Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14821 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 14821 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 02/06/2025
Successione Donazioni Tributi
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2414/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), nella qualità di eredi di COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE; EMAIL e dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; EMAIL);
-ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate (06363391001), in persona del suo Direttore p.t. , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (P_IVA), presso i cui uffici, in Roma, INDIRIZZO ope legis domicilia (EMAIL;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2595/2022, depositata il 17 giugno 2022, della Commissione tributaria regionale della Lombardia; Udita la relazione svolta, nella pubblica udienza del 9 aprile 2025, dal Consigliere dott. NOME COGNOME uditi l’avvocato NOME COGNOME per parti ricorrenti, e l’avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’ Agenzia delle Entrate; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore che la Corte di generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo Cassazione rigetti il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. -Con sentenza n. 2595/2022, depositata il 17 giugno 2022, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione emesso dall’ Agenzia delle Entrate in relazione all’imposta di successione dovuta per la (maggiore) consistenza dell’asse ereditario rispetto a quello dichiarato dalla contribuente con la dichiarazione di successione in morte del coniuge COGNOME NOME così ripresi a tassazione gli importi di conti esteri oggetto della richiesta (di cd. collaborazione volontaria) formulata dalla stessa contribuente (ai sensi dell’art. 5 -quater , d.l. 28 giugno 1990, n. 167, conv. in l. 4 agosto 1990, n. 227, introdotto dalla l. 15 dicembre 2014, n. 186, art. 1, comma 1).
1.1 -A fondamento del decisum , il giudice del gravame ha rilevato che:
-non sussisteva il denunciato difetto di motivazione dell’atto impositivo che recava l’indicazione dei relativi presupposti «e dei criteri di calcolo per il recupero della maggiore imposta»; né poteva ritenersi irragionevole l’imputazione del tributo alla appellante che, quale unica erede del de cuius , risultava destinataria della «liquidità presente sui conti esteri, uno cointestato all’odierna appellante e al marito successivamente defunto, l’altro in via esclusiva a quest’ultimo », atteso che dovevano ritenersi irrilevanti, ai fini della liquidazione dell’imposta di successione, gli accordi sulla cui base dette liquidità erano state successivamente divise con i figli della contribuente che, peraltro, avevano prestato «acquiescenza … rispetto al testamento olografo nullo, … rinunciato alle loro pretese ereditarie anche sulle somme estere.»;
andava, altresì, esclusa la (pur) eccepita decadenza -così come già rilevato dal primo giudice -in quanto solo a seguito della richiesta di accesso alla collaborazione volontaria, formulata in data 21 ottobre 2015, l’amministrazione aveva conseguito contezza « degli ulteriori beni caduti nell’asse ereditario … non avendo altrimenti potuto individuare tali asset con gli ordinari strumenti di controllo.»; e detta richiesta di accesso della contribuente -che non poteva considerarsi alla stregua di una dichiarazione successoria, in difetto, peraltro, dei relativi requisiti formali – aveva integrato «un fatto sopravvenuto che ai sensi dell’art. 28 d.lgs. 346/90 ha comportato l’obbligo in capo alla contribuente di presentare una dichiarazione di successione integrativa.», così che risultava rispettato il termine di decadenza (quinquennale) previsto dal d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 27, comma 4;
non ricorreva, nella fattispecie, «alcuna obiettiva situazione di incertezza interpretativa né esistono indirizzi espressi dall’Amministrazione finanziaria attraverso circolari e risoluzioni nel
senso sostenuto dall’appellante. »; andava peraltro rimarcato, in relazione alla disposizione statutaria evocata (l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10), che il principio di buona fede opera, «nei rapporti tra Fisco e contribuente … in senso bidirezionale e non come norma che grava solo sull’Ufficio. », così che non poteva dirsi «improntato a buona fede il comportamento della contribuente che omette di dichiarare la liquidità allocata in Svizzera al momento della presentazione della dichiarazione di successione il 17.6.2011, persevera nell’omissione anche in sede di denuncia integrativa il 26.3.2013 e infine aderisce alla voluntary disclosure cinque anni dopo l’apertura della successione, invocando la decadenza dell’Ufficio dal potere accertativo su asset pacificamente caduti nell’asse ereditario. ».
– COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME, ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi, ed hanno depositato memoria.
L’ Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., i ricorrenti denunciano violazione del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 27, comma 3, assumendo, in sintesi, che -potendosi prospettare le sopravvenienze ereditarie, di cui al d.lgs. n. 346 del 1990, art. 28, comma 6, secondo gli stessi dicta della giurisprudenza di legittimità, solo nel caso di acquisto jure haereditario di beni e diritti che, al momento dell’apertura della successione, non facevano parte dell’asse ereditario, ma che vi entrano successivamente in virtù di un titolo riferibile al defunto, mentre non vi rientrano i beni inclusi “ab origine” nell’eredità e la cui esistenza, ignota all’erede al momento di apertura della successione, venga da questi conosciuta solo successivamente -nella fattispecie -e per come contestato nello stesso atto impositivo che recava l’applicazione della
sanzione infedele -l’esercizio del potere impositivo rimaneva sottoposto al règime della rettifica di dichiarazione infedele (art. 27, comma 3, cit.), con conseguente applicazione del termine di decadenza biennale (ivi) previsto.
Né a diverse conclusioni poteva pervenirsi quanto alla procedura di cd. collaborazione volontaria avviata dalla contribuente con riferimento all’omessa dichiarazione di disponibilità estere ( d.l. 28 giugno 1990, n. 167, cit., artt. 4 e 5quater ) venendo (così) in considerazione «entità patrimoniali già conosciute agli eredi e non esposte nella dichiarazione di successione tempestivamente presentata non configurano una ‘sopravvenienza ereditaria’, né una dichiarazione ‘omessa’, bensì una dichiarazione di successione ‘infedele’ ».
2. -Questo motivo è destituito di fondamento.
2.1 -La Corte, difatti, ha già avuto modo di pronunciarsi sulla questione di fondo (ora) di nuovo sottoposta al suo esame, condivisibilmente rilevando che, nella fattispecie data, alla nozione di «evento … che dà luogo … ad applicazione dell’imposta in misura superiore» (d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 28, comma 6) deve ricondursi l’istanza di accesso del contribuente alla procedura di collaborazione volontaria prevista dal d.l. n. 167 del 1990, art. 5quater , cit. ; e che, pertanto, all’inosservanza dell’obbligo dichiarativo si correla il termine di decadenza (quinquennale) previsto per l’accertamento di ufficio per la liquidazione della maggiore imposta (d.lgs., cit., art. 27, comma 4).
Premesso che dall’àmbito di applicazione di detta procedura rimane esclusa l’imposta di successione, si è, per l’appunto, rilevato che costituisce sopravvenienza ereditaria -alla quale si correla l’obbligo di dichiarazione integrativa (art. 28, comma 6, cit.) -la richiesta di accesso alla citata procedura di collaborazione volontaria che abbia ad oggetto beni e diritti «che, ancorché inclusi nella consistenza originaria
dell’asse ereditario per l’attuale appartenenza al de cuius al momento di apertura della successione, siano stati occultati in vita dallo stesso (e, dopo la sua morte, anche dagli eredi) agli occhi dei terzi (ivi compreso il Fisco) attraverso l’escamotage di compiacenti intestazioni (secondo lo schema, ad esempio, della simulazione, dell’interposizione fittizia o reale di persona ovvero del pactum fiduciae ) a prestanomi o fiduciari, per cui l’effettiva e reale appartenenza al defunto (e, quindi, per successione a causa di morte, agli eredi) sia stata riconosciuta o accertata soltanto dopo l’apertura della successione, allorché la consistenza del relictum ereditario sia stata reintegrata con il ripristino della titolarità sui beni e sui diritti celati dal de cuius e restituiti agli eredi.».
E si è, quindi, rimarcato che detta istanza non può essere equiparata « quoad effectum ad una dichiarazione integrativa ai fini dell’inclusione dei capitali detenuti all’estero nell’attivo ereditario (Cass., Sez. 5, 30 giugno 2022, n. 20933)» in quanto «al di là della carenza dei requisiti formali, che ne comporterebbe la nullità equivalente all’omissione (D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 28, commi 3, 6 e 8), si tratta, comunque, di una dichiarazione tipizzata dal legislatore per la specifica realizzazione di una diversa finalità (l’emersione di capitali detenuti all’estero), dovendosi escludere in radice la possibilità di un diverso utilizzo per l’adempimento diretto di obblighi inerenti ad altre imposte, rispetto ai quali essa può valere al più come mero presupposto della loro insorgenza.» (v., sul tutto, Cass., 28 febbraio 2023, n. 6081).
2.2 – Pronuncia, quella sopra ripercorsa, che si è fatta carico (anche) del precedente di legittimità in ricorso evocato (Cass., 30 giugno 2022, n. 20933), segnalandone la non concludenza ai fini della ricostruita fattispecie decadenziale in quanto, nel caso esaminato dalla Corte, veniva in specifico rilievo la causa petendi dell’atto impositivo –
e, dunque, il suo correlarsi alla rettifica di una (preesistente) dichiarazione integrativa presentata dal contribuente -con conseguente preclusione all’esercizio del potere impositivo sulla base di ragioni diverse e di una diversa motivazione dell’atto.
Evenienza, quest’ultima, che non emerge né dalla ricostruzione operata dalla gravata sentenza, in punto di ricostruzione dei presupposti di esercizio del potere impositivo (l’infedeltà dichiarativa risultando specificamente correlata all’originaria dichiarazione di successione), né dalle stesse, per vero aspecifiche, prospettazioni di parte.
2.3 -In conclusione, deve ritenersi che l’avviso di accertamento in contestazione tempestivamente è stato notificato (in data 15 novembre 2019) a fronte di richiesta di accesso alla procedura di collaborazione volontaria presentata in data 21 ottobre 2015.
-Col secondo motivo, formulato anch’esso ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., i ricorrenti denunciano violazione di legge in relazione al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2, al d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 35, ed alla l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, assumendo che l’atto impositivo non recava giustificazione alcuna delle ragioni per le quali la ripresa a tassazione, ai fini dell’imposta di successione, era stata operata nei soli riguardi dell’erede (coniuge del de cuius ) quando, in sede di richiesta di accesso alla procedura di collaborazione volontaria (art. 5quater , cit.), le disponibilità estere dichiarate erano state riprese a tassazione nei confronti (anche) dei figli del de cuius , secondo la ripartizione prospettata dalle parti.
-Nemmeno questo motivo può trovare accoglimento.
4.1 – Come anticipato, il giudice del gravame ha rilevato che l’atto impositivo recava l’indicazione dei relativi presupposti «e dei criteri di calcolo per il recupero della maggiore imposta»; ed ha soggiunto che
non poteva ritenersi irragionevole l’imputazione del tributo alla appellante che, quale unica erede del de cuius , risultava destinataria della «liquidità presente sui conti esteri, uno cointestato all’odierna appellante e al marito successivamente defunto, l’altro in via esclusiva a quest’ultimo», atteso che dovevano ritenersi irrilevanti, ai fini della liquidazione dell’imposta di successione, gli accordi sulla cui base dette liquidità erano state successivamente divise con i figli della contribuente che, peraltro, avevano prestato «acquiescenza … rispetto al testamento olografo nullo, … rinunciato alle loro pretese ereditarie anche sulle somme estere.».
Sotto questo profilo, poi, la pronuncia impugnata ha condiviso le conclusioni cui era già pervenuto il giudice del primo grado il quale, a sua volta, aveva rilevato che «Come risulta dall’avviso di liquidazione i valori omessi si articolano come segue: conto deposito n. 236-616436 presso banca elvetica UBS sede Lugano € 4.512.370,03, quota ‘A pari a € 2.256.185,02, in quanto la contribuente era cointestataria. -Dunque, è caduta in successione solo la metà della consistenza. Conto deposito n. 236-304128 presso banca UBS sede Chiasso € 40.179,96 Quota 1/1 (quindi € 40.179,96 Tot. € 2.296.364,96). – Partendo da tali elementi certi, l’A F. ha provveduto a liquidare la maggiore imposta relativa all’imponibile occultato e non dichiarato, al netto della franchigia di € 1.000.000,00 e con applicazione dell’aliquota normativamente prevista del 4%.».
4.2 -In disparte, ora, che lo stesso ricorrente non offre alcuna indicazione, foss’anche in termini meramente riassuntivi, dell’effettivo contenuto dell’atto impugnato, – ed articola, pertanto, una censura che si pone in frontale contrasto con gli accertamenti svolti dai giudici del merito, – rimane del tutto evidente che -una volta identificati i fatti generatori del presupposto impositivo ed il relativo oggetto, il soggetto passivo ed il conseguente regime di imposizione -l’atto ben doveva
ritenersi compiutamente motivato (anche nella stessa prospettiva dell’art. 35, cit.) .
Per vero, ciò che costituisce il portato della censura in esame implica l’ascrizione al contenuto dell’atto impositivo di una ragione giustificativa che pianamente eccede l’obbligo di motivazione dell’atto che, – interpretato dalla Corte in termini di modularità in correlazione alle specifiche discipline di ciascun tributo, alla funzione assolta da ciascun atto impositivo e, conclusivamente, alla maggiore o minore articolazione della medesima fattispecie costitutiva del potere (v., ex plurimis , Cass., 17 maggio 2017, n. 12251; Cass., 16 marzo 2015, n. 5190; Cass., 28 novembre 2014, n. 25329; Cass., 20 giugno 2013, n. 15495; Cass., 3 agosto 2012, n. 14027; Cass., 10 giugno 2009, n. 13335; Cass., 7 maggio 2008, n. 11082; Cass., 16 dicembre 2005, n. 27758); Cass., 19 novembre 2019, n. 29988), -quale requisito di validità formale dell’atto stesso, non implica (anche) l’esposizione delle ragioni di qualificazione giuridica della fattispecie impositiva la cui emersione non può che ascriversi all’attività dell’interprete (e, nello specifico, del giudice).
-Con i residui motivi, i ricorrenti denunciano:
-ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione della l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, sull’assunto che doveva ritenersi lesivo del principio di affidamento il diverso orientamento seguito dalla medesima amministrazione che, nella tassazione delle disponibilità estere emerse nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria, aveva recepito le indicazioni della contribuente -che aveva prodotto «tutta la documentazione attestante l’effettiva suddivisione delle attività este re emerse a seguito del decesso del Signor NOME COGNOME, secondo una ricostruzione che era stata condivisa dall’Ufficio -e che (diversamente) dette indicazioni aveva pretermesso in punto di liquidazione della (maggiore)
imposta di successione, ripresa integralmente nei confronti dell’erede del de cuius (terzo motivo);
-ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della gravata sentenza per violazione dell’ art. 112 cod. proc. civ., avendo il giudice del gravame omesso di pronunciarsi sull’eccezione di infondatezza della pretesa impositiva a riguardo dei difformi criteri di tassazione applicati con riferimento alle imposte dirette -ai cui fini si presupponeva la ripartizione (tra il coniuge ed i figli) delle risorse finanziarie detenute all’estero dal de cuius , secondo la prospettazione di parte, -ed all’imposta di successione (quarto motivo).
6. -Il quarto motivo -il cui esame va anteposto per pregiudizialità logico-giuridica -è manifestamente destituito di fondamento.
Difatti, come anticipato, il giudice del gravame ha espressamente dato conto tanto delle ragioni che deponevano per l’identificazione del soggetto passivo del tributo successorio quanto di quelle che -involgendo la condotta dello stesso contribuente, in quanto tale inosservante del (pur) rilevato obbligo dichiarativo, – escludevano la possibilità di prospettare un legittimo affidamento.
6.1 -Del pari destituito di fondamento è, poi, il terzo motivo.
In disparte che il regime legale dell’obbligazione tributaria, ha carattere imperativo, e natura inderogabile, in quanto sottratto alle libere scelte delle parti, è del tutto evidente (anche qui) che -una volta esclusa, come premesso, la riconducibilità dell’imposta di successione alla disciplina che ha ad oggetto la procedura di collaborazione volontaria per l’emersione di disponibilità estere (disciplina che si correla, a sua volta, a specifici obblighi dichiarativi; d.l. 28 giugno 1990, n. 167, cit., art. 4) -alcun affidamento avrebbe potuto riporre la contribuente nei criteri di tassazione utilizzati dall’amministrazione con riferimento alle disponibilità emerse dalla richiesta di accesso alla procedura, per di più in un contesto nel quale alcun dubbio emergeva
quanto all’identificazione del soggetto passivo dell’imposta di successione (soggetto cui rimanevano imputate le stesse dichiarazioni presentate).
Come, poi, rilevato dalla Corte, il legittimo affidamento -che, ad ogni modo, presuppone un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente, e la stessa buona fede di quest’ultimo, cui non sia imputabile la violazione del dovere di correttezza – non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi (Cass., 24 maggio 2022, n. 16691; Cass., 11 luglio 2019, n. 18618; Cass., 18 maggio 2016, n. 10195; Cass., 25 marzo 2015, n. 5934).
– Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte
-rigetta il ricorso;
-condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio che liquida in € 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il proposto ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 aprile 2025.