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Compensi CTU e IVA: quando si applica l’imposta

Un medico, dipendente pubblico e Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), ha ricevuto un avviso di accertamento per IVA non versata sui compensi. La Corte di Cassazione ha stabilito che, sebbene i compensi del CTU in ambito penale siano di norma esclusi da IVA, la titolarità di una partita IVA per altre attività professionali inverte la regola. In questo caso, i compensi CTU e IVA diventano un binomio inscindibile, e spetta al contribuente dimostrare di non aver svolto altre attività per evitare l’imposta.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Compensi CTU e IVA: la Cassazione fa chiarezza sulla partita IVA

La correlazione tra compensi CTU e IVA rappresenta un tema di grande interesse per molti professionisti che, accanto alla loro attività principale, svolgono l’incarico di Consulente Tecnico d’Ufficio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che la semplice titolarità di una partita IVA per altre attività professionali può rendere i compensi da CTU, anche se derivanti da una funzione pubblica, soggetti a tassazione IVA. Analizziamo la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Un Medico CTU e l’Avviso di Accertamento

Il caso riguarda un medico, dipendente a tempo pieno del Servizio Sanitario Nazionale in regime di intramoenia, che aveva svolto incarichi come Consulente Tecnico d’Ufficio per la Procura della Repubblica. L’Agenzia delle Entrate gli notificava un avviso di accertamento, recuperando a tassazione l’IVA sui compensi percepiti per tali prestazioni nell’anno d’imposta 2010.

Il contribuente si opponeva, sostenendo che l’attività di CTU in ambito penale costituisce esercizio di una funzione pubblica e che i relativi redditi, assimilati a quelli da lavoro dipendente, dovrebbero essere esclusi dal campo di applicazione dell’IVA. La Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate, basando la propria decisione su un fatto decisivo: il medico risultava titolare di una partita IVA per “attività di altri studi medici e poliambulatori specialistici”.

La questione sui Compensi CTU e IVA: tra Funzione Pubblica e Attività Autonoma

Il cuore della questione giuridica ruota attorno all’interpretazione dell’articolo 50 del TUIR. Questa norma qualifica i compensi per funzioni pubbliche (come quella del CTU in sede penale) come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Tuttavia, la stessa norma prevede un’eccezione fondamentale: questa assimilazione viene meno se il soggetto svolge anche un’altra attività di lavoro autonomo o d’impresa. In tale scenario, i compensi della funzione pubblica vengono attratti nella categoria reddituale propria del soggetto, diventando imponibili ai fini IVA.

Secondo i giudici d’appello, la titolarità di una partita IVA attiva creava una presunzione legale: si presumeva che il medico avesse svolto, nell’anno di riferimento, anche altre prestazioni professionali private. Spettava quindi al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando di non aver esercitato alcuna attività autonoma al di fuori degli incarichi di CTU. Non avendo fornito tale prova, la pretesa dell’Agenzia delle Entrate è stata ritenuta legittima.

La Decisione della Cassazione e l’onere della prova sui Compensi CTU e IVA

Il professionista ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione di legge e un vizio di ultrapetizione. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito e consolidando un principio già espresso in un caso analogo riguardante le medesime parti.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha ribadito che, sebbene le attività di CTU in ambito penale costituiscano esercizio di pubblica funzione e i relativi compensi non siano di per sé idonei a configurare il presupposto soggettivo ai fini IVA, la situazione cambia radicalmente quando il consulente svolge contestualmente altre attività professionali.

I giudici hanno chiarito che la titolarità di una partita IVA non è un mero dettaglio formale. Essa rappresenta un elemento probatorio sufficiente a far presumere lo svolgimento di un’attività libero-professionale ulteriore. Questa presunzione, pur non essendo assoluta, inverte l’onere della prova: non è più l’Amministrazione Finanziaria a dover dimostrare l’esercizio effettivo dell’attività autonoma, ma è il contribuente a dover provare il contrario, ossia di non aver effettuato alcuna prestazione professionale privata nell’anno d’imposta contestato. L’apprezzamento di tale circostanza da parte dei giudici di merito, se logicamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

In conclusione, l’ordinanza stabilisce un principio chiaro per i professionisti che operano come CTU: la semplice detenzione di una partita IVA attiva per altre attività professionali rende i compensi CTU e IVA un binomio tassabile. Per evitare l’imposizione, il professionista deve essere in grado di dimostrare in modo inequivocabile di non aver svolto alcuna altra attività autonoma. Questa decisione sottolinea l’importanza di una gestione fiscale attenta e della conservazione di prove idonee a superare la presunzione a favore del Fisco. I professionisti che si trovano in questa situazione dovrebbero valutare attentamente la propria posizione IVA, anche in relazione a periodi di inattività, per non incorrere in accertamenti fiscali.

I compensi percepiti da un medico come CTU in un procedimento penale sono soggetti a IVA?
Di norma, no. L’attività di CTU in ambito penale è considerata esercizio di una funzione pubblica e i relativi compensi sono assimilati a redditi da lavoro dipendente, quindi esclusi dal campo di applicazione dell’IVA.

Cosa succede se il medico CTU è anche titolare di una partita IVA per altre attività professionali?
In questo caso, la regola si inverte. La titolarità di una partita IVA fa sì che anche i compensi per l’attività di CTU vengano attratti nella categoria del lavoro autonomo, rendendoli di conseguenza soggetti a IVA.

Su chi ricade l’onere di provare che non sono state svolte altre attività professionali oltre a quella di CTU?
L’onere della prova ricade sul contribuente. La Corte di Cassazione ha stabilito che la titolarità di una partita IVA crea una presunzione dello svolgimento di attività professionale autonoma. Spetta quindi al professionista dimostrare di non aver svolto altre attività per poter beneficiare dell’esclusione dall’IVA.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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