Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15100 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15100 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/06/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRES 2008.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9597/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in data 28 maggio 2019, e dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Friuli-Venezia Giulia n. 40/01/2016, depositata il 5 febbraio 2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 febbraio 2025 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente, e l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente;
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate Direzione regionale del FriuliVenezia Giulia, in data 3 gennaio 2014, notificava alla società RAGIONE_SOCIALE avviso di accertamento n. TIA030200065/2013, con il quale recuperava a tassazione, per l’anno d’imposta 2008, l’importo di € 280.000,00, con conseguente ridete rminazione dell’imposta IRES per € 77.000,00, ed irrogazione della sanzione di € 78.032,00.
L’avviso in questione veniva emessa all’esito di una verifica fiscale (i cui esiti erano compendiati nel processo verbale di constatazione del 28 ottobre 2013), e relativamente ad una operazione di cartolarizzazione di crediti in base al d.lgs. 30 aprile 1999, n. 130; in particolare, la società RAGIONE_SOCIALE avvalendosi di una società veicolo denominata RAGIONE_SOCIALE, cedeva dei crediti a quest’ultima la quale, a sua volta, per finanziare l’acquisto dei crediti in questione, emetteva titoli obbligazionari. Nello specifico, venivano emessi titoli cc.dd. ‘Senior’ per nominali € 120.000.000,00, e titoli cc.dd. ‘Junior’ per € 13.800.000,00, che svolgevano una funzione di garanzia rispetto ai primi in quanto garantivano un
rimborso postergato al pagamento dei capitali e degli interessi relativi ai titoli ‘Senior’. I titoli ‘Junior’ venivano interamente sottoscritti dalla Ferriere Nord s.p.a., che li iscriveva in bilancio nel c.d. attivo circolante, al costo di acquisto.
Per effetto dell’iscrizione dei titoli in questione nel c.d. attivo circolante, la società contribuente, a chiusura di ciascun esercizio sociale, provvedeva a rilevare nel conto economico la perdita di valore, o il ripristino di valore scaturente dal confronto tra il prezzo di acquisto dei titoli ed il valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato, ai sensi dell’art. 2426 c.c. e del principio contabile O.I.C. n. 20. Per l’anno d’imposta 2008, quindi, veniva dedotto dalla base imponibile l’impor to di € 280.000,00, corrispondente alla perdita di valore subita dai titoli in questione nel corso di quell’anno.
Ad avviso dell’Ufficio, invece, i cc.dd. titoli ‘Junior’ avrebbero dovuto essere allocati in bilancio, al prezzo di costo, tra le immobilizzazioni finanziarie, in considerazione dei vincoli contrattuali esistenti sulla base dell’operazione di cartolarizzazione per i sottoscrittori dei titoli de quibus , e della circostanza che la loro valutazione, secondo il c.d. valore normale, non era stata correttamente effettuata, in quanto fondata su una stima non operata da soggetto terzo ed estraneo al detentore dei titoli in esame. La classificazione dei titoli in questione nelle immobilizzazioni finanziarie avrebbe comportato l’esclusione di ogni oscillazione di valore, con esclusione, quindi, dell’esistenza di componenti negative deducibili.
La società contribuente impugnava il suddetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Trieste la quale, con sentenza n. 66/02/2015, pronunciata il 2
dicembre 2014 e depositata in segreteria il 24 febbraio 2015, lo rigettava, condannando la ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
Interposto gravame dalla RAGIONE_SOCIALE, la Commissione Tributaria Regionale del Friuli-Venezia Giulia, con sentenza n. 40/01/2016, pronunciata l’11 gennaio 2016 e depositata in segreteria il 5 febbraio 2016, rigettava l’appello, condann ando anche in tal caso l’appellante al pagamento delle spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di un sette motivi (ricorso notificato il 1° marzo 2023).
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Con decreto del 20 novembre 2024 è stata fissata per la discussione del ricorso l’udienza pubblica del 6 febbraio 2025.
All’udienza suddetta sono comparsi i procuratori delle parti, che hanno concluso come da verbale in atti.
E’ intervenuto il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a sette motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso la società RAGIONE_SOCIALE eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, comma 1, num. 4), c.p.c., nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 36 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Deduce, in particolare, che la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui aveva respinto il primo motivo di appello, era ‘perplessa’ ed oggettivamente incomprensibile , con specifico riferimento alla questione della differenza tra i presupposti fattuali e le ragioni di diritto su cui si sarebbe pronunciata la Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello, ed i presupposti sui quali si è incentrata l’attività di accertamento dell’Ufficio .
1.2. Con il secondo motivo viene eccepita violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (statuto del contribuente), degli artt. 3, 4 e 5 del D.M. 26 aprile 2001, n. 209, nonché degli artt. 42 e 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva la ricorrente che la C.T.R. avrebbe errato nell’escludere la nullità dell’avviso di accertamento per contrasto con la risposta all’istanza interpello fornita dalla Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate, stante l’effetto vincolante di tale risposta per gli uffici periferici.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente eccepisce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la C.T.R. avrebbe dovuto considerare la circostanza di fatto secondo la quale la Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate , allorquando ha reso la sua risposta alla richiesta di interpello, era pienamente a conoscenza delle caratteristiche dei titoli ‘Junior’, così come emergenti dai ‘prospetti informativi’ e dalle ‘avvertenze collegate
all’emissione dei titoli di cui si discute’ , essendo stata, tali documenti, trasmessi nell’istanza di interpello.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 92, 94 e 101 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi) , nonché dell’art. 6 della l. 30 aprile 1999, n. 300 e degli artt. 39 e 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Evidenzia, in particolare, la ricorrente che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di secondo grado, un soggetto IRES residente nel territorio dello Stato che avesse sottoscritto titoli emessi da una società per la cartolarizzazione ai sensi della legge n. 130/1999 non solo avrebbe potuto legittimamente dedurre dal proprio reddito imponibile la perdita di valore registrata su tali titoli, quand’anche iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie, ma gli sarebbe consentito farlo alle stesse identi che condizioni previste nell’ipotesi in cui tali titoli fosse stati iscritti nell’attivo circolante.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 85 del d.P.R. n. 917/1986, nonché degli artt. 2423, 2423bis , 2424, 2424bis c.c. e 37bis d.PR. n. 600/1973 , in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Osserva, in particola, la società ricorrente, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., l’Agenzia delle Entrate non sarebbe stata legittimata a sindacare la scelta operata in sede di redazione del bilancio da parte degli amministratori, sul presupposto che la classificazione più appropriata dei tioli Junior sarebbe stata tra le immobilizzazioni finanziarie.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso viene eccepita la violazione e falsa applicazione degli artt. 163 d.P.R. n. 917/1986 e 67 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, la ricorrente che erroneamente la C.T.R. aveva escluso la sussistenza di un’ipotesi di doppia imposizione, in quanto il recupero d’imposta per l’anno 2008 aveva comportato la tassazione di una base imponibile già assoggettata a tassazione nei periodi successivi.
1.7. Con il settimo motivo, infine, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia, e per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Rileva, in particolare, che la Corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con cui la RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la disapplicazione delle sanzioni, ai sensi dell’art. 10, comma 2, l. n. 212/2000.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è infondato.
La società ricorrente censura la sentenza impugnata per motivazione asseritamente ‘perplessa’ ed ‘obiettivamente incomprensibile’ (e quindi, sostanzialmente, apparente), con riferimento al primo motivo di appello, con il quale era stata censurata la sentenza di primo grado, per non avere dichiarato nullo l’avviso di accertamento impugnato per contrasto con la risposta ad uno specifico interpello fornita dalla Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate, relativamente al corretto
trattamento ai fini delle imposte dirette dei titoli obbligazionari Junior sottoscritti dalla stessa contribuente.
Ritiene, in pratica, la RAGIONE_SOCIALE che la Corte regionale avrebbe, in un primo momento, dato atto del fatto che ella aveva effettivamente richiesto un chiarimento in ordine al corretto trattamento fiscale delle imposte dirette dei titoli Junior, e che la stessa Direzione Centrale aveva concordato con l’impostazione offerta dal proponente, salvo poi negare l’efficacia vincolante di tale risposta, per la ragione che non sarebbero condivisibili i principi espressi in tale risposta alla luce di elementi fattuali non adeguatamente considerati dalla Direzione Centrale, e quindi facendo applicazione di un principio diverso rispetto a quella da essa stessa individuato come regolatore del caso concreto.
Il motivo è infondato.
Occorre premettere che la società ricorrente, al fine di realizzare un’operazione di finanziamento, con contratto del 28 giugno 2007 aveva assunto l’obbligo di cedere pro-soluto i propri crediti pecuniari alla società RAGIONE_SOCIALE società per la cartolarizzazione dei crediti ai sensi dell’art. 4 l. n. 130/1999, in contropartita di un corrispettivo pari al valore facciale dei crediti di volta in volta ceduti, al netto di un importo a titolo di sconto.
Per finanziare l’acquisto di tali crediti, la RAGIONE_SOCIALE (c.d. RAGIONE_SOCIALE e, o SPV, ovvero ‘società veicolo’) emetteva titoli con le caratteristiche previste dall’art. 5 della citata l. n. 130/1999, appartenenti a due distinte categorie, ‘Senior’ e ‘Junior’.
I titoli ‘Senior’ venivano emessi fino all’ammontare di € 120.000.000,00, produttivi di interessi in misura variabile parametrata all’Euribor, erano sottoscritti interamente da un investitore istituzionale o destinati al collocamento presso terzi al di fuori di mercati regolamentati.
I titoli di classe ‘Junior’, emessi per l’imposto di € 13.800.000,00, non produttivi di interessi e postergati nel rimborso alla soddisfazione integrale dei crediti ‘Senior’ (rispetto ai quali svolgevano una funzione di garanzia), e cedibili solo all’interno del gruppo cui faceva capo RAGIONE_SOCIALE venivano integralmente sottoscritti da quest’ultima società, che li iscriveva in bilancio nel c.d. attivo circolante al costo di acquisto.
Orbene, in data 29 gennaio 2007 la RAGIONE_SOCIALE presentava alla Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate un’istanza di interpello, ai sensi dell’art. 11 della l . n. 212/2000, con la quale richiedeva di confermare la deducibilità dalla base imponibile IRES delle perdite di valore dei titoli ‘Junior’. La Direzione Centrale interpellata, con risoluzione del 29 maggio 2007, ammetteva «la possibilità di individuare il valore minimo da attribuire alle ‘Junior’ Notes ai sensi del combinato disposto degli articoli 92, comma 5, e 94, comma 4, del TUIR, facendo ricorso ad una valutazione eseguita da un soggetto terzo».
Orbene, ciò posto, la C.T.R. ha comunque escluso la deducibilità della perdita di valore dei titoli in questione, avendo ritenuto che non trattavasi di attivo circolante, ma di immobilizzazioni finanziarie.
Sul punto, la ricorrente ritiene che la sentenza impugnata non abbia adeguatamente motivato, in merito alla ritenuta non
vincolatività della risposta all’interpello da parte dell’Agenzia delle Entrate.
In realtà, la sentenza impugnata è più che adeguatamente motivata, avendo chiaramente evidenziato che, ponendo attenzione alla formulazione ed al contenuto del quesito, la fattispecie esaminata dalla Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate era differente rispetto a quella oggetto del giudizio, avendo la contribuente richiesto un chiarimento in ordine al corretto trattamento ai fini delle imposte dirette dei titoli ‘Junior’, «dopo aver però premesso che sarebbe stato suo intendimento iscriverli nell ‘Attivo circolante in quanto avrebbe inteso cederli prima della conclusione del programma di cartolarizzazione in presenza di favorevoli condizioni di mercato o, anche, in funzione di un’eventuale effettuazione di operazioni straordinarie», ed avendo, in o gni caso, l’Amministrazione finanziaria fatta salva la possibilità di valutare la complessiva operazione di cartolarizzazione posta in essere, ai sensi ed agli effetti delle disposizioni antielusive.
La C.T.R., quindi, evidenzia che, pur essendo, in linea generale, i principi esposti nella risposta all’interpello condivisibili, nella fattispecie in esame l’ipotesi era diversa da quella esposta , in quanto i titoli ‘Junior’ i questione «non potevano in alcun modo essere collocati nel circolante poiché erano subordinati ai titoli Senior e non potevano essere ceduti a soggetti terzi estranei, non producevano interessi e potevano essere rimborsati anticipatamente alla scadenza, per un importo pari al 100 % dell’importo del capitale dovuto, previa però soddisfazione integrale degli altri titoli e senza la corresponsione di alcun interesse».
La Corte territoriale, quindi, ha chiaramente giustificato ed esplicato i motivi per i quali ha ritenuto il parere della Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate non vincolante nel caso di specie, avendo accertato, in punto di fatto, che la situazione rappresentata nell’istanza di interpello era ontologicamente diversa da quella rilevata dai verificatori.
2.2. Anche il secondo motivo deve ritenersi infondato.
La ricorrente censura il capo della sentenza già impugnato con il primo motivo, deducendo che la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere la mancanza di corrispondenza tra la situazione rappresentata nell’istanza di interpello e quella rilevata dai ministrati della G.d.F.
Sul punto, va rilevato tuttavia che la Corte regionale ha escluso l’efficacia vincolante della risposta all’interpello, sulla base della accertata differenza tra le circostanze fattuali accertate rispetto a quelle riferite all’Amministrazione in sede di interpello ex art. 11 l. n. 212/2000.
La differenza delle circostanze fattuali evidenziate rappresenta una valutazione di fatto, insindacabile in questa sede; tali differenze fattuali, inoltre, escludono la vincolatività della risposta all’interpello: l’art. 11, comma 1, lett. a ), l. n. 212/2000, invero, prevede che la risposta all’interpello sull’applicabilità di determinate disposizioni sia vincolante per l’Amministrazione che l’ha fornita «qualora vi sia obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse», ragio n per cui l’affidamento di cui alla norma in questione deriva soltanto dall’interpretazione che l’Amministrazione abbia dato di disposizioni normative, e non può essere invocato se l’incertezza verte su circostanze fattuali
(Cass. 9 settembre 2022, n. 26604; Cass. 22 settembre 2021, n. 25621; Cass. 6 ottobre 2020, n. 21376).
In ogni caso, la C.T.R. ha evidenziato che la stessa Amministrazione aveva fatta salva la possibilità di valutare la complessiva operazione di cartolarizzazione posta in essere ai sensi ed agli effetti delle disposizioni antielusive, e che quindi il parere non sarebbe stato vincolante, se la situazione fattuale fosse stata differente, così come effettivamente accertata dalla Corte di merito.
2.3. Il terzo motivo è invece inammissibile.
La società ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso di considerare la circostanza di fatto che la Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate, allorché ha reso la sua risposta alla richiesta di interpello, era pienamente a conoscenza delle caratteristiche dei titoli ‘Junior’, così come emergenti dai prospetti informativi e dalle avvertenze collegate all’amissione dei titoli di cui si discute, trattandosi di documenti trasmessi nell’àmbito della procedura di interpello.
Sul punto, va tuttavia rilevato che la ricorrente censura, nella sostanza, una errata valutazione di elementi probatori, con riferimento alla consistenza della documentazione allegata alla domanda di interpello, ed alla valutazione che ne è stata fatta dall’Agenzia delle Entrate . Non si verte, pertanto, in tema di omesso esame di uno specifico ‘fatto storico’ , rilevante ex art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c., ma in una contestazione circa la valutazione di fatto delle prove acquisite al giudizio.
In ogni caso, quand’anche si volesse configuarare tale vizio come rientrante nell’ipotesi di cui all’art. 360, comma 1, num. 5), cit., in ogni caso il motivo sarebbe inammissibile, essendosi
in presenza di una c.d. ‘doppia conforme’ , avendo la sentenza d’appello confermato la sentenza di primo grado, secondo quanto previsto dall’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., nel testo vigente ratione temporis (norma ora abrogata, ma ripresa dall’art. 360, comma 4, c.p.c.).
2.4. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono infondati.
La ricorrente censura la sentenza impugnata, per avere la C.T.R. ritenuto corretto l’inserimento dei titoli ‘Junior’ in contestazione tra le immobilizzazioni finanziarie, piuttosto che nell’attivo circolante, con conseguente indeducibilità della loro perdita di valore dal reddito imponibile ai fini IRES.
Orbene, va innanzitutto rilevato che, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, la classificazione dei titoli nel c.d. attivo circolante piuttosto che nelle cc.dd. immobilizzazione finanziarie comporta differenti fiscali: nel primo caso, infatti (attivo circolante), i titoli sono soggetti ad un’operazione di valutazione a chiusura di ciascun esercizio sociale in base all’andamento del mercato, con emersione di una componente positiva di reddito (in caso di rivalutazione dei titoli), ovvero di un onere deducibile (in caso di svalutazione degli stessi; nel secondo caso (immobilizzazione finanziarie) nel bilancio non viene rilevata alcuna oscillazione dei titoli, e pertanto non si realizza alcuna plusvalenza ovvero minusvalenza deducibile. Il valore dei titoli ‘immobilizzati’, infatti, può subire modifiche, ai fini civilistici, solo in caso di perdite durevoli di valore, ex art. 2426, comma 1, num. 3), c.c.
Nella fattispecie in esame, i titoli in questione, per le loro caratteristiche, avrebbero dovuto certamente essere inseriti nelle immobilizzazioni finanziarie.
In base al principio contabile OIC n. 20, infatti, la qualificazione di un titolo come appartenente all’attivo circolante o alle immobilizzazioni finanziarie si deve fondare sulla loro destinazione. La scelta in esame, pertanto, deve essere basata su ragionevoli e fondate previsioni, relativamente alla possibilità di negoziare o riscuotere i titoli entro breve tempo. Inoltre, per poter qualificare l’attività finanziaria come componente dell’attivo circolante, deve sussistere in capo alla società la facoltà di alienare l’investimento , cogliendo le opportunità di mercato o di smobilizzo per fronteggiare altre esigenze aziendali.
Nel caso di specie, i titoli ‘Junior’ erano subordinati ai titoli ‘Senior’, e nessun pagamento poteva essere effettuato ai portatori degli stessi, se non previo pagamento del capitale e degli interessi in relazione ad ogni serie dei titoli ‘Senior’; le obbligazioni ‘Junior’ erano infruttifere, e il portatore avrbe potuto alienarli soltanto alla RAGIONE_SOCIALE ovvero alla società che controlla la stessa RAGIONE_SOCIALE
Stante i vincoli di alienabilità, i titoli in questione non erano quindi prontamente liquidabili, e quindi, evidentemente, essi erano destinati a realizzare un investimento stabile e durevole che ne implicava l’allocazione tra le cc.dd. immobilizzazioni finanziarie, con conseguente impossibilità di procedere ad una loro svalutazione, se non in presenza dei presupposti previsti dall’art. 2426, comma 1, num. 3), c.c. (presupposti che, nel caso di specie, non sono mai stati invocati).
Va rilevato, peraltro, che le scelte operate dai redattori del bilancio sono sempre sindacabili in sede contenziosa, salvo che non siano riconducibili all’àmbito proprio delle scelte insindacabili di gestione: infatti, come già affermato da questa Corte, «il bilancio di esercizio, avendo la funzione non solo di misurare gli utili e le perdite dell’impresa, ma anche di fornire ai soci e al mercato tutte le informazioni richieste dall’art. 2423 c.c., deve essere redatto nel rispetto dei principi di verità, correttezza e chiarezza e delle regole di redazione poste dal legislatore, che, pur essendo tratte dai principi contabili ed avendo un contenuto di discrezionalità tecnica, sono norme giuridiche cogenti, alla cui violazione consegue l’illiceità del bilancio e la nullità della deliberazione assembleare con cui è stato approvato, poiché le scelte operate dai redattori, nel fornire la rappresentazione contabile dell’elemento considerato, sono sempre sindacabili, salvo che non siano riconducibili all’ambito proprio delle scelte insindacabili di gestione» (Cass. 15 marzo 2023, n. 7433). D’altronde, è pacifico che , in caso di dichiarazione dei redditi di una società, l’Amministrazione finanziaria possa sempre sindacare la deducibilità dei relativi costi, ove dimostri che sia stato iscritto a bilancio non il valore reale del bene, materiale o immateriale, bensì quello che risulta dalla violazione del principio fissato dall’art. 2423, comma 2, c.c., in forza del quale l’imprenditore non può inserire poste inesistenti o sopravvalutate (Cass. 13 luglio 2020, n. 14872).
2.5. Il sesto motivo è anch’esso infondato.
La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso la violazione, nel caso di specie, del divieto di doppia imposizione.
L’Ufficio, tuttavia, ha recuperato a tassazione un importo pari alla svalutazione dichiarata dei titoli per l’anno d’imposta in oggetto, ragion per cui non è ravvisabile alcuna doppia imposizione dello stesso presupposto.
2.6. Anche il settimo motivo, infine, è infondato.
La mera mancanza formale di una determinata statuizione all’interno del provvedimento, come più volte affermato da questa Corte, non vale ad integrare un ‘omissione di pronuncia su una determinata domanda o eccezione, realizzandosi un rigetto implicito quando nel provvedimento viene accolta una tesi dcisoria incompatibile con la domanda (o con l’eccezione) non oggetto di espressa pronuncia, purché si tratti di domande o eccezioni tra loro pregiudiziali o radicalmente incompatibili (tra le altre Cass. 1° dicembre 2022, n. 35382; Cass. 18 agosto 2021, n. 23088; Cass. 5 febbraio 2021, n. 2830).
Analoghi principi valgono in caso di omessa pronuncia su un motivo di appello, in quanto il motivo di gravame costituisce la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello (Cass. 24 settembre 2024, n. 25564; Cass. 8 novembre 2023, n. 31136; Cass. 16 gennaio 2023, n. 1118).
Orbene, avendo la Corte territoriale ritenuto integralmente legittimo l’avviso di accertamento, confermando la sentenza di primo grado, deve ritenersi che essa abbia implicitamente rigettato anche il motivo riguardante la richiesta di disapplicazione delle sanzioni, ai sensi dell’art. 10, comma 2, l. n. 212/2000.
3. Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la ricorrente tenuta al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 7.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare la ricorrente tenuta al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2025.