Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16457 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16457 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7811/2024 R.G. proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, dall’Avvocato NOME COGNOME del Foro di Catania, con studio in Catania, INDIRIZZO, PEC EMAIL.ordineavvocaticatania.it
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7949/2023 della C.g.t. di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, pronunciata il 21.09.2023, depositata in data 2 ottobre 2023 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4
giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate ricorre con un unico motivo avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha parzialmente accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione del diniego di rimborso dell’Irap per tre annualità (dal 2011 al 2013) avanzata dal contribuente NOME COGNOMEche resiste con controricorso), che sosteneva di senza
l’ausilio di dipendenti ed in assenza di studio di proprietà.
In appello, l’ufficio aveva contestato unicamente il quantum del rimborso per gli anni di imposta 2011 e 2013.
La C.g.t. di secondo grado, con la sentenza impugnata, ha dichiarato fondata l’eccezione di decadenza relativamente ai versamenti Irap effettuati in data 6.7.2011 di euro 1.464,01 ed in data 30.11.2011 di euro 2.196,02, essendo decorso il termine di 48 mesi ex art. 38 dpr n. 602/1973; importi che, pertanto, andavano scomputati dalle somme da rimborsare per l’anno 2011. Ha ritenuto, invece, che non potesse essere accolta l’eccezione formulata dall’Ufficio, per cui negli anni 2011 e 2013 sarebbero stati utilizzati in compensazione dall’appellato crediti dell’anno precedente non meglio specificati che dovevano escludersi dal rimborso, poiché, a parte la novità della dedotta eccezione, si trattava di rilievo del tutto generico in ordine alla natura dei crediti citati.
Con l’unico motivo di ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. -la violazione/falsa applicazione dell’art. 2033 c.c ., in quanto l’esecuzione della sentenza impugnata avrebbe portato alla realizzazione di un indebito arricchimento a favore del citato contribuente nel capo in cui ha dichiarato dovuto il rimborso per la
parte relativa a compensazione di crediti derivanti dalla dichiarazione precedente (e, pertanto, non riguardanti versamenti).
La Consigliera delegata della Sezione tributaria ha formulato proposta di definizione accelerata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.; la ricorrente ha depositato istanza di decisione ai sensi dell’art. 380 -bis , comma secondo, cod. proc. civ.; è stata così fissata udienza camerale per la discussione, in prossimità della quale l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., viene dedotta -come già anticipato -<>, per l’avvenuta compensazione dei versamenti Irap con i crediti della precedente dichiarazione ed il conseguente indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. a seguito del rimborso di somme maggiori rispetto a quelle versate dal contribuente.
Secondo la ricorrente, dall’esame della documentazione allegata in appello risulterebbe palese che i versamenti effettuati ammontano a euro 4.057,54 per l’anno 2011 (ad esclusione dei due versamenti rispetto a quali il contribuente è decaduto) e ad euro 5.748,02 per l’anno 2013, mentre la restante parte chiesta dal contribuente a rimborso non sarebbe relativa a versamenti effettuati ma a compensazioni con crediti dell’anno precedente; ritiene, dunque, l’Agenzia delle entrate che un eventuale esborso relativamente agli importi non versati comporterebbe un indebito arricchimento per la parte, senza che possa opporsi la ‘novità’ dell’eccezione, mossa solo in appello, in quanto essa attiene al quantum del rimborso dovuto.
Il motivo è inammissibile e, in ogni caso, infondato.
2.1. Preliminarmente deve rilevarsi che in tema di contenzioso tributario, ai sensi dell’art. 57, comma 2, del d. lgs. n. 542 del 1996, sono precluse in appello esclusivamente le nuove eccezioni in senso tecnico, dalle quali deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione, sicché, a fronte dell’impugnazione, da parte del contribuente, del silenzio rifiuto su di un’istanza di rimborso d’imposta, l’Amministrazione finanziaria può difendersi dalla pretesa azionata eccependo, anche in appello, il mancato versamento degli importi richiesti o la loro utilizzazione in compensazione, integrando tale attività una mera difesa o un’eccezione in senso improprio, pienamente ammissibile in quanto mera contestazione delle censure mosse con il ricorso, senza introduzione di alcun elemento nuovo d’indagine (vedi Cass. n. 23587/2016, che riguardava la richiesta di rimborso di somme a credito già utilizzate in compensazione per corrispondere altre imposte; in senso conforme v. anche Cass. n. 11284/2022).
Invero, l’Agenzia, avendo riconosciuto in gran parte la pretesa di rimborso del contribuente, in appello si era limitata a giustificare la persistente contestazione per le annualità 2011 e 2013 sulla base della mancata dimostrazione, da parte del contribuente, dell’effettivo versamento degli importi richiesti in restituzione, deducendo che l’imposta di cui si chiedeva il rimborso era stata in parte compensata con l’utilizzo di crediti derivanti da precedenti annualità.
La C.G.T. di secondo grado ha ritenuto, con un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, che il rilievo dell’ufficio fosse del
tutto generico in ordine alla natura dei crediti dedotti in compensazione, con ciò escludendo che vi fosse la prova che gli importi utilizzati in compensazione fossero ricompresi nelle somme richieste a rimborso per le diverse annualità.
Dunque, ove il contribuente avesse operato dette compensazioni con crediti di imposta derivanti da precedenti dichiarazioni, nessun indebito arricchimento potrebbe dirsi conseguito con il rimborso di quanto complessivamente pagato, in assenza della prova della coincidenza degli importi compensati e delle somme richieste a rimborso per le diverse annualità.
Il ricorso va, dunque, respinto, in conformità alla proposta di definizione accelerata.
La ricorrente, in quanto soccombente, va condannata al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
La stessa deve, inoltre, essere condannata, ai sensi dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., richiamati dall’art. 380 -bis, ultimo comma, cod. proc. civ., al pagamento delle ulteriori somme pure liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio2002 n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 2 .300,00, oltre il 15 per cento per spese forfetarie, euro 200,00 per esborsi, iva e c.p.a. come per legge, nonché al pagamento dell’ulteriore importo di € 2 . 300,00 ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., e di euro 1300,00, in applicazione dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema