Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2584 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2584 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 35587/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma,
INDIRIZZO c/o REGUS, in forza di procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della BASILICATA, n. 218/1/19, depositata in data 26 aprile 2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Potenza, con sentenza n. 488/2017, aveva accolto il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE, avverso il provvedimento di erogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni per complessivi euro 41.983,57, emesso ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, sulla base del PVC del 16 marzo 2016, con il quale era stato accertato l’omesso versamento del conguaglio accisa a debito risultante dalla dichiarazione di consumo relativa all’anno 2011 e RAGIONE_SOCIALE rate di acconto dell’accisa relativa ai mesi di marzo 2011, gennaio 2012 e febbraio 2012.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, affermando che la fattispecie per cui era causa non si inseriva nell’ipotesi di mera sospensione di pagamenti di accisa dovuti mensilmente e determinati in via provvisoria sulla base dei versamenti dovuti nell’anno precedente, ma si inseriva nel procedimento di trasferimento di crediti da una agenzia all’altra sul territorio nazionale a seguito di trasferimento di attività; tale eventualità era, infatti, prevista e regolata dalla nota di prassi del 6 maggio 2009 citata dalla società; era, dunque, consentito il passaggio dei crediti nei confronti di una RAGIONE_SOCIALE ad un’altra RAGIONE_SOCIALE senza dover attendere la restituzione di quanto versato in eccedenza
presso l’RAGIONE_SOCIALE che si abbandonava per trasferimento; la nota del 26 gennaio 2012 inviata dalla RAGIONE_SOCIALE aveva, dunque, valore di comunicazione dell’avvio del procedimento di trasferimento da una provincia all’altra e di comunicazione della volontà di non proseguire nei versamenti di acconto che per effetto del trasferimento sarebbero risultati non dovuti, con la conseguenza che l’RAGIONE_SOCIALE in aderenza agli obblighi di partecipazione e di informazione rivenienti dall’art. 6, comma 2, della legge n. 212 del 2000, avrebbe dovuto comunicare l’intenzione di erogare la sanzione per mancato versamento ove la RAGIONE_SOCIALE avesse operato nei sensi preannunciati con la suddetta nota del 26 gennaio 2012 e non attendere immotivatamente la mora della contribuente al fine di erogare la sanzione per cui è causa.
I giudici di secondo grado hanno, quindi, precisato che dalla complessa vicenda procedimentale si evinceva che il rilievo della RAGIONE_SOCIALE sulla buona fede da essa manifestata nei rapporti con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE insieme ad una sostanziale assenza di danno per l’erario deponevano per la illegittimità del provvedimento sanzionatorio impugnato.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e memoria.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare deve essere rigettata la richiesta di cessazione della materia del contendere formulata dalla società controricorrente nella memoria depositata, con modalità informatiche, in data 24 novembre 2023, stante l’assenza di documentazione a riscontro, adempimento pure necessario anche in caso di definizione agevolata di sanzioni relative ad una imposta asseritamente corrisposta.
In via gradatamente preliminare va rigettata l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso per violazione dell’art. 361 ( recte : 366), primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., sollevata nel controricorso dalla società RAGIONE_SOCIALE.
2.1 Risulta rispettato, infatti, nel caso in esame, alle pagine 2- 9 del ricorso, il requisito imposto dall’articolo 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., in ossequio del quale il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali RAGIONE_SOCIALE parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati ≪ causa petendi ≫ e ≪ petitum ≫ , nonché degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, (Cass. 3 febbraio 2015, n. 1926; Cass. 28 maggio 2018, n. 13312); né è stato disatteso l’onere previsto dall’art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., che impone alla parte ricorrente, a pena d’inammissibilità, nel giudizio di cassazione, trattandosi di rimedio a critica vincolata, l’indicazione di motivi aventi caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata e di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata (Cass., Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass., 24 febbraio 2020, n. 4905).
Deve essere disattesa anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 361 (r ecte : 360), primo comma, n. 5, cod. proc. civ. e per la violazione del principio della doppia conforme, in quanto la previsione di cui all’art. 348 ter , quinto comma, cod. proc. civ. esclude che possa essere impugnata ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata (Cass., 9 marzo 2022, n. 7724; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562), censura di omesso esame di fatto decisivo che non è stata formulata in questa sede.
