Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4907 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4907 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
legislativo n. 417 del 1997; utilizzo indebito in compensazione di crediti inesistenti.
NOME COGNOME
Presidente
COGNOME
Consigliere – Rel.
TANIA HMELJAK
Consigliere
Ud. 1/29/01/2025 C.C. PU R.G. 17525/2018 –
COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Cron. 17987/2019
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 17525/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. Avv. COGNOME COGNOME giusta procura in calce alla comparsa di costituzione con nuovo difensore, con il quale elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
R.G.N. 17987/2019
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di ABRUZZO n. 1123/4/17 depositata in data 14 dicembre 2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto l’avviso di contestazione relativo all’anno 2009, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva irrogato la sanzione ammini strativa pecuniaria di euro 137.477,00, ai sensi dell’art. 13, comma 5, del decreto legislativo n. 471 del 1997, per l’indebito utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti per il pagamento di contributi Inps.
2. I giudici di secondo grado hanno ritenuto i motivi di appello generici ed astratti, in quanto si limitavano alla enunciazione di principi e regole generali e alla citazione della relativa giurisprudenza di legittimità; l’impegno concomitante posto a fondamento del differimento dell’udienza era stato fissato successivamente e non era stata addotta una particolare complessità che non consentiva di ricorrere ad una sostituzione in una delle diverse sedi; l’istanza di sospensione era stata esaminata con decreto presidenziale del 6 luglio 2016 ed era stata rigettata, con la fissazione della trattazione collegiale di questa unitamente al merito; le doglianze di merito erano le stesse già sottoposte alla commissione di primo grado, le cui motivazioni erano pienamente condivise ; andava ribadito che l’indebita compensazione andava fatta risalire al fatto che un soggetto passivo poteva avere attivi, a fronte di un singolo codice fiscale, diversi numeri di matricola Inps sulla base delle diverse ubicazioni delle proprie sedi operative e
che tale circostanza determinava il non immediato riferimento fra codice fiscale e matricola Inps nei modelli F24; nel caso di specie, i modelli F24 intestati alla RAGIONE_SOCIALE, con indicazione dei numeri di matricola Inps della società RAGIONE_SOCIALE aveva reso possibile che la società RAGIONE_SOCIALE si avvantaggiasse indebitamente di crediti inesistenti formalmente riferiti alla RAGIONE_SOCIALE, soggetto interposto; ogni altra deduzione ed eccezione sollevata doveva ritenersi assorbita.
La società RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a undici motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso limitatamente al nono motivo e il rigetto dei restanti motivi.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 47 del decreto legislativo n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in quanto il Presidente aveva rigettato l’istanza di sosp ensione e non aveva fissato l’udienza di trattazione collegiale di questa unitamente al merito del ricorso e la Commissione tributaria regionale non aveva dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, in quanto emessa in violazione di legge.
1.1 Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, in quanto i vizi denunciati non attengono alla sentenza impugnata, ma ad un provvedimento precedente, emesso in sede cautelare, i cui eventuali vizi non esplicano alcun effetto sulla successiva sentenza.
Ed infatti, poiché il provvedimento cautelare è caratterizzato da strumentalità, provvisorietà, difetto di decisorietà, esso è destinato ad essere superato dalla decisione di merito e l’autonomia del giudizio di
merito rispetto al procedimento cautelare rende il primo del tutto autonomo e, quindi, indipendente dall’esito e dal rispetto delle forme del secondo (Cass., 4 marzo 2024, n. 5741).
Inoltre, « In tema di contenzioso tributario non viola il diritto di difesa del contribuente il giudice che, senza ritardo, decida il merito della causa senza pronunciarsi sull’istanza di sospensione dell’atto impugnato, in quanto l’art. 47, comma 7, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 prevede che “gli effetti della sospensione cessano alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado”, sicché non è ipotizzabile alcun pregiudizio per la mancata decisione sull’istanza cautelare che, pur se favorevole, sarebbe comunque travolta dalla decisione di merito » (Cass., 9 aprile 2010, n. 8510).
Il secondo mezzo deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 101 cod. proc. civ., degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.. I giudici di secondo grado hanno rigettato l’istanza di rinvio dell’udienza pubblica, ledendo il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost, e, di conseguenza, rendendo nulla la sentenza emessa.
2.1 Il motivo è inammissibile.
2.2 Ed invero, con specifico riferimento al processo tributario, la giurisprudenza di legittimità ha, da tempo, stabilito il principio di diritto per cui, al di là delle ipotesi tassative ed eccezionali dell’art. 59, comma primo, del decreto legislativo n. 546 del 1992, nelle quali è prevista la possibilità di una sentenza meramente rescissoria, il giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie regionali assume le caratteristiche generali del mezzo di gravame, ossia del mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo, sicché la sentenza di secondo grado prende il posto, nel rispetto della devoluzione occasionata dall’appello presentato, della sentenza di primo grado, con la conseguenza che la Commissione tributaria regionale non può
limitarsi, tranne che nelle suddette eccezioni, alla fase rescissoria, ma deve decidere nel merito le questioni ad essa sottoposte (Cass., 3 agosto 2007, n. 17127).
2.3 Questa Corte ha anche affrontato l’argomento della trattazione del ricorso (in primo grado) in camera di consiglio, sebbene almeno una delle parti ne abbia chiesta la trattazione in udienza pubblica, ai sensi dell’art. 33, comma 1, del decreto legislativo n. 546 del 1992 ed, in tale evenienza, è stata negata la rimessione al primo giudice per ragioni di violazione del principio del contraddittorio, in quanto: « In tema di contenzioso tributario, la trattazione del ricorso in camera di consiglio invece che alla pubblica udienza, in presenza di un’istanza di una delle parti ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 546 del 1992, integra una nullità processuale che, pur travolgendo la successiva sentenza per violazione del diritto di difesa, non determina, una volta dedotta e rilevata in appello, la “retrocessione” del giudizio in primo grado, poiché tale ipotesi non rientra tra quelle tassativamente previste dall’art. 59 del detto d.lgs. L’appello costituisce, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia » (Cass., 24 luglio 2018, n. 19579; Cass., 30 dicembre 2014, n. 27496).
2.4 Nella controversia in esame, la CTR, richiamato il fermo indirizzo della giurisprudenza di legittimità (Cass., 16 febbraio 2010, n. 3559), sulla scia del quale si pongono i più recenti arresti appena ricordati, ha fatto corretta applicazione dei princìpi di diritto che regolano la materia disattendendo la doglianza della contribuente, volta a dichiarare la nullità della sentenza di primo grado. È pur vero che la particolarità del caso di specie, rispetto ai richiamati precedenti, sta nel fatto che è proprio mancata l’udienza per la discussione dell’istanza di sospensione dell’avviso di accertamento. Va considerato, però, che, una simile menomazione dell’ordinata
sequenza del procedimento di primo grado non è sussumibile ad alcuna delle ipotesi, tassative, di rimessione alla Commissione provinciale previste dall’art. 59, primo comma, del decreto legislativo n. 546 del 1992.; neppure al caso – enunciato alla lettera b) – in cui «nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato», in quanto la società ricorrente ( alla quale era stato debitamente notificato il rigetto dell’istanza di sospensione ) era presente alla successiva udienza fissata per la trattazione della causa nel merito e avrebbe potuto prendere posizione sulla decisione del Presidente di rigetto dell’istanza di sospensione. Ne discende che, pur essendosi verificata una nullità processuale che ha importato quella della (successiva) sentenza, per violazione del diritto di difesa, in quanto l’udienza di discussione dell’istanza di sospensione non è mai stata tenuta, tuttavia, t ale vizio processuale – dedotto e rilevato in appello – non determina la retrocessione del giudizio in primo grado, poiché esula dalle ipotesi (tassative) dell’irregolare costituzione o integrazione del contraddittorio (Cass., 9 novembre 2021, n. 32593; Cass., 24 luglio 2018, n. 19579).
2.5 Il motivo è pure infondato, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « Il rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., applicabile anche nel processo tributario ex art. 1 del decreto legislativo n. 546 del 1992, presuppone l’impossibilità di sostituzione dello stesso, venendo in difetto in rilievo una carenza organizzativa del professionista incaricato che non consente la concessione del differimento di tale udienza, con conseguente legittimità della sentenza pronunciata a seguito del legittimo diniego del provvedimento di rinvio » (Cass.,15 ottobre 2018, n. 25783).
2.6 Dunque, l’i stanza di rinvio dell’udienza di discussione per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. cod. proc.
civ., allorché non faccia riferimento all’impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega (facoltà confermata dall’art. 9, comma secondo, della legge n. 247 del 2012 e tale da rendere riconducibile all’esercizio professionale del sostituito l’attività processuale svolta dal sostituto), si risolve nella prospettazione di un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, che non rileva ai fini del richiesto differimento (Cass., 3 maggio 2018, n. 10546; Cass., 10 giugno 2020, n. 11121). Non è quindi ipotizzabile, nella specie, alcuna violazione del diritto di difesa che sola avrebbe giustificato l’accoglimento dell’istanza di rinvio (Cass., 28 maggio 2004, n. 10273).
2.7 La sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato, confermando la sentenza di primo grado sul punto, che non era stata addotta una particolare complessità che non consentisse di ricorrere ad una sostituzione in una delle diverse sed e che l’impegno concomitante era stato fissato successivamente alla fissazione del giudizio tributario, è conforme ai superiori principi (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
Il terzo mezzo deduce l ‘insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.., in relazione all’affermazione che la società ricorrente fosse l’autore delle present i violazioni rilevate. Come affermato dallo stesso Ufficio, il presunto pagamento dei debiti contributivi era stato effettuato da altra società e non dalla società ricorrente. Inoltre, i debiti contributivi compensati dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si riferivano ad anni precedenti e coprivano un arco temporale dall’anno 1996 al 2004 e, pertanto, tali debiti contributivi erano anche prescritti. Mancava, inoltre, la notifica di un atto di contestazione alla società RAGIONE_SOCIALE, quale autore delle violazioni. La ricorrente aveva eccepito pure la decadenza ex artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto i
crediti compensati si riferivano ad anni d’imposta antecedenti e non all’anno 2009.
3.1 Il motivo è inammissibile, deducendo la parte ricorrente il vizio di insufficiente motivazione della sentenza, ormai espunto dal sistema per effetto della riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 54 del decreto legge n. 83/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n., 134/2012, nemmeno risultando prospettato il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
3.2 Il motivo è pure inammissibile per violazione dell’art. 348 ter , ultimo comma, cod. proc. civ., stante il rigetto dell’appello principale statuito dalla Corte di merito e non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado, così dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 11 maggio 2018, n. 11439; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562; Cass., 9 marzo 2022, n. 7724).
3.3 Ed invero « la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nell’affermare che il novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma » (Cass., Sez. U., 7 aprile
2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 23 agosto 2023, n. 25124).
Il quarto mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del decreto legislativo n. 472 del 1997 , in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.. I giudici non avevano rilevato, né si erano pronunciati sulla nullità dell’atto di contestazione notificato illegittimamente alla società ricorrente, nonostante nelle motivazioni si affermava che l’autore delle violazioni era un altro soggetto (la società RAGIONE_SOCIALE)..
Il quinto mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. I giudici non avevano rilevato che l’Ufficio si era limitato ad irrogare le sanzioni senza alcuna prova (che incombeva all’Amministrazione finanziaria) ed in contrasto con quanto emergeva dal pvc e dalle motivazioni dello stesso ed aveva irrogato le sanzioni anche se la violazione non era stata posta in essere dalla società ricorrente, non risultando che nelle scritture contabili e nelle dichiarazioni fiscali la stessa avesse compensato alcuna imposta Iva o altri crediti.
5.1 Il quarto e quinto motivo, che devono essere trattati congiuntamente perché connessi, sono inammissibili perché non si confrontano con il contenuto del provvedimento impugnato, che, a pag. 3, dopo avere precisato che l’indebita compensazione andava fatta risalire al fatto che un soggetto passivo poteva avere attivi diversi numeri di matricola Inps, a fronte di un singolo codice fiscale, sulla base delle diverse ubicazioni delle proprie sedi operative e che tale circostanza determinava il non immediato riferimento fra codice fiscale e matricola Inps nei modelli F24, ha affermato che, nel caso di specie, i modelli F24 intestati alla RAGIONE_SOCIALE, con indicazione dei numeri di matricola Inps della società RAGIONE_SOCIALE aveva reso possibile che la società RAGIONE_SOCIALE si avvantaggiasse indebitamente di
crediti inesistenti formalmente riferiti alla RAGIONE_SOCIALE, soggetto interposto, così sostanzialmente rilevando che la società RAGIONE_SOCIALE era anche autore delle violazioni sanzionate, in quanto i crediti inesistenti utilizzati in compensazione andavano riferiti all’effettivo utilizzatore (la società RAGIONE_SOCIALE, che se ne era avvantaggiato per pagare i propri debiti contributivi.
5.2 Né sussiste la violazione dell’art. 2697 cod. civ., che si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l ‘onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di ripartizione basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769).
6. Il sesto mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, della legge n. 241 del 1990 e della legge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. I giudici non avevano rilevato la nullità dell’atto in quanto carente di motivazione, in quanto l’Ufficio aveva fatto riferimento in detto atto solo al pvc del 20 dicembre 2013, che traeva origine da una segnalazione non conosciuta dal contribuente della Direzione Centrale Accertamento Ufficio Centrale Antifrode senza allegare tali atti, né gli allegati al pvc.
6.1 Il motivo è infondato.
6.2 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche «per relationem», ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la
cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (Cass., 11 settembre 2017, n. 21066; Cass., 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., 15 aprile 2013, n. 131109), con la conseguenza che la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richiamato dall’avviso di accertamento non si realizza necessariamente, con la pedissequa trascrizione delle sue parti rilevanti nel contesto dell’atto impositivo, ma anche con la semplice indicazione, in forma riassuntiva, del suo contenuto essenziale, per come apprezzato e valutato dall’Amministrazione finanziaria e, quindi, posto a sostegno della pretesa impositiva.
6.3 Ne consegue che l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’avviso di accertamento, con esclusione, altresì: a) di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur essendo considerati irrilevanti ai fini della motivazione, sono comunque utilizzabili per la prova della pretesa impositiva (Cass., 5 ottobre 2018, n. 24417); b) di quelli di cui il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass., 14 gennaio 2015, n. 407; Cass., 2 luglio 2008, n. 18073).
7. Il settimo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 167 cod. proc. civ. e dell’art. 23 del decreto legislativo n. 546 del 1992, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto i giudici di secondo grado non avevano posto a fondamento della decisione le prove proposte dalla società contribuente e non avevano rilevato che tali prove e fatti non erano stati contestati specificamente dall’Ufficio, né avevano esaminato le doglianze tanto di fatto che di diritto esposte nel corso del giudizio.
7.1 Il motivo è inammissibile, sia perché del tutto generico, nella sua concreta prospettazione, sia per difetto di specificità, non indicando lo specifico contenuto dei fatti, delle prove e delle doglianze non
esaminate dai giudici di secondo grado, sia perché con la censura formulata si tenta inammissibilmente di riportare dinanzi al giudice di legittimità questioni attinenti al merito.
7.2 Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
7.3 La sentenza impugnata ha, per quanto sopra rilevato, motivato secondo il prudente apprezzamento delle concrete circostanze acquisite al processo e nell’esercizio del potere giurisdizionale tipicamente attribuito al giudice del merito, che, come già detto, non è suscettibile di valutazione in sede di legittimità.
7.4 Non sussiste nemmeno la dedotta mancata applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ., atteso che il principio di non contestazione, che come affermato dalla società ricorrente, opera anche nel processo tributario, deve, tuttavia, deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, né determina il restringimento del « thema
decidendum » ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ente impositore, qualora le questioni da questo dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione (Cass., 13 marzo 2019, n. 7127; Cass., 23 luglio 2019, n. 19806).
7.5 Mentre con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è utile richiamare le Sezioni Unite di questa Corte che, di recente, hanno affermato che « In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione » (Cass., Sez. U., 30 settembre 2020, n. 20867) e già si è detto della previsione di cui all’art. 348 ter , quinto comma, cod. proc. civ., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, primo grado, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello «che conferma la decisione di primo grado», come nel caso in esame.
8. L’ottavo mezzo deduce la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. , sulla mancata applicazione dell’istituto della continuazione.
8.1 Il motivo è inammissibile.
8.2 Nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 25 ott obre 2017, n. 25319; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
8.3 Infatti i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass., 30 marzo 2007, n. 7981 ed, ancora e più di recente, Cass., 9 luglio 2013, n. 17041).
Il nono mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto i giudici di secondo grado avevano applicato il raddoppio del contributo unificato che nel processo tributario di merio non si applicava.
9.1 Ed invero, pur rilevando che la censura formulata non rientra tra le ipotesi di cui all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve precisarsi che questa Corte, attesa la natura di carattere amministrativo della relativa statuizione (cfr. Cass. 9 novembre 2017, n. 2017), che non attiene alla sfera della decisione sullo ius litigatoris, riguardando il rapporto del contribuente con l’Erario relativamente alle condizioni per l’accesso alla giustizia, è tenuta comunque a rilevare anche d’ufficio l’erroneità della suddetta statuizione.
9.2 Di ciò va dato atto, dunque, in questa sede come da dispositivo, avuto riguardo al fatto che il giudice tributario d’appello ha ritenuto applicabile al processo tributario d’appello una norma, l’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la quale prevede che « Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma della comma 1- bis ».
9.3 Si tratta, tuttavia, di una norma avente carattere di misura eccezionale e lato sensu sanzionatoria, la cui operatività deve intendersi circoscritta al processo civile, secondo l’esegesi della norma indirettamente avallata dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 18 depositata il 2 febbraio 2018, e condivisa da questa Corte. Ciò diversamente da quanto dovuto per la soccombenza nel presente giudizio di legittimità, stante la natura di ordinario processo civile, disciplinato dalle norme del codice di rito, del giudizio di cassazione avente ad oggetto l’impugnazione di pronuncia resa da Commissione tributaria regionale, come ribadito da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 (cfr. Cass., 11 giugno 2018, n. 15111 e Cass., 27 luglio 2018, n. 20018, entrambe in motivazione, e, più di recente, Cass., 1 settembre 2023, n. 25612).
Il decimo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per difetto di motivazione e per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. non avendo posto a fondamento della decisione i fatti non contestati dall’Ufficio in sede di controdeduzioni .
10.1 Il motivo, che ripropone profili di censura già sollevati con il settimo motivo, deve dichiararsi inammissibile, sia perché del tutto generico, nella sua concreta prospettazione, sia per difetto di specificità, non indicando lo specifico contenuto dei fatti, delle prove e delle doglianze non esaminate dai giudici di secondo grado, sia perché con la censura formulata si tenta inammissibilmente di riportare dinanzi al giudice di legittimità questioni attinenti al merito.
L’undicesimo primo mezzo deduce la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., per la mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con specifico riferimento alle eccezioni formulate dal ricorrente nel corso del giudizio.
11.1 Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
11.2 E’ inammissibile perché l’o messa pronuncia su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra, infatti, una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare -l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. (Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759).
11.3 Rileva, anche, un difetto di autosufficienza della censura, stante che, nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stata investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del «fatto processuale», intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a
procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass., 14 ottobre 2021, n. 28072).
11.4 Il motivo è pure inammissibile perché il vizio di omessa pronuncia, che può determinare la nullità della sentenza, non è configurabile in ordine alle eccezioni pregiudiziali di rito, ma solo rispetto al mancato esame di questioni di merito (Cass., 6 ottobre 2020, n. 21376; Cass., 15 aprile 2019, n. 10422; Cass., 11 ottobre 2018, n. 25154).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Dichiara non sussistente l’obbligo della società ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta in grado di appello.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 29 gennaio 2025.