. 4, comma primo, d.m. 55/2014, come modificato dal d.m. 37/2018, che ora dispone che, ai fini della liquidazione del compenso, il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali possono essere aumentati di regola sino all’80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l’aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70 per cento.
La questione è stata risolta da questa Corte con sentenza n. 9815/2023, il cui iter motivazionale integralmente si condivide e si fa proprio in questa sede.
L’art. 13, comma sesto, L. 247/2012 rimette, com’è noto, ad un apposito decreto del Ministero della Giustizia, l’aggiornamento con cadenza biennale dei parametri medi, provvedimento da adottare d’intesa con in Consiglio nazionale forense, ai sensi dell’art. 1, comma 3, precisando che i nuovi parametri ‘si applicano quando all’atto dell’incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa
nell’interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge’. La novellata previsione dell’art. 4, comma primo, è difforme dal punto di vista letterale dalle precedenti disposizioni regolamentari, che non contemplavano un vincolo espresso in ordine alla massima riduzione applicabile, limitandosi a disporre che detta riduzione non poteva di regola essere superiore al 50%. Sulla scorta di tale ultimo elemento testuale e alla luce del ritenuto carattere non vincolante dei parametri di liquidazione, questa Corte era giunta a sostenere che la quantificazione del compenso e delle spese processuali fosse espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e che la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non richiedeva un’apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi invece giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l’obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decorso professionale (Cass. 28325/2022; Cass. 14198/2022; Cass. 19989/2021; Cass. 89/2021; Cass. 10343/2020).
A tale approdo interpretativo, tuttora valido per le spese processuali e i compensi professionali regolati dal d.m. 55/2014, non può darsi continuità anche per quelli sottoposti al regime introdotto dal d.m. 37/2018: non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale, volta a circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso -o le spese processuali- e a garantire, attraverso una limitata flessibilità del parametri tabellari, l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 10466 del 19/04/2023, e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 9815 del 13/04/2023; Cass., 3 giugno 2024, n.
15506; Cass. n. 25833/2024; Cass. n. 26734/24; Cass. n. 9815/2023).
La suddetta ratio legis è esplicitamente evidenziata nel parere del Consiglio di Stato, Sezione Consultiva, n. 2703/2017 del 27 dicembre 2017, che aveva giudicato inadeguato, rispetto al dichiarato scopo di ‘limitare il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare, l’utilizzo di una formula normativa suscettibile di avallare ‘approdi interpretativi in merito all’applicazione della locuzione ‘di regola’ anche alle riduzioni percentuali dei valori parametrici di base, mentre tale possibilità doveva più incisivamente essere limitati agli incrementi dei parametri e non alla riduzione. L’attuale previsione è quindi volta proprio a specificare ‘con maggiore chiarezza l’inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti, e ciò anche in considerazione del fatto che l’art. 13, comma 7 della legge n. 247 del 2012 prevede fra i criteri cui si deve attenere l’Amministrazione quello della ‘trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali’.
La previsione di minimi tabellari in tema di compensi professionali non si pone in contrasto con la disciplina euro-unitaria in tema di tutela della concorrenza, accesso al mercato, restrizioni alla libera prestazione dei servizi (articolo 101, paragrafo 1, TFUE): l’ammissibilità della previsione di tariffe professionali inderogabili era stata già affermata dalla Corte di Giustizia (sentenza 19.2.2000, cause C-35/1999) ed è stata ripetutamente confermata anche per altri settori sempre che le tariffe siano fissate da un organismo pubblico nel rispetto dei criteri di interesse pubblico definiti dalla legge (ma la disciplina può comunque rivestire natura
statale quando i membri dell’organizzazione di categoria siano esperti indipendenti dagli operatori economici interessati e siano tenuti dalla legge a fissare le tariffe prendendo in considerazione non solo gli interessi delle imprese o delle associazioni di imprese nel settore che li ha designati, ma anche l’interesse generale e gli interessi delle imprese degli altri settori o degli utenti dei servizi di cui trattasi: Corte di giustizia 427/2017; Corte di Giustizia UE 5.12.2006 C- 94/2004 e C- 202/2004; in tema di tariffe in settore dei trasporti: Corte di giustizia 9.9.2004 C-184/02 e C- 223/2002). Sono giudicate ammissibili eventuali restrizioni della concorrenza se circoscritte a quanto necessario al conseguimento di obiettivi legittimi (Corte di giustizia 427/2017), come pure una normativa nazionale volta a fissare una minore percentuale di riduzione (pari al 12%) rispetto a quella (pari al 50%) prevista dall’art. 4 (12%), anche se i giudici nazionali si limitino a verificare la rigorosa applicazione, senza essere in grado, in circostanze eccezionali, di derogare ai limiti fissati da tale tariffa, ciò in relazione all’art. l’art. 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE (Corte di giustizia 8.12.2016, C- 532/2015 e 538/2015). Ha da ultimo precisato la Corte di Giustizia (cfr. sentenza 427/2017) che ‘l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev’essere interpretato nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consenta all’avvocato e al proprio cliente di pattuire un onorario d’importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un’organizzazione di categoria dell’ordine forense, a pena di procedimento disciplinare a carico dell’avvocato medesimo, e, dall’altro, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari d’importo inferiore a quello minimo, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, ma che spetta comunque al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità applicative,
risponda effettivamente ad obiettivi legittimi e se le restrizioni così stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l’attuazione di tali legittimi obiettivi’. Va evidenziato, al riguardo, che i nuovi parametri risultano predisposti dal CNF ma adottati dal Ministero della giustizia, previo parere del Consiglio di Stato e pertanto da un organo statale per scopi di interesse generale correlati all’esigenza di garantire la trasparenza e l’unitarietà nella determinazione dei compensi professionali. Tali parametri non appaiono discriminatori, avendo portata generale (ex art. 15, comma 2, lettera g) Direttiva 2006/123/CE; Corte di giustizia 4.7.2019 C377/2017) ed inoltre l’intervento normativo lascia impregiudicata la possibilità che le parti stabiliscano un compenso inferiore a quello risultante dalla massima riduzione prevista, per cui l’introduzione dei minimi finisce per incidere in misura non sproporzionata sulle dinamiche concorrenziali tra professionisti. I nuovi criteri rispondono inoltre all’interesse generale di introdurre una remunerazione minima in modo da non svilire la professione ed esigere anzi un livello della prestazione adeguato nell’interesse del cliente, secondo un principio ed esigenze comuni ad altri settori professionali (cfr. Corte di giustizia UE 4.7.2019 C-377/17, in tema di tariffe per gli architetti e gli ingegneri), assicurando standard di diligenza appropriati alla natura e al decoro delle attività svolte.
La censura è quindi fondata, avendo il decidente riconosciuto a titolo di spese processuali, in relazione al valore della causa somme inferiori a quelle risultanti dalla massima riduzione percentuale consentita dal citato art. 4, comma primo, D.M. 55/2014, nel testo novellato dal D.M. 37/2018, e con l’attribuzione di un importo onnicomprensivo senza distinzione per fasi (Cass. 6518/2022; Cass. 23873/2021; Cass. 19482/2018; Cass. 6306/2016). E’ in conclusioneaccolto l’unico motivo di ricorso; la sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa
composizione, cui va demandata anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
Il giudice di rinvio si atterrà al principio di diritto già enunciato da Cass. 9815/2023, 9818/2023, 25847/2023: «salvo diversa convenzione tra le parti, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. 55/2014, così come modificato dal d.m. 37/2018, non è consentito al giudice di scendere al di sotto degli inderogabili valori minimi, predeterminati da tale decreto e aggiornati a cadenza periodica ex art. 13 co. 6 l. 247/2012».
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della sezione