4. Il primo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 26, comma 13, del TUA e la nullità della sentenza per omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Ed invero la società RAGIONE_SOCIALE aveva senz’altro tenuto una condotta violativa dell’art. 26, comma 13, TUA allorché, prima della presentazione della dichiarazione di consumo per l’anno 2011 e, quindi, prima che risultasse formalmente il proprio credito d’imposta, si era limitata a comunicare all’Ufficio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Potenza che non avrebbe effettuato il versamento RAGIONE_SOCIALE rate di acconto dovute per i mesi di gennaio e febbraio 2012. La norma richiamata, peraltro, nella versione ratione temporis vigente, prevedeva che l’Amministrazione finanziaria aveva la facoltà di prescrivere diverse rateizzazioni d’acconto sulla base dei dati tecnici e contabili disponibili, presupponendo, quindi, che il soggetto obbligato dovesse presentare in tempo utile una documentata richiesta in tal senso e che dovesse attendere l’eventuale accoglimento dell’Ufficio prima di procedere. Come emergeva chiaramente dalla lettura della nota del 26 gennaio 2012, alla RAGIONE_SOCIALE era imputabile un’arbitraria e non autorizzata interruzione dei versamenti dovuti ai sensi dell’art. 26, comma 13, del TUA, ragione per cui la sanzione irrogata dall’Ufficio appariva legittima.
4.1 Il motivo è fondato.
4.2 L’art. 26, comma 13, del decreto legislativo n. 504 del 1995 dispone che: « L’accertamento dell’accisa dovuta viene effettuato sulla base di dichiarazioni annuali, contenenti tutti gli elementi necessari per la determinazione del debito d’imposta, che sono presentate dai soggetti obbligati entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce. Il pagamento dell’accisa è effettuato in rate di acconto mensili da versare entro la fine di ciascun mese, calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente. Il versamento a conguaglio è effettuato entro il mese di marzo dell’anno successivo a
quello cui si riferisce. Le somme eventualmente versate in eccedenza all’imposta dovuta sono detratte dai successivi versamenti di acconto. L’Amministrazione finanziaria ha facoltà di prescrivere diverse rateizzazioni d’acconto sulla base dei dati tecnici e contabili disponibili. Per la detenzione e la circolazione del gas naturale non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 5 e 6 ».
4.3 Questa Corte, in proposito, ha affermato che « In tema di accise sulla produzione di energia elettrica, il cui pagamento è effettuato, ai sensi dell’art. 26, comma 13, del d.lgs. n. 504 del 1995, in rate di acconto mensili, calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente, l’obbligo del versamento del conguaglio, così come il diritto alla compensazione, insorgono successivamente alla presentazione della dichiarazione annuale contenente tutti gli elementi necessari per la determinazione del debito d’imposta; pertanto il contribuente che intenda compensare i versamenti effettuati in eccedenza, non può provvedere autonomamente al riequilibrio omettendo il versamento dei singoli acconti, ma deve attendere che l’obbligazione tributaria si determini nella sua interezza e definitività alla fine dell’anno d’imposta di riferimento, potendo, peraltro, in caso di mancata capienza, presentare istanza di rimborso in sede di dichiarazione » (Cass., 15 ottobre 2019, n. 26008) ed ancora che « In materia di pagamento dell’accisa, la scadenza dei termini previsti per i versamenti e per il conguaglio è fissata dall’art. 56, comma 1 del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504; la compensazione è altresì regolata in modo rigido dalla medesima previsione di legge e, per le accise relative al gas naturale, specificamente dall’art.26, comma 13 del decreto, operando nel senso che le somme eventualmente versate in più del dovuto sono detratte dai successivi versamenti di acconto, senza che possa essere utilmente invocato un RAGIONE_SOCIALE diritto potestativo del contribuente alla compensazione in materia, in ragione del fatto che l’errata utilizzazione
del meccanismo di compensazione suddetto non integra una violazione meramente formale » (Cass., 19 aprile 2023, n. 10418).
4.4 In particolare, è stato precisato che:
-) la disposizione di cui all’art. 26, comma 13, del decreto legislativo n. 504 del 1995, provvede a riequilibrare la situazione in essere tra le parti, consentendo al contribuente di recuperare, in sede di determinazione dei successivi versamenti in acconto, quanto versato in più precedentemente;
-) la dizione letterale, peraltro, fa chiaro e inequivoco riferimento ai «successivi versamenti in acconto» quale sede nella quale – sia pur utilizzando il concetto non del tutto appropriato di detrazione («detratti») – il contribuente ridetermina il dovuto sottraendo quanto versato in più alla somma determinate nel successivo acconto;
-) il sistema, così ricostruito, risulta quindi da un lato tutelare l’interesse erariale alla costante e pronta riscossione del dovuto, salvo conguaglio o restituzione della differenza indebitamente percetta dall’Amministrazione; dall’altro permettere al contribuente la ripetizione di quanto versato indebitamente, ancorché l’indebito risulti sopravvenuto;
-) nondimeno, il legislatore ha identificato una sola sede e circostanza nella quale il riequilibrio tra provvisoriamente anticipato ed effettivamente dovuto è in concreto operato: tal sede è quella dei «successivi versamenti di acconto», non potendo il contribuente autonomamente provvedere al riequilibrio in parola direttamente in sede di versamento degli acconti man mano che i termini per il loro perfezionamento maturano, ma dovendo attendere la determinazione dell’obbligazione tributaria nella sua interezza e definitività, non nella sua parzialità e provvisorietà;
-) ne discende che come per determinare l’insorgenza dell’obbligo del versamento del conguaglio è necessario attendere l’anno successivo (stante la misura annuale del periodo d’imposta), analogamente per
determinare l’insorgenza del diritto alla compensazione (termine obiettivamente più tecnico della detrazione cui rimanda l’utilizzo invero improprio da parte del legislatore con il termine «detratti») è altrettanto necessario attendere l’anno successivo (Cass., 15 ottobre 2019, n. 26008, in motivazione).
4.5 In linea con quanto sopra evidenziato, è stato, altresì, affermato che « In tema di accise sui prodotti energetici, nel corso del rapporto: a) il credito maturato per eccedenza dei versamenti non incorre in alcuna decadenza ove regolarmente riportato nelle successive dichiarazioni; b) è preclusa, fino alla chiusura del rapporto medesimo, la possibilità di ottenere il rimborso del credito stesso, sicché non può essere accolta la richiesta anticipata di rimborso; c) è consentito, senza che sia rilevabile o eccepibile alcuna decadenza, il trasferimento contabile del credito ad altra posizione gestita dal medesimo contribuente. Allorché il rapporto sia definito, il credito maturato per eccedenza dei versamenti compiuti integra un indebito oggettivo, rispetto al quale la parte può chiedere il rimborso (o il trasferimento contabile del credito) con istanza da presentare entro il termine biennale di decadenza decorrente dall’ultima (e definitiva) dichiarazione di consumo » (Cass., 18 giugno 2020, n. 11813; Cass., 3 marzo 2020, n. 5808).
4.6 Nelle due ultime pronunce richiamate (la n. 11813 del 2020 e la n. 5808 del 2020) questa Corte ha descritto specificamente il meccanismo previsto dall’art. 26, comma 13, del decreto legislativo n. 504 del 1995 ( l’imposta è versata in acconti mensili parametrati in base al consumo dell’anno precedente; con la dichiarazione annuale viene determinato, a consuntivo, il consumo effettivo dell’intera annualità e si procede a conguaglio tra quanto versato e quanto effettivamente dovuto; in caso di pagamenti in misura inferiore, occorre procedere al pagamento della maggiore somma; in caso di pagamenti in misura superiore, sorge un credito; questo credito può essere detratto dal versamento o dai
versamenti successivi ) e ha svolto una considerazione aggiuntiva con specifico riferimento all’ipotesi (che rileva in questa sede) in cui la società contribuente anziché chiedere il rimborso abbia formulato istanza per il trasferimento contabile del credito ad altra posizione dalla medesima contestualmente gestita in forza dell’art. 26 o, quanto all’energia elettrica, degli artt. 55-56, del decreto legislativo n. 504 del 1995, affermando che: « L’art. 6, comma 3, d.m. n. 689 del 12/12/1996, infatti, contempla l’ipotesi del “rimborso per accredito” (in corrispondenza a 4 quanto previsto dall’art. 14, comma 4, TUA), con possibilità per l’operatore di trasferire il credito ad altro impianto presso cui opera. È il caso, di maggiore frequenza, in cui il medesimo operatore svolga la sua attività in diverse province, per cui, a fronte dell’unicità del soggetto d’imposta, sorgono, per le modalità di gestione, separate posizioni contabili (debitorie/creditorie) per le singole ripartizioni territoriali. Orbene, si deve ritenere che il trasferimento contabile del credito non sia impedita dall’esser il rapporto ancora in corso poiché realizza una modalità solo integrativa (quale forma autorizzata di “compensazione esterna” ma pur sempre in una prospettiva di “riporto” dell’eccedenza) del meccanismo operativo previsto dall’art. 26 cit., che non solo non altera la struttura del procedimento ma, anzi, ne determina la razionalizzazione e la sua riconduzione ai parametri previsti dal legislatore. Ne deriva che la richiesta di trasferimento contabile del credito assume lo stesso rilievo, e resta soggetta alle medesime condizioni e disciplina, del riporto dell’eccedenza alla dichiarazione successiva » .
