Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6276 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6276 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21600/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliati in LECCE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME–COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 1499/2023 depositata il 20/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.In data 18 luglio 2018 i contribuenti indicati in epigrafe presentavano la dichiarazione DOCFA con cui proponevano una nuova rendita catastale dell’immobile – sito in Roma alla INDIRIZZO (Microzona 6 – foglio 536, part.129, sub 30, piano 2-9 S-2) -sulla base della diversa distribuzione degli spazi interni dell’immobile.
L’Agenzia del Territorio notificava l’avviso di accertamento n. RM0568028/2018, rettificando la rendita catastale ed attribuendo all’immobile la Categoria A/1 e la Classe 2 (Rendita € 3.925,01).
I signori COGNOME impugnavano l’avviso eccependo la illegittimità dell’atto di accertamento catastale per carenza di motivazione, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della L. 27 luglio 2002 n. 212 (Statuto del contribuente) ed infine la illegittimità dell’attività di rettifica per avere l’Agenzia utilizzato la potestà di verifica della proposta di riclassamento in modo arbitrario.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con la sentenza n.1669/2021, respingeva il ricorso.
La Corte di Giustizia di secondo grado, nel confermare la decisione di prime cure, respingeva il gravame dei contribuenti.
Ricorrono per la cassazione della sentenza d’appello i proprietari dell’immobile oggetto dell’accertamento catastale sulla base di tre motivi.
Replica con controricorso l’amministrazione finanziaria.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Il primo motivo denuncia <omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ. , 'fatto' rappresentato dalla perizia tecnica redatta dal consulente di parte che il decidente non ha preso in considerazione. Si assume che si tratta di fatto storico
decisivo per la decisione, in quanto la relazione dimostra che l'immobile di proprietà dei ricorrenti non possiede le caratteristiche della categoria catastale A/1 ed, in particolare, i requisiti previsti dal d.P.R. n. 1142/1949 o del d.P.R. n.138/98 per considerare lo stesso immobile di lusso o di tipo signorile.
Con la seconda censura si deduce , in relazione doglianza delle parti concernente la carenza dei requisiti per considerare un immobile di tipo signorile.
Si obietta che, nell’atto di appello (pag.17/18), i ricorrenti, richiamando quanto già evidenziato nel ricorso introduttivo sulla base della perizia di parte, avevano rilevato che difettavano i requisiti richiesti dalla normativa di settore e, precisamente, l’altezza netta libera superiore a 3,30 ml; la dotazione di almeno tre servizi igienici; porte d’ingresso in legno, pregiato o intagliato o scolpito o intarsiato; pavimenti per una superficie complessiva superiore al 50% della superficie utile in materiale pregiato o lavorati in modo pregiato; pareti rivestite in stoffa o eseguite con materiali e lavorazioni pregiate; soffitti a cassettoni o decorati a stucchi tirati o dipinti; doppi ingressi.
Soggiungono che il d.m. del 02/08/1969 definisce le caratteristiche delle abitazioni di lusso, concetto più restrittivo rispetto alle abitazioni signorili, dove all’art. 6 prevede che siano da considerare di lusso le ‘singole uu.ii. aventi superficie utile complessiva superiore a 240 mq (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e i posti macchina)’ mentre l’unità immobiliare in esame non supera i 215 mq.’
Il terzo mezzo di ricorso, introdotto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., denuncia la violazione del d.P.R. n. 138/98 e del d.P.R. n. 1142/1949; in quanto i giudici di secondo grado, recependo quanto dedotto dall’Agenzia delle Entrate, hanno
motivato la loro decisione, affermando che .
La Corte di Giustizia adita ha ritenuto, quindi, che per le caratteristiche sopra elencate l’immobile oggetto di contestazione avesse le peculiarità dell’immobile di categoria A/1.
Si afferma che è priva di rilievo la circostanza che nello stesso edificio fossero collocate unità similari, atteso che il giudicante avrebbe dovuto esaminare se, nel caso di specie, queste caratteristiche erano idonee per poter considerare l’immobile di lusso o signorile e quindi classificarlo in Categoria A/1.
Si soggiunge che il decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 2 agosto 1969 stabilisce che le case di lusso devono rispettare i seguenti parametri: superficie dell’appartamento che supera i 240 mq, con esclusione di balconi, terrazzi, cantine, soffitte, scale e posti auto; terrazze e balconi: con superficie che supera i 65 mq, a sevizio della sola unità immobiliare; ascensori: presenza di più di un ascensore per ogni scala (per esempio due ascensori per scala); ogni ascensore in più è da considerarsi nel caso in cui servano un edificio di meno di 7 piani; montacarichi: che serve edifici o condomini con meno di 4 piani; scale di servizio: presenza di scale di servizio la cui presenza non sia prescritta da leggi a tutela dagli infortuni o dagli incendi; scala principale: pareti rivestite di materiali pregiati per un’altezza superiore a 170 cm; altezza netta: superiore a 330 cm.
Si richiama a dimostrazione del proprio assunto la perizia di parte che dimostrerebbe l’assenza dei requisiti per qualificare di lusso l’abitazione.
Il primo ed il secondo strumento di ricorso sono inammissibili, perché, aisnsi dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod.proc.civ. viene dedotto l’omesso l’esame della perizia, la quale non costituisce, al contrario, un fatto storico ed ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ. la violazione dell’art. 112 per l’omesso esame delle allegazioni difensive di parte.
4.1. Con riferimento al primo motivo, costituisce ‘fatto’, agli effetti della menzionata norma, non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma: 1) un vero e proprio ‘fatto’, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un ‘fatto’ costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655/2011; Cass. n. 7983/2014; Cass. n. 17761/2016; Cass. n. 29883/2017); 2) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico- naturalistico (cfr. Cass. n. 21152/2014; Cass. sez. un. n. 5745/2015); 3) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133/2014); 4) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass. sez. un. n. 8053/2014). Non costituiscono, viceversa, ‘fatti’, il cui omesso esame possa cagionare il vizio in esame, tra gli altri: 1) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 2247/2022; sez. un. n. 16303/2018, in motivazione; Cass. n. 14802/2017; Cass. n. 21152/2015); 2) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. S un. n. 8053/2014). In particolare, questa Corte ha ritenuto
che non può essere dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. il vizio di omesso esame di un fatto decisivo della controversia per la mancata considerazione di una perizia stragiudiziale, in quanto la stessa costituisce un mero argomento di prova (Cass. n. 1049/2022; Cass. n. 8621/2018; Cass. n. 9029 del 2015). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n.7983; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152;; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745 Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. n. 32483/2024). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152 Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022).
4.2. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, la omessa pronuncia ex art. 112 cod.proc.civ. è astrattamente configurabile da parte del giudice di appello solo ove sia allegata la totale carenza di considerazione di una domanda o di una eccezione -e non di una mera allegazione difensiva -sottoposta al suo esame con la formulazione di uno specifico motivo di gravame e sempre che il medesimo giudice abbia mancato completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, indispensabile alla soluzione del caso concreto (così, tra le altre, Cass. n. 20555/2017). Difatti, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod.proc.civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto
ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (v. di recente Cass. n. 23100/2023; n. 19944/2023; n. 12652/2020).
4.3. Nel caso in esame, la Corte territoriale si è certamente espressa sulla questione controversa, esplicitamente rigettando la prospettazione ad essa sottoposta dai contribuenti, procedendo ad una analitica descrizione dell’abitazione e facendo riferimento anche alla scheda planimetrica prodotta dalla parte appellante.
5.In altri termini, l’esame delle allegazioni difensive, nonché la valutazione delle risultanze della prova, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., tra le tante, Cass. 12362/2006 e, più recentemente, Cass. 21.7.2010, n. 17097; Cass. nn 16986/2013; Cass. Sez. U. n. 24148 del 2013, Cass. n. 8008 del 2014; Cass. n. 29751/2024, in motiv.).
5.1.Diversamente, il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ. si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la
particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo ( Cass. n. 17761/2016; Cass. n. 21152 del 2014).
Non può, perciò, configurarsi nella specie il vizio di omessa pronuncia dedotto con il secondo motivo di ricorso in ragione del fatto che la Corte di merito non ha fatto riferimento espresso all’argomentazione difensiva relativa alla carenza dei requisiti per la inclusione dell’abitazione in quelle di lusso, avendo invece la Corte descritto chiaramente tutti gli elementi per definire di lusso l’immobile de quo.
Infondato è l’ultimo motivo di ricorso.
6.1.Va premessa, in effetti, l’autonomia della disciplina catastale che delinea l’immobile classificabile come “signorile” rispetto a quella che definisce, a fini non catastali ma di agevolazione fiscale (“prima casa”), l’immobile “di lusso” ai sensi del d.m. 2 agosto 1969.
6.2.Si è in proposito recentemente ribadito (Cass.n. 8725/2020; Cass.n.23389/2021; Cass. n.2250/21, ma così già Cass.n.23235/14 ed altre) che: “in tema di estimo catastale, in assenza di una specifica definizione legislativa delle categorie e classi, la qualificazione di un’abitazione come “signorile”, “civile” o “popolare” corrisponde alle nozioni presenti nell’opinione generale in un determinato contesto spaziotemporale e non va mutuata dal d.m. 2 agosto 1969, atteso che il procedimento di classamento è volto all’attribuzione di una categoria e di una classe e della relativa rendita alle unità immobiliari, mentre la qualificazione in termini “di lusso”, ai sensi del citato d. m., risponde alla finalità di precludere l’accesso a talune agevolazioni fiscali”. E ciò in quanto
l’attribuzione della categoria catastale A/1 (Abitazioni di tipo signorile: Unità immobiliari appartenenti a fabbricati ubicati in zone di pregio con caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifiniture di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo residenziale) non implica, necessariamente, che l’immobile costituisca un’abitazione di lusso (cfr. Cass. n. 7329 del 2014; ed anche, in riferimento al beneficio cd. prima casa, Cass. n. 8502 del 26.9.1996; n. 8600 del 2000; n. 17604 del 2004, che, nell’ipotesi speculare in cui viene in rilievo la qualificazione “di lusso” di un immobile, affermano, appunto, l’irrilevanza della classificazione catastale).
6.3.Occorre premettere che ai sensi dell’art. 8, comma primo, del r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652, nel testo sostituito dall’art. 2 della legge 30 dicembre 1989, n. 427, e degli art. 6, comma 1 e 61, comma 2, D.P.R. n. 1142/1949, la categoria e la classe catastali debbono essere attribuite in ragione delle caratteristiche intrinseche che determinano la destinazione ordinaria e permanente delle unità immobiliari. In base all’art. 9 del d.P.R. 1142/1949 per ciascuna zona censuaria è definito un «quadro di qualificazione e classificazione che deve indicare le categorie riscontrate nella zona censuaria ed il numero delle classi in cui ciascuna categoria è stata divisa, e contenere i dati di identificazione e la descrizione delle unità immobiliari scelte come tipo per ciascuna classe». Le caratteristiche sono non necessariamente dati oggettivi (come, per esempio, la superficie o l’ubicazione), suscettivi, come tali, di essere solo confermati o negati dall’Ufficio, in quanto le caratteristiche possono essere dati suscettivi di valutazione tecnica (come per esempio la qualità edilizia della costruzione, il pregio delle rifiniture o la qualità urbana e ambientale della zona in cui l’unità immobiliare è collocata).
6.4.Questa Corte ha affermato quanto segue: «Il classamento non è oggi disciplinato da precisi riferimenti normativi: la legge si limita, infatti, a prevedere l’elaborazione di un reticolo di categorie
e classi catastali e demanda la elaborazione di tali gruppi, categorie e classi all’Ufficio tecnico erariale (D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 9). L’ufficio tecnico erariale procede sulla base di istruzioni ministeriali anche piuttosto risalenti nel tempo (è tuttora utile in proposito la circolare n. 134 del 6 luglio 1941, integrata dalla istruzione 2 del 24 maggio 1942).Di fatto, mentre è pressoché uniforme in tutto il territorio nazionale la suddivisione in cinque gruppi (A, B, C, D, E) articolati in numerose categorie (A1, A2, A3, …), sono assai incerti i criteri in forza dei quali un immobile rientri nelle diverse categorie: vada ad esempio classificato come A2 (abitazione di tipo civile) piuttosto che come A3 (abitazione di tipo economico).
6.5. Nel suo ‘quadro generale delle categorie con annesso massimario’ contenuto nella citata circolare 134 del 1941 il Ministero avvertiva in riferimento alle prime otto classi della categoria A, che ‘trattandosi di qualificazione relativa e variabile da luogo a luogo, deve corrispondere al significato che ha localmente’. Qualche maggiore precisazione è oggi contenuta nella circolare ministeriale 14 marzo 1992, n. 5/3/1100, ( ndr circolare ministeriale 14 marzo 1992, n. 5) ma siamo sempre a livello di mere istruzioni amministrative, di cui si tiene conto in quanto possibile espressione di un ‘comune sentire’.
7. I termini di abitazione «signorile», «civile», «popolare» (di cui alla nota C-l/1022 del 4.5.1994 del Ministero delle Finanze) esplicativa delle varie categorie catastali costituiscono, dunque, il portato di un apprezzamento di fatto, da riferire a nozioni presenti nell’opinione generale, alle quali corrispondono caratteristiche che possono con il tempo mutare, sia sul piano della percezione dei consociati, sia sul piano oggettivo per il naturale deperimento delle cose, o per le mutate condizioni dell’area ove l’immobile si trovi (in tal senso Cass. nn. 23235/2014, 2250/2021, È opportuno inoltre evidenziare che con la circolare del Ministero delle finanze del 14
marzo 1992, n. 5 è stata disposta la Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N. C.E.U.
7.1.Il provvedimento, riportando il quadro generale delle categorie I, immobili a destinazione ordinaria, riconduce al gruppo A, in particolare A1, le abitazioni di tipo signorile e, a tale proposito, precisa che vi appartengono «le unità immobiliari appartenenti a fabbricati ubicati in zone di pregio con caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifiniture di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo residenziale. Detti immobili devono, inoltre rispondere ai requisiti indicati dall’Ufficio in sede di classamento automatico (punti 1,3 e 9 dei prospetti 9) e per quanto riguarda la consistenza e la dotazione di servizi delle unità immobiliari, ai requisiti indicati ai punti 10, 11 e 14 dei citati prospetti».
7.2. La Risoluzione del Ministero delle finanze 17 marzo 1994, prot. 257 (Prospetto principali caratteristiche tipologiche e costruttive delle più significative categorie catastali ad uso abitativo), precisa che appartengono alla categoria A1 le «unità immobiliari appartenenti a fabbricati ubicati in zone di pregio con caratteristiche costruttive, tecnologiche, e di rifiniture e dotazione di impianti e servizi di livello superiore a quello standard dei fabbricati di tipo residenziale. Elevata superficie».
7.3.Ciò non consente tuttavia di accogliere il motivo di ricorso in esame dal momento che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, la commissione tributaria regionale nella sentenza impugnata non ha affatto basato il proprio convincimento di congruità della classificazione in A1 sul solo elemento della superficie come astrattamente riferibile proprio a quel d.m., fondandolo invece sull’insieme dei parametri già esaminati dal primo giudice e ben descritti nella decisione oggetto del ricorso per cassazione.
8.Si legge infatti nella sentenza dei giudici regionali che: .
9.Ciò posto, il motivo di ricorso in esame si dimostra per il resto finanche inammissibile nella parte in cui, attraverso la deduzione di una asserita violazione normativa, mira piuttosto a suscitare una nuova valutazione fattuale ed estimativa della tipologia e delle caratteristiche dell’immobile in questione, certamente non richiedibile nella presente sede dì legittimità. Il che è reso tanto più evidente dal richiamo in ricorso delle varie contestazioni dal contribuente mosse fin dall’atto introduttivo del giudizio, e concernenti appunto una diversa considerazione di merito di queste caratteristiche assunte nella loro concretezza e contestualizzazione. Nel caso in esame, deve ritenersi che l’accertamento effettuato nella sentenza impugnata circa l’attribuzione all’unità immobiliare in oggetto della categoria A/1 attenga, dunque, ad una valutazione in fatto che avrebbe potuto essere censurata solo nei limiti consentiti dall’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. e che si presenta, invece, corretto sul piano dell’iter logico -giuridico, avendo il Giudice regionale operato una valutazione complessiva in ordine alle caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifinitura del bene, alla sua ubicazione, il tutto secondo i suindicati criteri forniti dalla giurisprudenza di questa Corte, che il motivo di ricorso non può indurre a rimeditare.
9.1.Non possono trovare dunque ingresso le doglianze di parte ricorrente trattandosi di censure per tale profilo inammissibili, in quanto inducono ad una rielaborazione del percorso logico e
giuridico effettuato dal giudice del merito preclusa in questo giudizio (Cass. n. 16479 del 2020; Cass. n.29816/2024, in motiv.).
Sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto.
11.Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. A carico della parte ricorrente, stante la declaratoria di rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dall’ente finanziario che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione tributaria della Corte di Cassazione, svoltasi in data 29.01.2025
IL PRESIDENTE NOME COGNOME
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