Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17601 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17601 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
Oggetto: Errore di fatto revocatorio – Art. 395, n. 4, cod. proc. civ. – Dichiarata inesistenza di documenti prodotti in giudizio – Compensazione delle spese Espressa indicazione di gravi ed eccezionali ragioni – Necessità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12832/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
CONTROSCERI COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv . NOME COGNOME;
-controricorrente-
ricorrente incidentale -nonché
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, in persona del Direttore pro tempore ;
-intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, Sezione Staccata di Siracusa, n. 10521/04/2021, depositata in data 25 novembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L ‘Agenzia delle entrate, Direzione Provinciale di Noto, notificava al contribuente due avvisi di accertamento, emessi sulla base di indagini finanziarie, con i quali veniva rettificato il reddito di lavoro autonomo per gli anni di imposta 2005 e 2006; successivamente l’Ufficio emetteva due atti di contestazione; gli uni e gli altri divenivano definitivi, in quanto non impugnati.
Iscritte a ruolo le somme, la RAGIONE_SOCIALE notificava al contribuente la cartella di pagamento n. 2982010001312536, impugnata innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, per quanto ancora rilevi, per difetto di notifica dei due avvisi di accertamento presupposti.
La CTP rigettava il ricorso, rilevata la ritualità delle notifiche degli avvisi, eseguite a norma dell’art. 140 cod. proc. civ., con l’effettuazione di tutti gli adempimenti ivi previsti.
Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, Sezione Staccata di Siracusa, riformava la sentenza gravata, evidenziando come l’agente notificatore non avesse eseguito tutte le formalità previste dall’art. 140 cod. proc. civ., in difetto della prova del deposito presso la casa comunale degli atti e dell’affissione dell’avviso di deposito presso la porta dell’abitazione del destinatario; l’Ufficio, infine, non aveva indicato il numero identificativo della raccomandata informativa.
Contro la sentenza della CTR l’ADE propose sia ricorso per cassazione (rubricato al n.r.g. 12566/2016, definito con ordinanza di estinzione n. 32056/2024 per inattività delle parti) sia domanda di revocazione ex art. 395 n. 4) cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuta non fornita la prova dell’esecuzione delle
formalità previste dall’art. 140 cod. proc. civ. (prova, di contro, emergente dai documenti di causa). In seno al giudizio di revocazione propose autonoma domanda di revocazione anche Riscossione Sicilia s.p.a..
La CTR respingeva ambedue le domande di revocazione compensando le spese di lite.
Avverso tale sentenza l’ADE propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. Il contribuente resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato a due motivi, e notificato solo ad ADE. La RAGIONE_SOCIALE (oggi ADER) è rimasta intimata.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 18/06/2025.
Il controricorrente provvedeva, quindi, a notificare il ricorso incidentale anche ad ADER.
La ricorrente principale ed il contribuente hanno depositato memorie ex art. 380bis1 cod. proc. civ..
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso principale l’Agenzia lamenta, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 95 n. 4 c.p.c. e 64, comma 1, dlgs. 546/1992»; in particolare, afferma che ‘nel giudizio di merito non è mai stato posto in discussione che il messo speciale abbia inoltrato le raccomandate informative’ e che il contribuente, a dispetto di quanto sostenuto dalla CTR, conoscesse i relativi numeri identificativi; inoltre, sul frontespizio degli avvisi di accertamento vi era il timbro dell’Ufficio dei messi comunali ed il numero cronologico del deposito, avvenuto il giorno prima dell’invio della raccomandata informativa, all’albo della casa comunale; infine, la prova dell’affissione alla porta dell’abitazione del destinatario emergeva dalla relata di notifica.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. L’art. 395 cod. proc. civ. prevede tra i vizi revocatori, l”errore di fatto’ ( n. 4), «quando l’errore risulti dagli atti o dai documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è
fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto contro verso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».
Questa Corte ha precisato che « l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 -bis cod. proc. civ., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali» (Cass. 25/06/2008, n. 17443).
L’erronea percezione degli atti di causa, nella quale si sostanzia l’errore in parola, postula l’esistenza di un contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti rispettivamente l’una dalla sentenza impugnata (purché non sia il fr utto di valutazione o giudizio) e l’altra dagli atti processuali.
L’errore di fatto deve emergere direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza ed essere di semplice e concreta rilevabilità senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttivi o di indagini ermeneutiche ( ex multis , Cass. 12/07/2022, n. 21974).
Il fatto del quale è esclusa la verità o è supposta l’inesistenza non deve aver costituito un punto controverso in causa, sul quale la sentenza (della quale è chiesta la revocazione) si sia pronunciata (Cass. 10/07/2021, n. 16439; conf. Cass. n. 14928/2018).
L’errore può riguardare sia fatti sostanziali sia fatti processuali e, in particolare, si è ritenuto che l’errore di fatto revocatorio si configuri nel caso in cui la sentenza affermi la inesistenza, nei fascicoli processuali (d’ufficio o di parte), di un documento che,
invece, risulti esservi incontestabilmente inserito (Cass. 04/02/2021, n. 2580).
1.3. Nella specie, correttamente è stato escluso l’errore revocatorio dalla CTR atteso che il fatto sul quale sarebbe caduto l’errore (l’avvenuta notifica in modo rituale degli avvisi di accertamento sottesi alla cartella di pagamento) ha costituito un punto controverso della vicenda, ciò che esclude, alla luce della giurisprudenza sopra richiamata, la riconducibilità del detto errore al paradigma normativo di cui all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ..
Tale ratio decidendi non risulta attinta dal motivo in scrutinio, con il quale viene sostanzialmente ed unicamente riproposta la questione della avvenuta effettuazione, da parte del messo notificatore, degli adempimenti previsti dall’art. 140 cod. proc. civ..
Il ricorso principale va, quindi, dichiarato inammissibile.
Con il primo motivo di ricorso incidentale il contribuente lamenta, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la «nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 II comma n°4 D.lgs. n°546792, 132 II comma n°4 c.p.c. e 118 I comma disp. att. c.p.c.» per avere la CTR disposto la compensazione delle spese di lite con una motivazione meramente apparente (‘sussistono i presupposti di legge per la compensazione tra le parti delle spese di causa’).
Con il secondo motivo il contribuente denuncia, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione dell’art. 15 II comma D.lgs. n°546/92» per avere la CTR disposto la compensazione delle spese pur non ricorrendo un’ipotesi di soccombenza reciproca, senza indicare espressamente le gravi ed eccezionali ragioni previste dalla citata norma.
I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente e giuridicamente connessi, attenendo entrambi alla disposta compensazione delle spese di lite, sono fondati.
5.1. Per l’esame di tal i censure occorre partire dalla formulazione dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 che
regola, ratione temporis , la presente fattispecie. Si tratta, più precisamente, della versione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 9, comma 1, lett. f), n. 2), d.lgs. 24/09/2015, n. 156 (applicabili dal 01/01/2016, ai sensi dell’art. 12, comma 1, del testo normativo appena citato), in base al quale: « i commi 2 e 2-bis sono sostituiti dai seguenti: «2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate ». L’art. 9, comma 1, lett. f), n. 1) d.lgs. 24/09/2015, n. 156, al contempo, ha eliminato nell’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 il secondo periodo che rinviava all’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. .
Trovano, invece, applicazione ai giudizi instaurati « in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione » a decorrere dal 04/01/2024 le modifiche apportate all’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. e), n. 1) d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 220 (« Le spese del giudizio sono compensate, in tutto o in parte, in caso di soccombenza reciproca e quanto ricorrono gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate ovvero quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel grado di giudizio »).
Nella formulazione applicabile, ratione temporis , alla presente controversia (senza che il risultato interpretativo si diversifichi in ragione delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 220 del 2023) il tenore letterale dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 (nel richiamare le « gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate ») trova riscontro nell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., a seguito dell’intervento additivo di C. cost. n. 77 del 2018, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del d.l. 12/09/ 2014, n. 132 ( Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile ) – nella parte
in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. La stessa dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 92, comma 2, cod. p roc. civ. ha trovato, quale riferimento sistematico, le modifiche apportate all’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 ad opera del d.lgs. 156 del 2015 (« Per la riconduzione a legittimità della disposizione censurata può anche considerarsi che più recentemente lo stesso legislatore, in linea di continuità con l’azione riformatrice degli ultimi anni, è ritornato alla tecnica normativa della clausola generale delle «gravi ed eccezionali ragioni». Infatti, dopo l’introduzione della disposizione attualmente censurata, il legislatore ha novellato alcune norme del processo tributario. In particolare l’art. 9, comma 1, lettera f), numero 2), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6 e 10, comma 1, lettere a e b, della legge 11 marzo 2014, n. 23), ha sostituito gli originari commi 2 e 2bis dell’art. 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega governativa nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991 n. 413) ed ha, tra l’altro, previsto che le spese del giudizio possono essere compensate in tutto o in parte, oltre che in caso di soccombenza reciproca, anche «qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni» che devono essere espressamente motivate. Ciò orienta la pronuncia di illegittimità costituzionale che si va a rendere nel senso che parimenti le ipotesi illegittimamente non considerate dalla disposizione censurata possono identificarsi in quelle che siano riconducibili a tale clausola generale e che siano analoghe a quelle tipizzate nominativamente nella norma, nel senso che devono essere di pari, o maggiore, gravità ed eccezionalità»).
5.2. Proprio dalla pronuncia resa da C. Cost. n. 77 del 2018 si traggono le coordinate ermeneutiche che possono condurre alla compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 15, comma 2,
d.lgs. n. 546 del 1992 e 92, comma 2, cod. proc. civ. (alla luce dell’intervento additivo appena richiamato).
La Corte costituzionale ha rilevato, in primo luogo, che la regola generale è quella della liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa (« La regolamentazione delle spese di lite è processualmente accessoria alla pronuncia del giudice che la definisce in quanto tale ed è anche funzionalmente servente rispetto alla realizzazione della tutela giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito (art. 24Cost.). Il «normale complemento» dell’accoglimento della domanda ha affermato questa Corte (sentenza n. 303 del 1986) -è costituito proprio dalla liquidazione delle spese e delle competenze in favore della parte vittoriosa»). Tale regola non ha, tuttavia, carattere assoluto e inderogabile ( «Ampia, quindi, è la discrezionalità di cui gode il legislatore nel dettare norme processuali (ex plurimis, sentenze n. 270 del 2012, n. 446 del 2007 e n. 158 del 2003) e segnatamente nel regolamentare le spese di lite. Sicché è ben possibile -ha affermat o questa Corte (sentenza n. 157 del 2014) – «una dero ga all’istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, in presenza di elementi che la giustifichino (sentenze n. 270 del 2012 e n. 196 del 1982), non essendo, quindi, indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese (sentenza n. 117 del 1999)» ) .
In secondo luogo, nel perimetrare l’evoluzione normativa che ha interessato l’originaria formulazione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. (cui rinviava anche l’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, prima delle modifiche ad opera del d.lgs. n. 156 del 2015) con il passaggio dalla clausola generale che ammetteva la compensazione per «gravi motivi» a quella – che connotava la formulazione dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. anteriormente alle modifiche ad opera del d.l. n. 132 del 2014 e attualmente inserita nell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 che impone,
invece, la presenza di «gravi ed eccezionali ragioni», finisce per restringere i margini del sindacato giurisdizionale, riducendo, in tal modo, le possibili deroghe alla regola generale della soccombenza (« I «giusti motivi» sono diventati le «gravi ed eccezionali ragioni»: ciò significava che il perimetro della clausola generale si era ridotto, ritenendo il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità – che si è già rilevato essere ampia, secondo la giurisprudenza di questa Corte – che una più este sa applicazione della regola di porre a carico del soccombente totale le spese di lite rafforzasse il principio di responsabilità di chi promuoveva una lite, o resisteva in giudizio, con conseguente effetto deflativo sul contenzioso civile» , C. cost. n. 77 del 2018).
In tal modo il legislatore non solo accentua i rapporti tra la regola cd. della soccombenza (art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992) e quella speciale della compensazione (art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992) in termini di norma generale-norma eccezionale, ma costruisce la seconda come una sorta di correttivo alla prima, di cui finisce per modulare l’applicazione secondo il principio di proporzionalità.
Il principio di responsabilità che integra la ratio della regola generale sulla soccombenza, trova, quindi, in virtù di una clausola generale (« gravi ed eccezionali ragioni ») un correttivo che scongiura esiti interpretativi contrari al principio di ragionevolezza.
5.3. La gravità ed eccezionalità (cui il legislatore fa riferimento in via cumulativa) delle ragioni che inducono il giudice a compensare le spese è correlata alla condotta processuale complessivamente tenuta dalla parte soccombente nell’agire e resistere in gi udizio, da valutare in relazione all’incidenza di fattori esterni e non controllabili che rendano contraria al principio di proporzionalità l’applicazione della regola della soccombenza sancita nell’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 nella liquidazione delle spese.
Un’ipotesi di ragione grave ed eccezionale è quella tipizzata ad opera del d.lgs. 220 del 2023 -applicabile ai processi instaurati dal
04/01/2024, v. supra -con la quale è stato inserito nell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, il riferimento alla l’ipotesi in cui « la parte sia risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio ».
Un’altra ipotesi, emersa nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 23/12/2021, n. 41360) è invece riconducibile al mutamento sopravvenuto di giurisprudenza (v. anche C. cost. n. 77 del 2018, la quale precisa altresì che: « tale ratio può rinvenirsi anche in altre analoghe fattispecie di sopravvenuto mutamento dei termini della controversia senza che nulla possa addebitarsi alle parti: tra le più evidenti, una norma di interpretazione autentica o più in generale uno ius superveniens, soprattutto se nella forma di norma con efficacia retroattiva; o una pronuncia di questa Corte, in particolare se di illegittimità costituzionale; o una decisione di una Corte europea; o una nuova regolamentazione nel diritto dell’Unione europea; o altre analoghe sopravvenienze. Le quali tutte, ove concernenti una ‘questione dirimente’ al fine della decisione della controversia, sono connotate da pari ‘gravità’ ed ‘eccezionalità’, ma non sono iscrivibili in un rigido catalogo di ipotesi nominate: necessariamente debbono essere rimesse alla prudente valutazione del giudice della controversia »).
In ogni caso, come già evidenziato da questa Corte (Cass., 08/04/2024, n. 9312; Cass., 24/01/2022, n. 1950) tali ragioni gravi ed eccezionali devono essere espressamente indicate nella sentenza, dove il giudice deve dare puntuale riscontro, pur nell’ambito del parametro di sinteticità sancito nell’art. 36, comma 1, n. 4) d.lgs. n. 546 del 1992. L’onere di motivazione non risponde, peraltro, a un requisito meramente formale, ma consente, oltre all’assolvimento di esigenze di trasparenza, alla funzione di verificare se le ragioni (che hanno condotto alla compensazione delle spese di lite) siano effettivamente gravi ed eccezionali , al punto che l’applicazione della regola generale della soccombenza porterebbe, in concreto, a un esito interpretativo e applicativo contrario al principio di
proporzionalità e in antitesi con gli artt. 24 e 111 Cost. (da ultimo, Cass. 03/09/2024, n. 23592).
5.4. Nel caso in esame, tuttavia, la decisione della CTR, in punto di spese, è totalmente priva di motivazione e non tiene conto dell’esito complessivo della vicenda che ha visto l’Agenzia delle entrate e l’ADER totalmente soccombenti sui ricorsi per revocazione rispettivamente proposti , con la conseguente violazione dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992.
Ne consegue che i motivi sono fondati, tenuto conto che: « nel processo tributario, la compensazione delle spese processuali, ex art. 15, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. f, del d.lgs. n. 156 del 2015, è consentita esplicitando nella motivazione le gravi ed eccezionali ragioni che la sorreggono, che non possono essere illogiche o erronee, configurandosi altrimenti un vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità » (Cass., 08/04/2024, n. 9312).
6. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, Sezione Staccata di Siracusa, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, Sezione Staccata di Siracusa, perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo esame, provvedendo anche a regolare le spese del giudizio di legittimità tra le parti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 giugno 2025.