4.7 Ciò posto, nella vicenda in esame, è incontroverso che la società ricorrente, prima della presentazione della dichiarazione di consumo per l’anno 2011 e, dunque, prima che risultasse formalmente il proprio credito di imposta, ha comunicato all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che non avrebbe effettuato il versamento RAGIONE_SOCIALE rate di acconto dovute per i mesi di gennaio e febbraio 2012, non corrispondendo dunque, le rate dovute
(che, per quanto detto, dovevano essere comunque versate, salvo, poi, chiedere il rimborso in sede di dichiarazione nel corso del 2012). Peraltro, come emerge, a pag. 1 della sentenza impugnata, con il provvedimento di erogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni impugnato era stato accertato l’omesso versamento del conguaglio accisa a debito risultante dalla dichiarazione di consumo relativa all’anno 2011 e RAGIONE_SOCIALE rate di acconto dell’accisa relativa ai mesi di marzo 2011, oltre che dei mesi di gennaio e febbraio 2012. La Commissione tributaria regionale non ha fatto corretta applicazione dei principi suesposti, laddove ha ritenuto, erroneamente, che la comunicazione effettuata dalla società contribuente, con lettera del 26 gennaio 2012, di interruzione dei pagamenti RAGIONE_SOCIALE rate in acconto relative ai mesi di gennaio e febbraio 2012 aveva valore di comunicazione dell’avvio del procedimento di trasferimento da una provincia all’altra e di comunicazione della volontà di non proseguire nei versamenti di acconto che per effetto del trasferimento sarebbero risultati non dovuti e che, dunque, la fattispecie in esame non era riconducibile all’ipotesi di mera sospensione dei pagamenti di accisa dovuti mensilmente e determinati in via provvisoria sulla base dei versamenti dovuti nell’anno precedente (pagine 3 e 4 della sentenza impugnata); la sentenza impugnata è pure errata nella parte in cui afferma la sussistenza di un obbligo in capo all’Ufficio di comunicare alla società contribuente l’intenzione di irrogare la sanzione per il mancato versamento degli acconti dell’imposta ove la società RAGIONE_SOCIALE avesse operato nel modo preannunciato con la richiamata nota del 26 gennaio 2012, piuttosto che attendere immotivamente la mora della società contribuente e poi irrogare la sanzione per cui era causa (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), avendo questa Corte affermato che « L’istituto del silenzioassenso può essere applicato solo in caso di espressa previsione di legge, trattandosi di procedimento di natura eccezionale (Cass., Sez. V, 9 marzo 2004, n. 4764), in quanto volto a dare una qualificazione
giuridica espressa al comportamento omissivo dell’amministrazione; tale disposizione manca in materia di versamento RAGIONE_SOCIALE rate di acconto mensili RAGIONE_SOCIALE accise, che, al contrario, riserva a un provvedimento espresso dell’Ufficio la «facoltà» di prescrivere, in deroga alla regola RAGIONE_SOCIALE (secondo cui le rate di acconto mensili sono calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente), una diversa rateizzazione, non costituendo in capo all’amministrazione alcun obbligo di procedere in tal senso e, in ogni caso, non potendosi qualificare in termini di accoglimento il comportamento omissivo tenuto dall’amministrazione » (Cass., 29 ottobre 2019, n. 27672, in motivazione).
5. Il secondo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 5 bis, del decreto legislativo n. 472 del 1997 e dell’art. 13, comma primo, del decreto legislativo n. 471 del 1997 e omessa motivazione in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.. Il Collegio giudicante era incorso nella violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 5 bis del decreto legislativo n. 472 del 1997, laddove aveva ritenuto, nella specie, insussistente un danno per l’Erario quale conseguenza della condotta imputabile alla società RAGIONE_SOCIALE Era incontroverso che la società contribuente aveva omesso alle scadenze previste dalla legge il conguaglio d’accisa a debito risultante dalla dichiarazione di consumo relativa all’anno 2010, nonché RAGIONE_SOCIALE rate di acconto relative ai mesi di marzo 2011, gennaio 2012 e febbraio 2012. Inoltre, l’art. 13, comma primo, del decreto legislativo n 471/1997 prevedeva che, solo in caso di omesso versamento del conguaglio o del saldo d’imposta, dovevano essere detratti «.. l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati », mentre nessuna deroga era contemplata per il caso contrario, quando gli acconti non versati alle rispettive scadenze risultavano a posteriori assorbiti dal conguaglio a credito d’imposta, rimanendo la sanzione, comunque, applicabile. Inoltre, i giudici di secondo grado avevano giustificato il mancato versamento RAGIONE_SOCIALE rate
di acconto relative ai mesi di gennaio e febbraio 2012 sulla base della comunicazione inviata dalla società RAGIONE_SOCIALE in data 26 gennaio 2012, senza tuttavia prendere posizione sugli altri rilievi formulati con l’atto di irrogazione di sanzione per cui era causa (omesso versamento del conguaglio a debito 2010 e della rata di marzo 2011, entrambi in scadenza il 31 marzo 2011). L’atto sanzionatorio, dunque, era stato considerato illegittimo nella sua interezza, nonostante il Collegio giudicante avesse fornito un’enunciazione solo parziale RAGIONE_SOCIALE ragioni a sostegno di una simile conclusione, emettendo una decisione viziata per difetto di motivazione.
5.1 Il secondo motivo è pure fondato, posto che l’irrogazione della sanzione di cui all’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 è conseguente alla mera omissione del versamento dell’importo dovuto in acconto alle scadenze previste (Cass., 17 aprile 2019, n. 10708; Cass., 21 luglio 2017, n. 18080); in particolare, il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste determina il ritardato incasso erariale, con conseguente deficit di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale, per cui è sanzionabile ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 (Cass., 20 novembre 2015, n. 23755; Cass., 5 agosto 2016, n. 16504; Cass., 22 febbraio 2017, n. 4555).
Il terzo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. La Commissione tributaria regionale aveva contestato all’Ufficio la violazione degli obblighi di partecipazione e di informazione previsti dall’art. 6, comma 2, della legge n. 212 del 2000, senza che la società contribuente avesse mai sollevato alcuna eccezione in tal senso. La sentenza impugnata, pertanto, era viziata anche per extrapetizione, ai sensi dell’articolo 112 cod. proc. civ., essendosi i giudici di secondo grado pronunziati oltre i limiti della domanda proposta dalla società contribuente, che, infatti, con il ricorso
introduttivo si era limitata ad invocare genericamente l’applicazione della esimente prevista dall’art. 10, comma 2, della legge n. 212 del 2000; l’Ufficio, nei propri scritti difensivi aveva, invece, dimostrato come il comportamento della società contribuente non poteva in alcun modo considerarsi affatto rispettoso RAGIONE_SOCIALE istruzioni di prassi fornite in materia (Circolare n. 34/D dell’1 luglio 2004). La mancanza di buona fede in capo alla società RAGIONE_SOCIALE trovava conferma nel fatto che la stessa, pur avendo la possibilità di far emergere il proprio credito anche prima del 9 marzo 2012 (le Istruzioni per la presentazione della dichiarazione di consumo del gas naturale per l’anno 2011, infatti, prevedevano che tale dichiarazione potesse essere presentata anche nel mese di gennaio 2012, in modo tale che le dodici rate da versare nell’anno 2012 assumessero tutte il valore costante della rata base), non si era avvalsa di tale facoltà.
6.1 Anche il terzo motivo è fondato, avendo i giudici di appello ritenuto sussistente la violazione degli obblighi di partecipazione e di informazione previsti dall’art. 6, comma 2, della legge n. 212 del 2000, mentre la società contribuente, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, aveva invocato l’applicazione della esimente prevista dall’art. 10, comma 2, della legge n. 212 del 2000.
6.2 In proposito, deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo cui « il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti RAGIONE_SOCIALE pretese e RAGIONE_SOCIALE eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli è libero non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò
attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge » (Cass., 5 agosto 2019, n. 20932).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. In questa sede, peraltro, la vertenza può essere decisa anche nel merito, ex art. 384 cod. proc. civ., non essendo necessari altri accertamenti in fatto, rigettando il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
7.1 Le spese di lite dei giudizi di merito, tenuto conto della natura della questione trattata, vanno interamente compensate fra le parti, mentre la società controricorrente va condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, sostenute dall’RAGIONE_SOCIALE ricorrente e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Compensa le spese dei giudizi di merito.
Condanna la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE ricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, in data 5 dicembre 2023.