Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25461 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 25461 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona dei legali rappresentanti e soci, NOME COGNOME e NOME COGNOME anche in proprio, rappresentati e difesi, per procura in atti, dall’ Avv. NOME COGNOME che ha indicato indirizzo p. e. c.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
-controricorrente – avverso la sentenza n.1002/15/2016 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 23 febbraio 2016;
AccertamentoIRAP-IVA. Società di persone. Accertamento IRPEF soci
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME alla pubblica udienza del 10 settembre 2025;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del solo settimo motivo, rigettati i restanti;
uditi per i ricorrenti l’Avv. NOME COGNOME per delega dell’Avv. NOME COGNOME e per la controricorrente l’Avv ocata dello Stato NOME COGNOME.
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate di Monza e Brianza emise a carico della RAGIONE_SOCIALE avviso di accertamento, relativo a IVA e IRAP dell’anno di imposta 2007; conseguentemente, ai sensi dell’art.5 del d.P.R. n.917 del 1986 (T.U.I.R.) emise, per la stessa annualità e ai fini dell’IRPEF, due distinti avvisi di accertamento nei confronti dei soci NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La Società e i soci impugnarono i rispettivi atti impositivi con distinti ricorsi i quali, previa riunione, furono rigettati dall’adita Commissione tributaria di prima istanza.
La decisione, appellata dai contribuenti, è stata parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha ritenuto deducibili costi della Società per euro 74.175,00 penalità e reddito dei soci di conseguenza.
Il Giudice di appello, previo rigetto dei motivi di appello relativi a una dedotta nullità degli avvisi di accertamento per essere stati sottoscritti da soggetti non risultanti nella fascia dirigenziale dell’Amministrazione finanziaria, in accoglimento della domand a svolta in via subordinata, riteneva deducibili costi per euro 74.175,00, atteso che erano stati ricostruiti i pagamenti per tale importo e tale ricostruzione era stata condivisa dall’Ufficio.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso, su sette motivi, la Società e i soci.
L ‘Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
La trattazione della causa, inizialmente fissata per la pubblica udienza del 19 marzo 2025, è stata nuovamente disposta per la pubblica udienza del 10 settembre 2025, essendo stato necessario, per la cancellazione dall’albo del precedente difensore, disporre un nuovo avviso di comunicazione della data di udienza.
In prossimità di detta udienza pubblica il P.M., nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha depositato memoria concludendo per l’accoglimento del solo settimo motivo del ricorso, rigettati gli altri.
I ricorrenti, a mezzo di nuovo procuratore, hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c., con la quale, premesso di avere definito la controversia con il ricorso alla procedura di rottamazione delle cartelle, hanno chiesto che la Corte dichiari cessata la materia del contendere.
Ragioni della decisione
1.Va, preliminarmente, vagliata l’istanza proposta dai ricorrenti in memoria e ribadita dal difensore in udienza di declaratoria della cessazione della materia del contendere.
In particolare, nella memoria, è stato esposto che <> ed è stato, altresì, rilevato che <>.
A corredo della richiesta di declaratoria della cessazione della materia del contendere è stata allegata unicamente la stampa di una schermata del sito web RAGIONE_SOCIALE-Ambito provinciale di Milano, datata 21/01/2025, titolata Lista dei documenti cartelle/avvisi che risultano ancora non pagati o pagati parzialmente a partire dall’anno 2000 che, con riferimento alla Società ricorrente, riporta nelle corrispondenti caselle il numero 0.
Nella pubblica udienza del 10 settembre 2025 il difensore di parte ricorrente ha insistito nella richiesta di istanza di cessazione della materia del contendere senza fornire al Collegio i chiarimenti richiesti in ordine al tipo di definizione agevolata ovvero alla conciliazione stragiudiziale alle quali si è fatto riferimento in memoria.
L’Avvocata dello Stato, presente in udienza, per l’Agenzia delle entrate ha riferito di non essere stata in grado, per la genericità dei dati contenuti nella memoria dei ricorrenti, neppure di chiedere informazioni all’Agenzia delle entrate -Riscossione.
