Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21280 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21280 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA
sul ricorso iscritto al n. 1856/2022 R.G. proposto da : GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, sede di TORINO, n. 431/2021 depositata il 15/06/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino l’avviso di accertamento catastale n. TO0403305/2017, inerente all’immobile intestato a RAGIONE_SOCIALE, sito nel Comune di Venaria, INDIRIZZO ed identificato in Catasto al foglio 9, particella 605, sub. Tale atto riportava la rettifica del classamento dell’unita immobiliare dalla categoria proposta E/3 ‘Costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche’ alla categoria D/7 ‘Fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni’, e la conseguente rideterminazione della rendita in misura pari ad € 306,00.
La Commissione Tributaria Provinciale di Torino con sentenza 982/2019, depositata il 15/6/2021 ha accolto il ricorso.
Avverso tale decisione ha proposto appello l’amministrazione, che la CTR del Piemonte, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto, ritenendo che la categoria E sia destinata a edifici e costruzioni che soddisfano esigenze pubbliche, con una particolare caratterizzazione tipologico-funzionale che non permette l’inserimento in categorie ordinarie o speciali anche se comprensiva degli impianti di depurazione delle acque a gestione pubblica o privata senza scopo di lucro, in considerazione del fatto che la diversa categoria D/7 si riferisce a fabbricati costruiti per esigenze produttive e non suscettibili di destinazione diversa senza trasformazioni radicali. L’impianto di depurazione di RAGIONE_SOCIALE, in quanto parte del servizio idrico integrato, non svolge attività di tipo industriale o commerciale, ma soddisfa un’esigenza di interesse generale, ed è gestito da società ” in house “, con la conseguenza che deve essere considerata una infrastruttura idrica di proprietà degli enti locali, affidate in concessione, anche in ragione del fatto che all’interno delle vasche di depurazione non si
svolge alcun processo produttivo e si tratta di beni non commerciabili e privi di autonoma redditività.
Avverso la suddetta sentenza di gravame l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 2 motivi di ricorso.
L’intimata non ha depositato controric orso.
Successivamente la difesa erariale ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare deve rilevarsi che vi è un errore di identificazione del giudice che ha emesso la sentenza impugnata: viene indicata la Commissione tributaria regionale della Sicilia piuttosto che la Commissione tributaria regionale del Piemonte.
1.1. Tuttavia, gli altri elementi confermano che si tratti di mero errore materiale che non ha ostacolato o precluso la difesa avversaria.
1.2. Il numero di avviso di accertamento TO0403305/2017 è lo stesso che compare nella sentenza impugnata e, inoltre, vi è la specifica ed esatta localizzazione dei beni (immobile intestato a RAGIONE_SOCIALE, sito nel Comune di Comune di Venaria, INDIRIZZO) ed ai relativi identificativi catastali (Foglio 9, particella 605 sub.1).
1.3. Anche la sentenza resa in primo grado dalla Commissione tributaria provinciale di Torino (sentenza n. 982/02/2019), è la stessa che compare in epigrafe della sentenza di appello (n. 431/2021, depositata il 15 giugno 2021 della Commissione tributaria regionale del Piemonte) e risulta integralmente riportato il contenuto motivazionale della sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte (nella parte intitolata Motivi della decisione).
1.4. Analogo errore di localizzazione è contenuto nella relata di notifica (indicata Commissione tributaria regionale Sicilia piuttosto che Commissione tributaria regionale Piemonte).
1.5. La circostanza, tuttavia, non si ritiene integrare una causa di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 2, a tenore del quale ‘Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: (…) 2) l’indicazione della sentenza o decisione impugnata’.
1.6. Difatti questa Corte ha già chiarito che l’erronea indicazione del numero della sentenza impugnata non è causa di inammissibilità del ricorso per cassazione ove la parte cui lo stesso è diretto abbia elementi sufficienti per individuare senza possibilità di equivoci la decisione oggetto di gravame (nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE, nel disattendere la censura, ha rilevato che la sentenza impugnata era esattamente indicata nell’epigrafe del ricorso, nello svolgimento dello stesso e nell’elenco degli allegati) (Cass., 30 luglio 2024, n. 21289; Cass., 8 gennaio 2016, n. 138; Cass., 24 marzo 2009, n. 7053) e che l’inammissibilità del ricorso per cassazione sancita dall’art. 366 n. 2 cod. proc. civ. per la mancata indicazione della sentenza impugnata va limitata all’ipotesi in cui l’indicazione del provvedimento impugnato difetti del tutto o sia talmente incerta da renderne impossibile l’identificazione (Cass., 2 aprile 2002, n. 4661; Cass. Sez. U., 10 dicembre 2001, n. 15603).
1.7. In sostanza, l’inammissibilità del ricorso per cassazione che non contenga l’indicazione della sentenza o della decisione impugnata (art. 366, n. 2 c.p.c.), è configurabile soltanto se la parte cui il ricorso è diretto non abbia elementi sufficienti per individuare inequivocabilmente la sentenza o la decisione impugnata (Cass., 2 dicembre 2004, n. 22661).
1.8. Alla luce delle considerazioni appena esposte, deve ritenersi che non v’era incertezza sulla sentenza che era stata impugnata e che il ricorso sia ammissibile.
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.., si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare, in ordine alla statuizione sub a) del punto 6), la violazione e falsa applicazione dell’art. art. 2, comma 40, del d.l. n. 262/2006, convertito nella legge n. 286/2006, e d.m. 02/01/1998, n. 28.
