Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21263 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21263 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21182/2020 proposti da:
RAGIONE_SOCIALE(P.IVA: P_IVA, con sede in Salerno, alla INDIRIZZO in persona del Presidente, Dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta determina n. 12 del 19/5/2020 del Presidente, come da procura speciale in atti, dall’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; pec: EMAIL), con studio professionale in Vietri sul Mare (SA), alla INDIRIZZO e domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO
COGNOME INDIRIZZO, presso l’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO) e presso la stessa domiciliata in Roma alla
Avviso accertamento catastale – Partitore idrico – Cat. D, anziché E
INDIRIZZO
-controricorrente –
Sezione
-avverso la sentenza n. 8833/2019 emessa dalla CTR Campania -distaccata di Salerno – in data 22/11/2019 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La RAGIONE_SOCIALE impugnava un avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva proceduto alla rideterminazione della rendita catastale ed al riclassamento con l’assegnazione della categoria D/1 in luogo di quella proposta con Docfa E/3 per alcuni immobili siti in Salerno.
La CTP di Salerno accoglieva il ricorso, evidenziando che l’immobile in questione faceva parte di un partitore idrico in pressione che alimentava i serbatori idraulici per il territorio della città di Salerno e doveva essere ricondotto nella cat. E/9, alla stregua di acquedotti civici, torri piezometriche, vasche per la riserva idrica, locali per i depuratori e regolazione dell’acqua potabile.
Sull’impugnazione dell’Ufficio, la CTR della COGNOME accoglieva il gravame, affermando che il fabbricato doveva ospitare impianti per la regolazione delle acque, presentava molte affinità con strutture destinate ad ospitare impianti per il trasporto e l a distribuzione dell’energia (accatastabili in cat. D) e risultava essere stato dichiarato singolarmente, e non in connessione con altre unità, non costituendo quindi pertinenza di immobile di pubblica utilità.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, la RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione, Dott. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce la motivazione apparente e la conseguente nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 4), c.p.c.
1.1. Il motivo è infondato.
Invero, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Nel caso di specie, la motivazione resa dalla CTR si pone senz’altro al di sopra del cd. minimo costituzionale, avendo, con argomentazioni congrue dal punto di vista logico-formale, esplicitato, sia pure sinteticamente, le ragioni per le quali l’immobile oggetto dell’avviso (un partitore idrico) fosse inquadrabile nella categoria catastale D, anziché in quella E.
A tal proposito, ha affermato che il fabbricato doveva ospitare impianti per la regolazione delle acque, presentava molte affinità con strutture destinate ad ospitare impianti per il trasporto e la distribuzione dell’energia (accatastabili in cat. D) e risultava essere stato dichiarato singolarmente, e non in connessione con altre unità, non costituendo quindi pertinenza di immobile di pubblica utilità, e che non poteva essere assimilato a serbatoi idrici che invece trovavano collocazione in cat. E/3.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., l’omesso esame della circostanza che l’accatastamento poteva riguardare solo il fabbricato di nuova costruzione, e non il complesso edilizio già esistente.
2.1. Il motivo è inammissibile.
L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del
2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. di recente, Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 17005 del 20/06/2024).
Nel caso di specie, l’affermazione della CTR secondo cui il fabbricato ospitante il partitore idrico risultava essere stato dichiarato singolarmente, e non in connessione con altre unità, rappresenta una delle argomentazioni spese per pervenire alla decisione finale e, come tale, è priva del connotato della decisività.
D’altra parte, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella attuale formulazione, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022).
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 40, d.l. n. 262/2006, anche con riferimento alle Circolari nn. 4/2006 e 4/2007 dell’Agenzia delle Entrate, 5 R.d.l. n. 652/1939, 8, 30, 32, 40 e 53 d.P.R. n. 1142/1949, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che il fabbricato in esame era incapace a produrre un reddito proprio e, come tale, era inquadrabile nella categoria catastale E.
3.1. Il motivo è infondato.
La questione è stata già affrontata e decisa da questa Corte prima in
relazione ai riflessi concernenti l’I.C.I. – con soluzione a cui si è ritenuto di poter dare continuità con riguardo alla classificazione catastale (Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2019, n. 9427) -, e successivamente anche con specifico riferimento ad avviso di accertamento di rendita catastale (Cass. 2247/2021; cfr., nello stesso senso, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18946 del 2022 e Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9427 del 2019).
Va premesso che la qualificazione nel gruppo “E” è propria di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri, ecc.), con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale che li rendono sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale. Una conferma di tale impostazione è data dall’art. 2, comma 40, del d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006 n. 286, a tenore del quale: «Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale».
Dal che si evince come la citata norma instauri una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria “E”, da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro lato, sicché diventa dirimente, ai fini della valutazione del corretto censimento del immobile, accertare se la gestione dell’impianto di depurazione presentasse gli obiettivi caratteri della economicità intesa quale perseguimento del cosiddetto lucro oggettivo, ossia il rispetto di un criterio di proporzionalità tra costi, e ricavi nel senso che questi ultimi tendono a coprire i primi remunerando i fattori produttivi (in termini: Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2019, n. 9427).
La normativa di settore (art. 9, comma 1, della legge 5 gennaio 1994 n. 36: « I comuni e le province di ciascun ambito territoriale ottimale di cui all’articolo 8, entro il termine perentorio di sei mesi dalla delimitazione dell’ambito medesimo, organizzano il servizio idrico integrato, come definito
dall’articolo 4, comma 1, lettera f), al fine di garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità»; art. 141 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152: «Il servizio idrico integrato è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie»; art. 154, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, nel testo modificato, all’esito del referendum abrogativo disposto con il d.P.R. 23 marzo 2011, dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. 18 I luglio 2011 n. 116: «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo»), con riferimento alla gestione del servizio idrico integrato, richiama i principi di efficienza, efficacia ed economicità.
Posto che sono classificabili come “servizi a rilevanza economica” (art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, nel testo novellato dall’art. 35 della legge 28 dicembre 2001 n. 448) tutti quei servizi pubblici locali assunti dall’ente competente laddove la tariffa richiedibile all’utente sia potenzialmente in grado di coprire integralmente i costi di gestione e di creare un utile d’impresa che non deve essere di modesta entità, l’inquadramento del servizio idrico integrato in tale schema è stato confermato dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 325 del 3 novembre 2010 e n. 187 dell’8 giugno 2011, affermandosene la riconducibilità alle materie della “tutela della concorrenza” e della “tutela dell’ambiente”, che pertengono alla esclusiva competenza legislativa dello Stato .
Del pari, la giurisprudenza di legittimità ha messo in risalto che la tariffa del
servizio idrico integrato configura ormai il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, che trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente nel patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza (Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2014, n. 12763; Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2014, n. 12769), confermando l’ispirazione della relativa gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, in coerenza con il requisito teleologico minimo per l’assunzione della qualifica imprenditoriale (art. 2050 c.c.).
Del resto, avuto riguardo alla natura economica dell’attività di gestione del servizio idrico integrato (Cass., 8 febbraio 2022, n. 3921; Cass., 2 febbraio 2021, n. 2247), il partitore, inteso come impianto, sia in muratura (dunque suscettibile di accatastamento quale u.i.) sia per componenti tecnologiche deve essere accatastato (dovendosi tener conto dell’art. 1, comma 21, l. n. 208 del 2015: <>).
Con riferimento a sulla autonomia funzionale e reddituale, il d.l. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, conv. in l. n. 286 del 2006, già in precedenza riprodotto, stabilisce che: <>. Come si desume dalla disposizione, in tanto può porsi la questione dell’autonomia funzionale e reddituale, nei termini segnati dalla disposizione, in quanto vengano in considerazione unità immobiliari del gruppo E che comprendano (cioè che denotino la presenza di) ulteriori unità immobiliari suscettibili di autonomo
classamento. La norma è formulata in negativo (nel senso che indica gli immobili che non vanno classificati nel gruppo E) e quindi non riguarda la estensione del raggruppamento esente da imposta, bensì la sua delimitazione (Cass., 15 settembre 2008, n. 23608).
Ebbene, l’oggetto del classamento catastale (la minima unità inventariale) è appunto l’unità immobiliare.
Avuto riguardo, quindi, ai dati normativi desumibili
dal r.d.l. n. 652 del 1939, art. 5, conv. in l. 1249 del 1939, – secondo il quale «Si considera unità immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio.», – dal d.p.r. n. 1142 del 1949, art. 40, – alla cui stregua «Si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente.»,
e dal d.m. 2 gennaio 1998, n. 28, art. 2, – secondo il cui disposto l’unità immobiliare «è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale.», – la Corte ha avuto modo di precisare che «l’accatastamento viene dalla normativa riferito non al fabbricato in quanto tale, bensì alla nozione di unità immobiliare urbana (UIU), a sua volta rapportata ad una componente immobiliare (rilevante ex art. 812 c.c.) suscettibile di autonoma funzionalità e redditività.» (Cass., 23 maggio 2018, n. 12741);
il manufatto destinato a partitore ha senz’altro una sua autonomia funzionale e reddituale -secondo le cennate disposizioni -ed è quindi suscettibile di autonomo accatastamento; nella sua dimensione funzionale, però, concorre allo svolgimento di un’attiv ità economica e, allora, è destinato ad un’attività produttiva, come deve ritenersi per le unità immobiliari a destinazione cd. speciale, nel senso che va ascritta alle unità immobiliari <> (r.d.l. n. 652 del 1939, art. 10, conv. in l. n. 1249 del 1939; d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 8).
Né la natura economica dell’attività viene meno per la circostanza che a gestire il servizio pubblico sia direttamente l’ente territoriale ovvero una azienda municipalizzata o una società partecipata dal Comune, in quanto ciò che rileva ai fini del classamento catastale sono le caratteristiche dell’immobile e la sua destinazione funzionale. In particolare, l’interesse generale cui allude la gravata sentenza non esclude né l’autonomia funzionale e reddituale di unità immobiliari ad uso commerciale – secondo lo specifico ordinamento catastale -né la loro stessa rilevanza nell’ordinamento eurounitario – in tema di aiuti di Stato e di concorrenza sotto il profilo dell’identificazione di un’impresa la cui nozione si correla, a prescindere dal suo status giuridico, allo svolgimento di un’attività economica (v., tra le tante, CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite da C622/16P a C-624/16P, RAGIONE_SOCIALE, punti 103 ss.; CGUE, 27 giugno 2017, causa C-74/16, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, punto 50; CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C-49/07, MOTOE, punti 27 e 28; CGUE, 11 settembre 2007, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, procedimento C-76/05, punto 39; CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze, punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, COGNOME e altri, punti 74 e 75).
E’ evidente, del resto, che il servizio idrico esercitato non possa essere qualificato come compito istituzionale del Comune.
La Commissione Tributaria Regionale, sia pure in termini sintetici, ha fatto buon governo dei principi enunciati affermando che il fabbricato ospitante gli impianti per la regolazione delle acque (cd. partitore idrico) non è inquadrabile nella cat. E/3, non essendo assimilabile ai serbatoi idrici.
Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa
applicazione degli artt. 2, comma 40, d.l. n. 262/2006, 5 R.d.l. n. 652/1939, 30 e 40 d.P.R. n. 1142/1949, 6 e 7 l. n. 212/2000, 11 d.l. 14.3.1988, n. 70, 1, comma 21, l. n. 208/2015 e 61 d.P.R. n. 1142/1949, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR ritenuto inconferenti le doglianze relative all’insufficienza motivazionale dell’avviso di accertamento impugnato.
4.1. Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, in quanto, poiché sulla specifica censura non risulta che la CTR si sia, neppure implicitamente pronunciata, la ricorrente avrebbe dovuto impugnare la relativa sentenza, semmai, in base al combinato disposto degli artt. 112 e 360, primo comma, n. 4), c.p.c.
Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).
In secondo luogo, in violazione del principio di autosufficienza, la contribuente ha omesso di trascrivere l’avviso di accertamento impugnato, in tal guisa precludendo a questo Collegio la possibilità di scrutinare la fondatezza o meno della sua doglianza.
Senza tralasciare che, non essendovene cenno nella sentenza qui
impugnata, avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato e reiterato, con appello incidentale, la relativa censura.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 5.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 24.4.2025.