1.1. L’istanza non può trovare accoglimento. La memoria e l’atto alla stessa allegato non consentono, infatti, al Collegio, anche a fronte dell’esito della discussione in pubblica udienza, di vagliare la fondatezza della stessa richiesta di cessazione della materia del contendere.
La memoria, infatti, è estremamente generica riferendosi, dapprima, a un’avvenuta rottamazione delle cartelle (senza indicarne gli estremi e, ancora prima, neppure il collegamento con gli avvisi di accertamento la cui impugnazione costituisce l’oggetto del presente ricorso) e, poi, ad una avvenuta definizione stragiudiziale intervenuta tra le parti, con salvezza delle spese di lite di primo e secondo grado.
Ma, soprattutto, come già esposto, nessuna delle due ipotesi rassegnate in memoria (rottamazione/definizione stragiudiziale) è stata comprovata, non potendosi attribuire alcuna idoneità probatoria all’unico documento allega to, costituito da una mera stampa di una schermata web priva di alcun sigillo di ufficialità.
Può, quindi, procedersi all’esame dei motivi di ricorso.
2.Con il primo motivo -rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art.42 comma 1 d.P.R -600/73 in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. -i ricorrenti deducono l’errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. a respingere l’eccezione di nullità degli avvisi di accertamento per difetto di valida sottoscrizione, non avendo l’Agenzia delle entrate prodotto in giudizio le deleghe che autorizzavano i capi area a redigere gli atti impositivi.
2.1. La censura è inammissibile in quanto vertente su questione nuova non ritualmente introdotta nel giudizio di merito. Come evincibile dalla sentenza impugnata i contribuenti hanno, originariamente, lamentato solo il mancato accertamento circa la qualifica dirigenziale del sottoscrittore gli avvisi impugnati. Tale doglianza, anche se correttamente ritenuta tardiva e inammissibile, è stata, poi, rigettata anche nel merito dal Giudice di appello in puntuale applicazione dei principi fissati in materia da questa Corte.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art.109 del d.P.R. n.917/1986 laddove la C.T.R. non aveva annullato totalmente gli avvisi di accertamento in quanto, sulla base della documentazione versata in atti, si erano verificati tutti i presupposti cui la norma invocata connette la deducibilità dei costi non essendo necessaria la prova dei pagamenti.
4 . L’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art.360 n.5 c.p.c. , viene dedotto con il terzo mezzo di impugnazione. In particolare, i ricorrenti
lamentano che la C.T.R. non abbia esaminato la motivazione giuridica addotta dagli appellanti ed il suo fondamento riportandosi acriticamente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle entrate.
Con il quarto motivo -rubricato: violazione dell’art.2967 c.c. L’onere della prova incombeva sull’Ufficio -Violazione dell’art.360 n.3 c.p.c.i ricorrenti, premesso di avere messo a disposizione dell’Agenzia delle entrate le bolle di consegna e le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE risultate vere e reali non solo nella loro emissione ma anche nel loro ammontare, contestano che l’Uffic io abbia ritenuto i costi in questione non deducibili pretendendo per ogni fattura un assegno o un bonifico d i pari importo competendo a quest’ultimo dimostrare le componenti positive del reddito come elevato a carico dei contribuenti.
La stessa censura, ovvero che la C.T.R. non avrebbe esaminato l’eccezione relativa all’onere della prova sollevata dagli appellanti, viene sollevata sotto l’egida dell’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., con il quinto mezzo di impugnazione.
Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art.115 c.p.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c., ribadendosi quanto già censurato con il secondo e il terzo motivo ovvero che, a fronte della documentazione prodotta in atti e del comportamento dell’Agenzia delle entrate -che aveva ritenuto vere e reali le bolle di consegna e le fatture ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE, certo e determinato l’ammontare delle fatture ricevute e corretto l’anno di competenza – la C.T.R. avrebbe dovuto annullare integralmente gli atti impositivi.
Tali mezzi di impugnazione, involgenti tutti la medesima questione ovvero il mancato riconoscimento di costi deducibili, possono trattarsi congiuntamente dichiarando, immediatamente, l’inammissibilità dei motivi terzo e quinto , proposti ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.
Con tali mezzi di impugnazione, infatti, i ricorrenti, lungi dal dedurre l’omesso esame di un fatto, decisivo per il giudizio, nella sua accezione storico-fenomenica, lamentano un’omessa pronuncia da parte della C.T.R. di questioni giuridiche, prospettate negli scritti difensivi, quali le eccezioni relative all’onere della prova sulle quali, peraltro, il giudice di appello ha, sia pure implicitamente, deciso.
8.1 Egualmente non meritevoli di accoglimento sono, poi, i motivi secondo, quarto e sesto i quali si incentrano tutti, sotto differenti profili, sulla correttezza o meno del rilievo riguardante l’avvenuto disconoscimento dei costi ad opera dell’ Amministrazione finanziaria.
8.2 Può da subito dichiararsi l’inammissibilità del sesto motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell’art.115 cod. proc. civ. ovvero del principio di non contestazione.
Dalla stessa illustrazione del mezzo e dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che l’Amministrazione aveva , da sempre, contestato la sussistenza dei presupposti per potere riconoscere la deducibilità dei costi, portati da fatture e bolle di consegna, e che, solo con riguardo ai pagamenti per complessivi euro 74.175,00, l’Ufficio aveva condiviso la ricostruzione operata dai contribuenti tant’è che , per tale importo, la CTR aveva riconosciuto la deducibilità dei relativi costi.
A fronte di ciò rimane incomprensibile, dal che l’inammissibilità del motivo, in quale passo motivazionale e con quale argomentazione, si sarebbe perpetrata ad opera del Giudice di merito la dedotta violazione di legge.
8.3 Egualmente inammissibili sono, poi, il secondo e il quarto motivo di ricorso.
Premesso che, trattandosi di componenti negativi, la prova degli stessi grava pacificamente sul contribuente, come da consolidata giurisprudenza di questa Corte, i mezzi di impugnazione, a fronte di una doppia conforme sfavorevole ai contribuenti, non evidenziano in
quale modo e con quali argomentazioni della sentenza impugnata la C.T.R. avrebbe errato nell’applicazione delle norme invocate, ma si limitano a contrapporre, con l’evidenziazione di mere circostanze fattuali, una diversa valutazione degli elementi probatori rispetto a quella operata dal Giudice di merito.
Infine, con il settimo mezzo di impugnazione, i ricorrenti deducono la violazione dell’art.15 del d.lgs. n.546 del 1992 e dell’art.91 cod. proc. civ. censurano la CTR per avere compensato le spese processuali laddove, vista la soccombenza dell’Agenzia delle entrate , la stessa avrebbe essere condannata a rifondere le spese sopportate.
9.1 La censura è fondata. Appare evidente, dal tenore della sentenza impugnata, che il giudice territoriale è addivenuto a tale convincimento in ragione dell’accoglimento solo parziale dell’originaria pretesa del contribuente, giustificando sulla base di tale rilievo la compensazione delle spese processuali. Senonché, secondo Cass., Sez. U., 31.10.2022 n. 32061, l’accoglimento in misura ridotta di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza (configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi) e non consentendo la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, potrebbe giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, ma solo in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c., che, nel caso in esame, non ricorrono e non risultano neppure esplicitati.
In conclusione, in accoglimento del solo settimo motivo di ricorso, rigettati o dichiarati inammissibili i restanti, la sentenza impugnata va cassata in relazione al solo motivo accolto con rinvio al
Giudice di merito affinché proceda al riesame e regoli anche le spese di questo giudizio.
La Corte
P.Q.M.
in accoglimento del solo settimo motivo, inammissibili i restanti, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della LombardiaMilano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio della sezione Tributaria, il 10 settembre 2025.
La Cons. est. Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME