Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20754 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20754 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22535/2020 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende;
-controricorrenti-
nonchè
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE VICENZA
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENETO n. 1204/2019 depositata il 26/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME impugnava l’intimazione di pagamento cui erano sottese due cartelle esattoriali relative a debiti erariali concernenti le annualità 1996-1998, ascrivibili alla società RAGIONE_SOCIALE di cui il predetto era stato amministratore sino all’annualità 1998, intimazione che seguiva la notifica di cartelle esattoriali impugnate dinanzi alla CTP di Cosenza che le aveva annullate, in quanto debito ascrivibile alla società summenzionata, con sentenza impugnata successivamente dinanzi alla C.T.R. della Calabria.
Nel giudizio di primo grado si costituiva la società di riscossione chiedendo la declaratoria della cessazione della materia del contendere, avendo proceduto all’annullamento delle due cartelle prodromiche sulla base della sentenza non definitiva della C.T.P. di Cosenza.
La Commissione tributaria di Vicenza, accolta l’istanza cautelare volta alla sospensione della provvisoria esecutività dell’atto impugnato dichiarava cessata la materia del contendere, compensando le spese del giudizio, in quanto , ritenendo quindi di compensare le spese di lite.
Sull’appello del contribuente in punto di spese giudiziali, la C.T.R. del Veneto, confermava la compensazione delle spese di lite operata dai giudici di prossimità, affermando che la richiesta di estinzione non discendeva dalla soccombenza dell’amministrazione finanziaria o della Riscossione, in quanto l’annullamento in autotutela aveva origine dal .
NOME COGNOME ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, svolgendo due motivi, illustrati nelle memorie difensive depositate in prossimità dell’udienza.
Replicano con controricorso l’Agenzia della Entrate Riscossione e l’amministrazione finanziaria.
MOTIVI DI DIRITTO
La prima censura, proposta ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c. denuncia . Si obbietta che il giudicante, dichiarata la cessazione della materia del contendere, avrebbe dovuto statuire sulle spese legali seguendo il criterio della soccombenza virtuale, in quanto l’annullamento dell’atto impositivo era stata determinata dall’illegittimità dello stesso, emesso nei confronti di un soggetto estraneo al debito tributario.
Il secondo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c. denuncia .
La prima censura è priva di pregio.
Nell’illustrare tale motivo di ricorso la parte ricorrente ha richiamato l’art. 15 d.lgs. n. 546 del 1992 che consente la compensazione delle spese di lite solo «qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate». La sentenza della CTR risale al 18 novembre 2019; a decorrere dal 1 gennaio 2016 trovava applicazione l’art. 15, comma 2 e 2 -bis, riformulato (“Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”) del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. f), n. 2).
Va premesso che si verte in ipotesi di compensazione delle spese processuali susseguente all’annullamento in autotutela dell’atto impositivo, sicché viene in rilievo il disposto di cui all’art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992 che contempla l’ipotesi dell’estinzione (parziale o totale) del giudizio nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere e che al comma 3 prevede che le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diversa disposizione di legge. La Corte costituzionale, con sentenza n. 274 del 2005, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del predetto comma nelle ipotesi in cui si riferisce alla cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge. «La Corte delle leggi ha specificato che l’obbligo imposto da detto comma al giudice stesso di lasciare, in caso di “estinzione del
giudizio per cessazione della materia del contendere”, le spese processuali “a carico della parte che le ha anticipate” integra(va) una ipotesi di vera e propria “compensazione ope legis” di quelle spese. Siffatta (sostanziale) “compensazione”, quindi, siccome disposta (peraltro solo per le ipotesi contemplate) dal legislatore (perciò “ope legis”), intuitivamente, è, ontologicamente, diversa dalla operazione logica, effetto di apposito giudizio, di “compensazione” delle medesime spese, consentita al giudice dalla seconda parte del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, “la commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92 c.p.c., comma 2”, come deroga alla generale previsione della prima parte dello stesso art. 15, per la quale “la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio” (da liquidare “con la sentenza”)» (così in Cass. n. 19947 del 2010).
Dunque, nel processo tributario, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in sede di autotutela non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora tale annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 22231 del 26/10/2011, Rv. 620084; conf. Cass. n. 7273 del 2016; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19947 del 21/09/2010, Rv. 614544, e Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3950 del 14/02/2017, Rv. 643203;Cass. n. 32963 del 17/12/2024; Cass. n. 33157/2023, Cass. n. 33157/2023).
Nell’ipotesi di estinzione del giudizio d.lgs. n. 546 del 1992, ex art. 46, comma 1, per cessazione della materia del contendere determinata dall’annullamento in autotutela dell’atto impugnato, può essere disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 15, comma 1, del medesimo d.lgs., purchè intervenuta all’esito di una valutazione complessiva della lite da parte del
giudice tributario, trattandosi di una ipotesi diversa dalla compensazione “ope legis” prevista dal comma 3 dell’articolo citato, quale conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio (Cass. n. 3950 del 2017; in termini anche Cass. n. 19947 del 2010 e Cass., n. 9174 del 2011).
Per l’esame di tale censura occorre partire dalla formulazione dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 che regola, ratione temporis, la presente fattispecie. Si tratta, più precisamente, della versione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 9, comma 1, lett. f), n. 2), d.lgs. 24/09/2015, n. 156 (applicabili dal 01/01/2016, ai sensi dell’art. 12, comma 1, del testo normativo appena citato), in base al quale: «i commi 2 e 2-bis sono sostituiti dai seguenti: «2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate.» L’art. 9, comma 1, lett. f), n. 1) d.lgs. 24/09/2015, n. 156, al contempo, ha eliminato nell’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 il secondo periodo che rinviava all’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. Trovano, invece, applicazione ai giudizi instaurati «in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione» a decorrere dal 04/01/2024 le modifiche apportate all’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. e), n. 1) d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 220 («Le spese del giudizio sono compensate, in tutto o in parte, in caso di soccombenza reciproca e quanto ricorrono gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate ovvero quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel grado di giudizio»). Nella formulazione applicabile, ratione temporis, alla presente controversia (senza che il risultato interpretativo si diversifichi in ragione delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 220 del 2023) il tenore letterale dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del
1992 (nel richiamare le «gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate») trova riscontro nell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., a seguito dell’intervento additivo di C. cost. n. 77 del 2018, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del d.l. 12/09/ 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile) – nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. La stessa dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. ha trovato, quale riferimento sistematico, le modifiche apportate all’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 ad opera del d.lgs. 156 del 2015.
In particolare l’art. 9, comma 1, lettera f), numero 2), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6 e 10, comma 1, lettere a e b, della legge 11 marzo 2014, n. 23), ha sostituito gli originari commi 2 e 2bis dell’art. 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega governativa nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991 n. 413) ed ha, tra l’altro, previsto che le spese del giudizio possono essere compensate in tutto o in parte, oltre che in caso di soccombenza reciproca, anche «qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni» che devono essere espressamente motivate. Proprio dalla pronuncia resa da C. Cost. n. 77 del 2018 si traggono le coordinate ermeneutiche che possono condurre alla compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 e 92, comma 2, cod. proc. civ. (alla luce dell’intervento additivo appena richiamato). La Corte costituzionale ha rilevato, in primo luogo, che la regola generale è quella della liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa;
il «normale complemento» dell’accoglimento della domanda ha affermato questa Corte (sentenza n. 303 del 1986) -è costituito proprio dalla liquidazione delle spese e delle competenze in favore della parte vittoriosa». Tale regola non ha, tuttavia, carattere assoluto e inderogabile, sicché è ben possibile -ha affermato questa Corte (sentenza n. 157 del 2014) – «una deroga all’istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, in presenza di elementi che la giustifichino (sentenze n. 270 del 2012 e n. 196 del 1982), non essendo, quindi, indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese (sentenza n. 117 del 1999)». In secondo luogo, l’attuale formulazione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. (cui rinviava anche l’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, prima delle modifiche ad opera del d.lgs. n. 156 del 2015) che impone la presenza di «gravi ed eccezionali ragioni», finisce per restringere i margini del sindacato giurisdizionale, riducendo, in tal modo, le possibili deroghe alla regola generale della soccombenza, in tal modo i rapporti tra la regola cd. della soccombenza (art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992) e quella speciale della compensazione (art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992) risultano costruiti in termini di norma generale-norma eccezionale, e la seconda come una sorta di correttivo alla prima, di cui finisce per modulare l’applicazione secondo il principio di proporzionalità.
La gravità ed eccezionalità (cui il legislatore fa riferimento in via cumulativa) delle ragioni che inducono il giudice a compensare le spese è correlata alla condotta processuale complessivamente tenuta dalla parte soccombente nell’agire e resistere in giudizio, da valutare in relazione all’incidenza di fattori esterni e non controllabili che rendano contraria al principio di proporzionalità l’applicazione della regola della soccombenza sancita nell’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 nella liquidazione delle spese.
Un’ipotesi di ragione grave ed eccezionale è quella tipizzata ad opera del d.lgs. 220 del 2023 -applicabile ai processi instaurati dal 04/04/2024 -con la quale è stato inserito nell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, il riferimento alla l’ipotesi in cui «la parte sia risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio». Un’altra ipotesi, emersa nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 23/12/2021, n. 41360) è invece riconducibile al mutamento sopravvenuto di giurisprudenza (v. anche C. cost. n. 77 del 2018).
In ogni caso, come già evidenziato da questa Corte (Cass., 08/04/2024, n. 9312; Cass., 24/01/2022, n. 1950) tali ragioni gravi ed eccezionali devono essere espressamente indicate nella sentenza, dove il giudice deve dare puntuale riscontro, pur nell’ambito del parametro di sinteticità sancito nell’art. 36, comma 1, n. 4) d.lgs. n. 546 del 1992.
Invero, in linea generale, deve ribadirsi come il potere del giudice di compensare le spese di lite presenti natura discrezionale, sicché il sindacato di questa Corte, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 17 aprile 2019, n. 10685, Rv. 653541-01), per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri gravi motivi ex art. 15 d.lgs n. 546/1992 (tra le altre, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017, n. 24502; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, ord. 4 agosto 2017, n. 19613), e ciò in ragione della «elasticità» costituzionalmente necessaria che caratterizza il potere giudiziale di compensazione delle spese di lite, «non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese» in favore della parte vittoriosa (così
Cass. Sez. 6-3, ord. 26 luglio 2021, n. 21400, che richiama Corte cost., sent. 21 maggio 2014, n. 157).
Nel motivare le ragioni della disposta compensazione (in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2019, n. 17816), il giudice – sebbene debba astenersi da formule stereotipate o di mero stile, del tipo “la peculiarità della vicenda” esaminata (cfr., tra le numerose, Cass. Sez. 6- 5, ord. 25 settembre 2017, n. 22310, Rv. 64599801) – è tenuto, essenzialmente, ad evitare che siano addotte ragioni illogiche o erronee, dovendosi ritenere altrimenti sussistente il vizio di violazione di legge (da ultimo, Cass. Sez. Lav., ord. 9 aprile 2019, n. 9777; n. 21400/2021); – che è, dunque, una verifica “in negativo” – in ragione della “elasticità” costituzionalmente necessaria che, come visto, caratterizza il potere giudiziale di compensare le spese di lite, “non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese” in favore della parte vittoriosa (Corte Cost., sent. 21 maggio 2014, n. 157) – quella demandata a questa Corte; – che, pertanto, essa è chiamata a stabilire che le ragioni poste a fondamento del provvedimento ex art. 92 c.p.c., comma 2, siano “non illogiche” o “erronee” (Cass., ord. n. 1950 del 24/01/2022; Cass., 13 luglio 2011, n. 15413 e Cass. 20 ottobre 2010, n. 21521).
In questa “cornice” va iscritto il sindacato da compiersi sulla correttezza della motivazione con cui la Commissione Tributaria, nel presente caso, ha compensato le spese del primo e del secondo grado di giudizio, sul rilievo che l’annullamento in autotutela era dipeso da un fatto sopravvenuto, vale a dire dall’intervenuta sentenza n.6537/2016, ancora sub iudice, della C.T.P. di Cosenza che aveva accolto il ricorso del contribuente avverso le cartelle esattoriali cui erano sottesi gli avvisi di accertamento divenuti definitivi e non da una originaria illegittimità dell’atto impositivo.
La motivazione, sul punto, della sentenza impugnata deve ritenersi dunque coerente con i principi giurisprudenziali affermati da questa Corte, innanzitutto nella parte in cui ha accertato che l’annullamento non è dipeso dalla illegittimità originaria dell’atto opposto (in questo caso l’annullamento ha riguardato l’intimazione di pagamento, mentre l’avviso originario si è cristallizzato a seguito di sentenza definitiva di rigetto del ricorso del contribuente), bensì da una circostanza sopravvenuta estranea alla Riscossione.
Al rigetto del primo mezzo di ricorso consegue l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, non potendosi ravvisare una omessa pronuncia del giudice d’appello, il quale nel compensare le spese del giudizio ha evidentemente incluso anche quelle della prodromica fase del reclamo.
Segue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in, favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 9.000,00, oltre spese prenotate a debito; – ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione