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Collaborazione volontaria successione: i termini fiscali

Gli eredi di un contribuente hanno contestato un avviso di accertamento per l’imposta di successione su beni esteri emersi tramite la procedura di collaborazione volontaria successione. Sostenevano che il potere di accertamento dell’Agenzia delle Entrate fosse prescritto. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che la richiesta di collaborazione volontaria costituisce un ‘evento sopravvenuto’ che fa decorrere un nuovo termine di decadenza di cinque anni per l’accertamento della maggiore imposta dovuta.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Collaborazione volontaria e successione: la Cassazione sui termini di accertamento

L’emersione di beni esteri attraverso la procedura di collaborazione volontaria successione solleva importanti questioni riguardo ai termini entro cui l’Amministrazione Finanziaria può accertare la maggiore imposta di successione dovuta. Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha chiarito che la richiesta di accesso a tale procedura costituisce un “evento sopravvenuto” che fa scattare un nuovo termine di decadenza di cinque anni, legittimando l’azione del Fisco. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso: Beni Esteri e la Richiesta di Sanatoria

Il caso trae origine dalla dichiarazione di successione presentata dalla vedova di un contribuente. Anni dopo l’apertura della successione, la stessa contribuente decideva di avvalersi della procedura di collaborazione volontaria per regolarizzare l’esistenza di ingenti capitali detenuti su conti correnti svizzeri, riconducibili al marito defunto e non inclusi nella dichiarazione originaria.

Sulla base di queste nuove informazioni, l’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di rettifica e liquidazione per la maggiore imposta di successione dovuta. Gli eredi della contribuente, nel frattempo anch’ella deceduta, impugnavano l’atto, sostenendo che il potere impositivo del Fisco si fosse estinto per decorso dei termini.

La Controversia sulla Decadenza Fiscale nella Collaborazione Volontaria Successione

Il fulcro della difesa dei ricorrenti si basava sulla tesi che la scoperta di beni preesistenti ma non dichiarati dovesse essere qualificata come “dichiarazione infedele”, soggetta a un termine di decadenza biennale, e non come “sopravvenienza ereditaria”. A loro avviso, il termine per l’accertamento era quindi ampiamente scaduto al momento della notifica dell’atto.

Inoltre, lamentavano la violazione del principio di legittimo affidamento, poiché l’Amministrazione, in sede di tassazione delle imposte dirette scaturite dalla voluntary disclosure, aveva considerato una ripartizione dei capitali tra la vedova e i figli, mentre per l’imposta di successione aveva imputato l’intero ammontare alla sola erede principale.

La Collaborazione Volontaria Successione è un Evento che Riapre i Termini

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate e fornendo chiarimenti fondamentali sul rapporto tra collaborazione volontaria e imposta di successione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

I giudici hanno stabilito che l’istanza di accesso alla collaborazione volontaria, per beni occultati e facenti parte dell’asse ereditario fin dall’origine, deve essere qualificata come un «evento che dà luogo ad applicazione dell’imposta in misura superiore», ai sensi dell’art. 28, comma 6, del D.Lgs. 346/1990. Questo evento fa sorgere l’obbligo di presentare una dichiarazione integrativa e, di conseguenza, fa decorrere un nuovo termine di decadenza quinquennale per l’accertamento da parte dell’ufficio.

La Corte ha precisato che la procedura di collaborazione volontaria, pur non essendo formalmente una dichiarazione di successione, agisce come presupposto per l’insorgenza dell’obbligo dichiarativo. L’Amministrazione viene a conoscenza solo in quel momento dell’esistenza di ulteriori beni caduti in successione, potendo quindi esercitare il proprio potere impositivo entro i cinque anni successivi.

Infine, è stato respinto l’argomento basato sul principio di affidamento. La Corte ha sottolineato che il regime dell’imposta di successione è inderogabile e non può essere influenzato dai criteri adottati per la tassazione di altre imposte, come quelle sui redditi. Inoltre, il comportamento omissivo del contribuente, che non ha dichiarato i beni fin dall’inizio, esclude in radice la sussistenza della buona fede necessaria per invocare tale principio.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Eredi

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: chi decide di sanare la posizione di un defunto tramite la collaborazione volontaria deve essere consapevole che tale scelta espone l’eredità a un nuovo accertamento per l’imposta di successione, con un termine di cinque anni che decorre dalla data della richiesta. Gli accordi interni tra eredi sulla divisione dei beni emersi non hanno rilevanza ai fini della determinazione del soggetto passivo dell’imposta, che resta individuato secondo le norme del Codice Civile. Questa decisione rafforza il potere di accertamento del Fisco in presenza di patrimoni esteri occultati e regolarizzati post-mortem.

Quando si presenta una collaborazione volontaria per beni ereditari, quale termine di decadenza si applica per l’imposta di successione?
Si applica il termine di decadenza quinquennale. La Corte di Cassazione ha stabilito che la richiesta di accesso alla collaborazione volontaria costituisce un “evento sopravvenuto” che fa decorrere un nuovo termine di cinque anni per l’accertamento della maggiore imposta di successione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Gli accordi privati tra eredi sulla divisione dei beni emersi con la collaborazione volontaria influenzano l’accertamento dell’imposta di successione?
No. Gli accordi sulla divisione delle liquidità tra gli eredi sono considerati irrilevanti ai fini della liquidazione dell’imposta di successione. L’imputazione del tributo avviene in base alle norme sulla successione e alla qualità di erede, indipendentemente dalle successive pattuizioni private.

Il contribuente può invocare il principio di legittimo affidamento se l’Agenzia delle Entrate adotta criteri diversi tra imposte dirette e imposta di successione?
No. La Corte ha escluso che si possa invocare il principio di legittimo affidamento in questo contesto. Il regime legale dell’imposta di successione è imperativo e distinto da quello delle imposte dirette. Inoltre, l’originario comportamento omissivo del contribuente (mancata dichiarazione dei beni) è considerato contrario alla buona fede e impedisce di invocare la tutela dell’affidamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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