Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18364 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18364 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37415 -201 9 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO COGNOME (pec: EMAIL) ed elettivamente domiciliato presso la Cancellaria della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ;
– intimata – avverso la sentenza n. 4217/05/2019 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, Sezione staccata di SALERNO, depositata in data 16/05/2019;
Oggetto:
Tributi – IVA –
compensi del CTU
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
1. In controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento emesso nei confronti di NOME COGNOME, medico dipendente del RAGIONE_SOCIALE a tempo pieno ed in regime di intramoenia, con il quale, in relazione all’anno di imposta 2010, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE recuperava a tassazione l’IVA sui compensi erogati per prestazioni rese in qualità di consulente tecnico su incarico di alcuni uffici della Procura della Repubblica, la CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente, sostenendo che l’art. 50, comma 1, lett. f), d.P.R. n. 917/1986 esclude l’assoggettamento ad IVA RAGIONE_SOCIALE attività svolte dal consulente tecnico nei giudizi penali, in quanto costituenti esercizio di pubblica funzione, salvo che tale attività non venga svolta assieme ad altre di lavoro autonomo o d’impresa; e poiché risultava documentalmente che il contribuente, nel periodo d’imposta in questione, era titolare di partita IVA per «attività di altri studi medici e poliambulatori specialistici», doveva presumersi che lo stesso avesse svolto, nell’anno oggetto di accertamento, anche altre prestazioni professionali che esulavano da detta pubblica funzione, sì da rendere legittima la pretesa impositiva. Aggiungevano i giudici di appello che spettava al contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione adducendo la prova di fatti estintivi o modificativi e che era infondata l’eccezione di prescrizione non essendo decorso il termine decennale dalla debenza a quella della notifica dell’avviso di accertamento.
Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non replica l’intimata.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 50 d.P.R. n. 917 del 1986, dell’art. 1 e ss. del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché RAGIONE_SOCIALE risoluzioni ministeriali in materia (n. 88/E del 19/10/2015, n. 42/E del 2007) e della circolare del Ministero della Giustizia n. 7 del 14/11/2002, per avere la CTR omesso di rilevare che i redditi derivanti dalle prestazioni di consulente tecnico, rese in ambito penale da un medico dipendente del RAGIONE_SOCIALE in regime di intramoenia, sono considerati redditi da lavoro dipendente e, come tali, non rilevanti ai fini IVA.
Con il secondo motivo viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per ultrapetizione ex artt. 112 e 115 cod. proc. civ. nella parte in cui la CTR avrebbe onerato il contribuente di fornire la prova anche di fatti non contestati e cioè l’esecuzione di ulteriori prestazioni professionali rispetto a quelle di consulente tecnico d’ufficio in ambito penale.
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati e vanno rigettati.
Al riguardo vanno richiamate le argomentazioni svolte da questa Corte nell’ordinanza n. 28878 del 19/10/2021 resa nel giudizio vertente tra le medesime parti e per la medesima ripresa a tassazione, differenziandosi solo per l’anno d’imposta che in tale pronuncia ha riguardato il 2011, che il Collegio condivide pienamente.
In tale pronuncia, resa su motivi di ricorso sostanzialmente identici, si è affermato che la Risoluzione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 88/E del 19 ottobre 2015 stabilisce: «in precedenti documenti di prassi (cfr., in specie, la risoluzione n. 42/E del 2007), si è chiarito che per i medici, dipendenti in rapporto esclusivo, autorizzati ad espletare la consulenza medico-legale a titolo personale al di fuori
dell’attività intramuraria, occorre distinguere due eventualità: a) quella in cui le prestazioni medico-legali siano rese all’Autorità giudiziaria, nell’ambito del procedimento penale; b) quella in cui tali prestazioni siano rese nel quadro di un giudizio civile o eseguite per finalità assicurative, amministrative e simili.
Nel primo caso (giudizio penale), l’attività di consulenza prestata costituisce esercizio di pubblica funzione. Il trattamento fiscale dei relativi compensi va, quindi, determinato ex articolo 50, comma 1, lettera f), del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR).
Siamo di fronte, pertanto, a compensi rientranti tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i quali, tuttavia, in base alla stessa disposizione, perdono tale qualificazione per essere attratti nella categoria reddituale propria del soggetto esercente la pubblica funzione, nell’ipotesi in cui questi svolga attività di lavoro autonomo o di impresa.
Le attività che costituiscono pubbliche funzioni, secondo la previsione del richiamato articolo 50, lettera f), infatti, non sono di per sé idonee a configurare il presupposto soggettivo ai fini IVA, in quanto possono essere ricondotte all’esercizio di attività professionali o all’esercizio d’impresa solo se poste in essere da soggetti che svolgono altre attività di lavoro autonomo o d’impresa.
In tale ultima ipotesi, l’attività di consulenza tecnica d’ufficio nell’ambito di un giudizio penale assume rilievo anche ai fini IVA, con la conseguenza che la prestazione è assoggettata al tributo e deve essere documentata con fattura elettronica».
Alla stregua del dato normativo di cui all’art. 50, comma 1, lett. f, t.u.i.r. e RAGIONE_SOCIALE indicazioni fornite dalla menzionata risoluzione, l’attività di consulente tecnico resa all’Autorità giudiziaria in ambito penale dal contribuente, medico dipendente del S.S.N. in regime di intramoenia, costituisce pubblica funzione e i relativi compensi rientrano tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e non
sono pertanto assoggettati ad IVA, salvo che il contribuente svolga altre attività di lavoro autonomo o d’impresa.
In coerenza con il suddetto quadro di riferimento, la CTR ha rilevato che l’«appellato aveva aperto dall’01.10.06 una partita IVA per ” attività di altri studi medici e poliambulatori specialistici “, partita poi chiusa, con decorrenza dal 31.12.13, in data 04.05.15» e ha desunto da ciò che il contribuente avesse svolto, nell’anno di imposta 2011, prestazioni professionali che esulavano da una pubblica funzione, con conseguente legittimità della pretesa impositiva.
Tali affermazioni non integrano il dedotto vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata, atteso che dallo svolgimento del fatto della sentenza impugnata risulta che l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nell’atto d’appello aveva dedotto « l’applicazione dell’IVA quando, come nella specie , si tratta di soggetti che svolgono anche altra attività di lavoro autonomo o d’impresa » e la ricorrente non ha dedotto l’inammissibilità della censura perché nuova.
Inoltre, dall’esame dell’avviso di accertamento allegato al ricorso per cassazione emerge che l’RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta dei rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione, ha contestato al contribuente, in quanto titolare di partita IVA nell’arco temporale innanzi indicato, lo svolgimento di attività libero professionale.
Quanto all’asserita violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., va osservato che non è suscettibile di censura in sede di legittimità il valore probatorio riconosciuto dalla CTR, ai fini della dimostrazione dello svolgimento da parte del contribuente di ulteriori attività professionali nell’anno oggetto di accertamento, alla circostanza che il predetto fosse titolare di partita IVA. Ed invero, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di
valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (tra le tante, Cass. n. 9097 del 2017).
15. In conclusione, il ricorso va rigettato senza dover provvedere sulle spese in mancanza di attività difensiva dell’intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 17 maggio 2024