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Collaborazione volontaria: errore del Fisco e sanzioni

La Corte di Cassazione ha stabilito che un contribuente non può essere penalizzato con sanzioni maggiori a causa di un errore commesso dall’Agenzia delle Entrate durante una procedura di collaborazione volontaria. Se l’amministrazione finanziaria calcola erroneamente le imposte dovute (in questo caso, includendo IVA non applicabile), e ciò impedisce al contribuente di perfezionare la procedura, prevale il principio di tutela della buona fede. Di conseguenza, il contribuente ha diritto a beneficiare della massima riduzione sanzionatoria prevista dalla procedura, come se l’errore non fosse mai avvenuto.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Collaborazione Volontaria: l’Errore del Fisco non può Danneggiare il Contribuente

La procedura di collaborazione volontaria è uno strumento cruciale per i contribuenti che intendono regolarizzare la propria posizione fiscale. Ma cosa succede se un errore commesso proprio dall’Agenzia delle Entrate ne compromette il buon esito? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del nostro ordinamento: la tutela dell’affidamento e della buona fede. Un contribuente non può subire le conseguenze negative di un errore dell’amministrazione, vedendosi negare i benefici di una procedura che avrebbe altrimenti concluso con successo.

I Fatti: Una Procedura Interrotta da un Errore di Calcolo

Una società operante nel settore dell’editoria decideva di avvalersi della collaborazione volontaria per sanare alcune omissioni dichiarative relative a IRES e IRAP per le annualità dal 2010 al 2013. A seguito dell’istanza, l’Agenzia delle Entrate emetteva gli inviti a comparire, includendo nel calcolo delle somme da versare non solo IRES e IRAP, ma anche l’IVA.

Tuttavia, la società contestava la richiesta relativa all’IVA, sostenendo, a ragione, di operare in un regime speciale che la escludeva dal campo di applicazione di tale imposta. Di conseguenza, provvedeva a versare unicamente le somme dovute per IRES e IRAP, comprensive delle sanzioni ridotte a 1/6 come previsto dalla procedura.

L’Agenzia delle Entrate, a fronte del pagamento parziale, riteneva non perfezionata la procedura e avviava un successivo accertamento con adesione. Solo in questa seconda fase, l’amministrazione riconosceva il proprio errore sull’IVA ma applicava una riduzione delle sanzioni meno vantaggiosa (pari a 1/3), come previsto dall’accertamento con adesione. La società, pur di chiudere la vicenda, accettava e pagava, per poi chiedere il rimborso della maggiore somma versata a titolo di sanzioni.

La Decisione dei Giudici: Prevale la Buona Fede del Contribuente

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale accoglievano le ragioni della società. L’Agenzia delle Entrate ricorreva quindi in Cassazione, sostenendo che il mancato versamento integrale degli importi richiesti inizialmente comportava, per legge, il fallimento della collaborazione volontaria.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il fulcro della decisione risiede nell’articolo 10 della Legge n. 212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente), che sancisce il principio di collaborazione e buona fede nei rapporti tra Fisco e contribuente.

Le Motivazioni: Il Principio di Collaborazione e l’Errore del Fisco

Secondo la Suprema Corte, l’amministrazione finanziaria ha commesso un “evidente errore” nel liquidare l’IVA non dovuta. Questo errore iniziale è stata la causa diretta del mancato perfezionamento della collaborazione volontaria. Il contribuente, evidenziando tempestivamente l’errore, si era comportato correttamente. È stata l’inerzia dell’Agenzia nel correggere il proprio sbaglio a impedire la conclusione positiva della prima procedura.

La Corte ha sottolineato che il principio di buona fede impone all’amministrazione di agire in modo coerente e non contraddittorio. Penalizzare il contribuente, costringendolo a subire sanzioni più elevate in una procedura successiva (l’accertamento con adesione), a causa di un proprio errore, rappresenta una palese violazione di tale principio. La correzione dell’errore, avvenuta solo in un secondo momento, non sana l’illegittimità del comportamento tenuto inizialmente, che ha di fatto privato il contribuente del beneficio più favorevole cui aveva diritto.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti

Questa ordinanza rafforza la posizione dei contribuenti nei confronti del Fisco. Stabilisce chiaramente che l’amministrazione non può trincerarsi dietro formalismi procedurali quando è essa stessa a causare l’irregolarità con un proprio errore. Il contribuente che agisce in buona fede, segnalando le incongruenze e adempiendo per la parte corretta della pretesa fiscale, deve essere tutelato. La decisione implica che, in casi simili, il contribuente ha pieno diritto a vedersi riconosciuti i benefici della procedura più favorevole, anche se formalmente non conclusa, qualora il fallimento sia imputabile a un errore dell’ente impositore.

Un errore dell’Agenzia delle Entrate può invalidare i benefici di una collaborazione volontaria?
No. Secondo la Cassazione, se l’errore dell’amministrazione finanziaria impedisce il perfezionamento della procedura, il contribuente che ha agito in buona fede non può essere penalizzato e ha diritto a vedersi riconosciuti i benefici massimi previsti, come se l’errore non fosse mai avvenuto.

Cosa significa il principio di “tutela dell’affidamento e della buona fede” in ambito tributario?
Significa che i rapporti tra Fisco e contribuente devono basarsi sulla correttezza e collaborazione reciproca. L’amministrazione finanziaria non può adottare comportamenti contraddittori o danneggiare il cittadino a causa dei propri sbagli, soprattutto quando il contribuente ha fatto legittimo affidamento su atti o comunicazioni dell’amministrazione stessa.

Se un contribuente non paga l’intero importo richiesto dal Fisco nella collaborazione volontaria, perde sempre i benefici?
Non necessariamente. Come dimostra questo caso, se il mancato pagamento integrale è dovuto a un errore di calcolo del Fisco (come l’inclusione di imposte non dovute) e il contribuente ha segnalato l’errore, la procedura non può considerarsi fallita per colpa sua. Di conseguenza, il contribuente conserva il diritto alla riduzione delle sanzioni più favorevole.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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