Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 693 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 693 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15691/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE, giusta procura speciale a margine del ricorso
-ricorrenti- contro
COMUNE DI PESCHIERA COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso ed in virtù di delibera della Giunta
Comunale di autorizzazione a stare in giudizio n. 164 del 18.07.2022
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 4499/2021 depositata il 17/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.I contribuenti indicati in epigrafe impugnavano, ciascuno con distinto ricorso, gli avvisi accertamento IMU per l’annualità di imposta 2014 , concernenti il fabbricato accatastato in categoria D/10 (mappale 11, sub 701, fl. 51), assumendo l’irrilevanza della esistenza della convenzione del Piano di recupero edilizio avente ad oggetto gli immobili di loro proprietà, ancora destinati ad attività agricola (cfr. pag. 3 della sentenza della CTR impugnata) e sostenendo di aver indicato nella denuncia di accatastamento presentata all’Agenzia del Territorio il 30.12.2008 che nella rendita catastale era ricompresa anche l’area pertinenziale; chiedevano, pertanto, l’annullamento nella parte in cui il Comune aveva assoggettato all’imposta comunale il fabbricato accatastato in cat. D/10 e l’area di mq. 6.250 definita pertinenziale al cespite rurale.
I giudici di prossimità, riuniti i ricorsi dei contribuenti, li respingevano.
Sull’appello di NOME e NOME COGNOME e di NOME COGNOME la CTR della Lombardia, nel confermare la decisione di prime cure, respingeva l’impugnazione, affermando che: ; affermazione, questa, a dire del giudice d’appello non supportata da adeguato riscontro probatorio, posto che dall’autorizzazione dirigenziale al completamento del piano di recupero risultava, in relazione al mappale in contestazione, non solo la realizzazione della nuova palazzina e dei posti auto, ma anche la manutenzione del fabbricato storico (questo non demolito) destinato ad abitazione dei nuclei familiari dei proprietari: .
I contribuenti ricorrono per la cassazione della sentenza n. 4499/2021 sulla base di due motivi.
Replica con controricorso l’amministrazione comunale di Peschiera Borromeo.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura denuncia violazione ; per avere i giudici regionali escluso la rilevanza dell’accatastamento in categoria D/10 del fabbricato rurale e dell’area denunciata come ad essa pertinenziale pari a m. 6.250 – già ricompresa nella determinazione della rendita catastale attribuita dall’Ufficio quale area pertinenziale a fabbricato rurale – pur avendo il Comune omesso di impugnare la categoria catastale attribuita dall’Agenzia delle Entrate.
2..Con il secondo motivo di ricorso per cassazione si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3), c.p.c.; per avere il
Collegio d’appello ignorato la documentazione prodotta dai ricorrenti quale la denuncia di accatastamento contente la dichiarazione di pertinenzialità dell’area indicata, la cui rendita catastale è stata valutata in quella del fabbricato rurale dalla stessa Agenzia ( pagina 16 del ricorso per cassazione), l’iscrizione all’Inps dei soci quali coltivatori diretti, la visura camerale della società esercente attività agricola, il modello unico dell’ente, la qualifica di coltivatori diretto, nonché il fascicolo aziendale della società (allegati nn. 2, 4, 5 e 6 del ricorso introduttivo).
Si aggiunge (a pagina 22 del ricorso per cassazione) che i documenti prodotti dal Comune non concernono i fabbricati rurali indicati negli avvisi di accertamento opposti, bensì una diversa area assoggettabile ad IMU e precisamente la vecchia stalla di mq 2038 attinta dal Piano di recupero su cui è stata edificata la palazzina assoggettata ad imposta, affermando che dalla documentazione prodotta risulta l’abbandono della sol a attività lattifera e la conseguente disponibilità delle strutture correlate ad essa.
In via preliminare, i contribuenti hanno dedotto la decisione della CTP n. 2666/2018 passata in giudicato che ha accolto il ricorso -per altra annualità proposto dai predetti.
Si osserva, in via preliminare, che l’accertamento in merito alla ruralità del fabbricato ed alla pertinenzialità di parte dell’area circostante non può essere esteso ad altre annualità, tenuto conto che tale valutazione si fonda sull’interpretazione della normativa di settore e sulla valutazione della documentazione prodotta dal Comune. D’altro canto, l’interpretazione delle norme giuridiche compiuta dal giudice non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro giudice, la quale, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può incontrare vincoli, non trovando riconoscimento,
nell’ordinamento processuale italiano, il principio dello stare decisis (Cass. n. 211/2024; Cass, n. 5822 del 05/03/2024).
5.La prima censura, calibrata, a differenza di quanto sostenuto in controricorso, sulla deduzione di violazione di legge, è fondata per quanto di ragione, assorbita la seconda, disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune per violazione del disposto di cui all’art. 366, primo comma, nn. 3) e 4) c.p.c., che impone la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse; esigenza che risulta soddisfatta dalla stessa sentenza impugnata che riporta le allegazioni difensive dedotte dall’ente locale.
6. In linea di principio, la rilevanza delle caratteristiche oggettive della ruralità è stata esclusa dalle Sezioni Unite di questa Corte anche alla luce dello ius superveniens, con particolare riguardo all’emanazione di due norme interpretative (entrambe con efficacia retroattiva), vale a dire: A) il comma 3-bis dell’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, come introdotto dall’art. 42-bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, secondo cui: «Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate: a) alla protezione delle piante; b) alla conservazione dei prodotti agricoli; c) alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento; d) all’allevamento e al ricovero degli animali; e) all’agriturismo; f) ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento; g) alle persone addette all’attività di alpeggio in zona di montagna; h) ad uso di
ufficio dell’azienda agricola; i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228; l) all’esercizio dell’attività agricola in maso chiuso»; B) il comma 1-bis dell’art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, secondo cui: «Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni».
Nel prendere in esame, in particolare, quest’ultima disposizione (successiva e presupponente quella introdotta dall’art. 42-bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14), le Sezioni Unite hanno tratto argomento per affermare come la disciplina sopravvenuta, lungi da smentire la necessaria rilevanza, ai fini ICI, della classificazione catastale, l’abbia ulteriormente confortata e resa imprescindibile; al punto che l’obiettivo di sottrarre il fabbricato strumentale all’imposizione di un tributo che trova il suo presupposto proprio nella natura di fabbricato accatastato o accatastabile del cespite (artt. 1 e 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504) è stato perseguito dal legislatore (ex art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14) mediante, non già l’esenzione dalla classificazione in categoria catastale di ruralità, bensì – e più in radice – attraverso l’espunzione di tali unità immobiliari, così accatastate, dalla nozione legislativa medesima di ‘fabbricato’ (Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, n.
18565 -nello stesso senso: Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2018, n.
5769; Cass., Sez. 5^, 20 marzo 2019, n. 7799; Cass., Sez. 5^, 7 agosto 2019, n. 21097; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, nn. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894). Per cui, riaffermando la «decisività della classificazione catastale come elemento determinante per escludere, o affermare, l’assoggettabilità ad ICI di un fabbricato», le Sezioni Unite hanno osservato che la norma da ultimo citata, di natura interpretativa, «sostanzialmente conferma che la ruralità del fabbricato direttamente ed immediatamente rileva ai fini della relativa classificazione catastale, ma ricollega a questa conseguita classificazione l’esclusione del fabbricato (catastalmente riconosciuto come) rurale dalla stessa nozione di fabbricato imponibile ai fini ICI» (Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, n. 18565).
Affermazione, quest’ultima, certamente valida anche nell’interpretazione del comma 3-bis dell’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 134 (Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2019, n. 10283). La stessa conclusione deve essere riaffermata alla luce dell’ulteriore ius superveniens (d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106; d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124), che ha attribuito al contribuente la facoltà di presentazione di domanda autocertificata di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie di ruralità A/6 e D/10, con effetto per il quinquennio antecedente (Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2016, n. 7930; Cass., Sez. 5^, 7 agosto 2019, n. 21094).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di ICI (ma altrettanto vale anche in tema di IMU), ai fini del trattamento
esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale del cespite come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (rispettivamente, A/6 o D/10), con il conseguente onere di impugnazione del diverso classamento da parte di chi richieda il riconoscimento del requisito di ruralità; né può ritenersi sufficiente a determinare la variazione catastale, nei limiti del quinquennio anteriore, la mera autocertificazione secondo le modalità di cui all’art. 7, comma 2-bis, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e delle norme successive, se il relativo procedimento non si sia concluso con la relativa annotazione in atti, atteso che, come sottolineato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 31 maggio 2018, n. 115), il quadro normativo, ivi comprese le disposizioni regolamentari di cui al d.m. 26 luglio 2012, porta ad escludere l’automaticità del riconoscimento della ruralità per effetto della mera autocertificazione (tra le tante: Cass., Sez. 6^-5, 30 giugno 2017, n. 16280; Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2017, n. 26617; Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., Sez. 5^, 19 dicembre 2019, n. 33932; Cass., Sez. 6^-5, 13 ottobre 2020, n. 22124; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9971; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17038; Cass., Sez. 5^, 24 giugno 2021, n. 18266; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894).
L’art. 7, comma 2 -bis, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n106, ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il termine del 30 settembre 2011, poi prorogato al 30 settembre 2012) di presentare all’allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile,
sulla base di un’autocertificazione attestante la presenza nell’immobile dei requisiti di ruralità di cui all’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 133, e modificato dall’art. 42-bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, «in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda». In seguito, l’art. 13, comma 14-bis, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha stabilito che le domande di variazione di cui al predetto d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, producessero «gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo». Ancora, l’art. 1 del d.m. 26 luglio 2012 ha disposto che: «Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133». L’art. 2, comma 5 -ter, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, ha stabilito che: «Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14 bis, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le
domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2-bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda». Si tratta, infatti di disposizioni che disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione da ICI, sulla base di una procedura ad hoc, che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme (Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2020, n. 29864; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894).
Va, dunque, ribadito che, per gli immobili iscritti in catasto, come quello di proprietà dei contribuenti, l’oggettiva classificazione nelle categorie A/6 o D/10 è imprescindibile ai fini del conseguimento del beneficio fiscale , per cui l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in legge 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23 comma 1 bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 (conv. in legge 27 febbraio 2009, n. 14) e dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504; diversamente, per i fabbricati non iscritti in catasto, come statuito dalle S.U. 18565/09, l’applicabilità della summenzionata esenzione fiscale per i fabbricati rurali è subordinata all’accertamento dei requisiti previsti dall’art. 9
del d.l. n. 557 del 1993, conv. in legge n. 133 del 1994 e successive modifiche, accertamento questo che può essere condotto dal giudice tributario, investito della domanda di rimborso proposta dal contribuente, su cui grava l’onere di dare la prova della sussistenza dei predetti requisiti.
7.Ora, nel caso di specie la Commissione tributaria regionale ha ritenuto non esenti dall’imposta comunale gli immobili in oggetto sul presupposto che gli stessi non fossero strumentali all’attività agricola in quanto compresi in un Piano di recupero edilizio e soprattutto in quanto, dalla documentazione prodotta dal Comune, risultava la dismissione dall’attività agricola del fabbricato, nonch é il cambio di destinazione d’uso in quanto fabbricati inseriti nel piano di recupero a destinazione residenziale, ed infine oggetto di demolizione come da autorizzazione dirigenziale del luglio 2011.
Sennonché, la documentazione prodotta dal Comune legittimava l’ente locale ad impugnare l’attribuzione della categoria catastale D/10 al fine di ottenere l’annullamento dell’accatastamento, restando precluso ogni accertamento da parte dell’amministrazione qualora un fabbricato sia stato catastalmente classificato come rurale che non sia connesso ad una specifica impugnazione della classificazione catastale riconosciuta.
8. La censura, dunque, merita accoglimento, assorbita la seconda, con riferimento al fabbricato accatastato in categoria D/10, mentre per l’area di mq. 6.250 – che i contribuenti sostengono essere pertinenziale al fabbricato rurale in quanto occorre rinviare alla Corte di secondo grado per l’accertamento della relativa natura, essendosi limitata a ritenere la doglianza priva di riscontro probatorio , trascurando di specificare se l’area fosse iscritta in catasto come area pertinenziale al fabbricato rurale.
Ne segue, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo mezzo, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per l’accertamento della pertinenzialità dell’area di 6.250 mq., definita dai ricorrenti come pertinenziale al fabbricato rurale.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito l’ultimo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della