2.1. La CTR si sarebbe limitata ad accertare se l’immobile fosse autonomo funzionalmente e redditualmente in concreto, concludendo in senso negativo, mentre la norma imporrebbe invece di considerare la potenzialità funzionale autonoma e reddituale dell’immobile, e non l’effettivo utilizzo corrente. Ai fini dell’accertamento catastale, non sarebbe poi rilevante l’attualità dell’impiego dell’immobile, ma la sua potenzialità.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del dpr 1.12.1949, n. 1142, in combinato disposto con il rdl 13.4.1939, n. 652.
2.3. La CTR avrebbe privilegiato la funzione pubblica e la mancanza di scopo di lucro dell’attività di SMAT, trascurando le caratteristiche oggettive dell’immobile e la sua potenzialità per un uso industriale o commerciale, in violazione delle norme catastali e della giurisprudenza della Cassazione.
I motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi. La questione relativa alla classificazione catastale degli impianti di depurazione e smaltimento di acque reflue è stata già affrontata e decisa da questa Corte con soluzione uniforme – salvo un isolato precedente di segno contrario (Cass., Sez. 6^-5, 19 febbraio 2015, n. 3358) – a cui si ritiene di poter dare continuità in questa sede (da ultime, in senso conforme: Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2019, n. 9427; Cass., Sez. 5″, 2 febbraio 2021, n. 2247; Cass., Sez.
5^, 8 luglio 2021, n. 19393; Cass., Sez. 5^, 13 luglio 2021, n. 19873).
2.1. Come già evidenziato (Cass. 8/02/2022, n. 3921; Cass. 13/12/2021, n. 39594) la qualificazione nel gruppo E è propria di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri ecc.), con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale che li rende sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale. Una conferma di tale impostazione è data dalla L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, a tenore del quale: «Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale». Dal che si evince come la legge instauri una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria «E», da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale.
2.2. Tale assunto trova convalida giurisprudenziale nel consolidato indirizzo di questa Corte secondo il quale « In tema di classamento, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del d.l. n. 262 del 2006, convertito, con modificazioni, nella legge n. 286 del 2006, nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale, e, cioè, alla luce del combinato disposto degli artt. 5 del r.d.l. n. 652 del 1939 e 40 del d.P.R. n. 1142 del 1949, immobili per se stessi utili o atti a produrre un reddito proprio, anche se utilizzati per le finalità istituzionali dell’ente titolare» (Cass. n. 20026/15, 7868/2016, 4223/2019 e 9427/2019).
2.3 Sulla scorta di tali principi questa Corte ha puntualizzato, proprio in materia di impianti di depurazione delle acque, che «…. dal che si evince come la citata norma instauri una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria “E”, da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro lato, sicché diventa dirimente, ai fini della valutazione del corretto censimento del immobile, accertare se la gestione dell’impianto di depurazione presentasse gli obiettivi caratteri della economicità intesa quale perseguimento del cosiddetto lucro oggettivo ossia il rispetto di un criterio di proporzionalità tra costi e ricavi nel senso che questi ultimi tendono a coprire i primi remunerando i fattori produttivi (in termini: Cass., Sez. 5, 4 aprile 2019, n. 9427). Diversamente da quanto affermato dalla controricorrente, è irrilevante la destinazione dell’impianto di depurazione ad una attività di pubblico interesse. Difatti, l’interesse generale allo svolgimento dell’attività non esclude che quest’ultima sia esercitata secondo parametri essenzialmente imprenditoriali intesi come attitudine alla copertura dei costi e del capitale investito con i ricavi conseguiti attraverso l’applicazione di tariffe (così: Cass., Sez. 5, 23 maggio 2018, n. 12741, in tema di classamento catastale di impianto di discarica per la gestione di rifiuti solidi urbani e la captazione di biogas; Cass., Sez. 5, 23 gennaio 2020, n. 17022, in tema di classamento catastale di impianto di compostaggio di rifiuti).
2.3.1. La normativa di settore (L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 9, comma 1: ” I comuni e le province di ciascun ambito territoriale ottimale di cui all’art. 8, entro il termine perentorio di sei mesi dalla delimitazione dell’ambito medesimo, organizzano il servizio idrico integrato, come definito dall’art. 4, comma 1, lett. f), al fine di garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità”; D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 141:”Il servizio idrico integrato è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione,
adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie”; del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 154, comma 1, nel testo modificato, all’esito del referendum abrogativo disposto col D.P.R. 23 marzo 2011, dal D.P.R. 18 luglio 2011, n. 116, art. 1, comma 1: “La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo”), con riferimento alla y gestione del servizio idrico integrato, richiama i principi di efficienza, efficacia ed economicità. Posto che sono classificabili come “servizi a rilevanza economica” (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 113, nel testo novellato dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 35) tutti quei servizi pubblici locali assunti dall’ente competente laddove la tariffa richiedibile all’utente sia potenzialmente in grado di coprire integralmente i costi di gestione e di creare un utile d’impresa che non deve essere di modesta entità, l’inquadramento del servizio idrico integrato in tale schema è stato confermato dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 325 del 3 novembre 2010 e n. 187 dell’8 giugno 2011, affermandosene la riconducibilità alle materie della “tutela della concorrenza” e della “tutela dell’ambiente”, che pertengono alla esclusiva competenza legislativa dello Stato (art. 117 Cost., comma 2, lett. e e lett. s). Del pari, la giurisprudenza di legittimità ha messo in risalto che la tariffa del servizio idrico integrato configura ormai il
corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, che trova fonte, non in un atto autoritativo direttamente incidente nel patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza (Cass., Sez. 5, 6 giugno 2014, n. 12763; Cass., Sez. 5, 6 giugno 2014, n 12769), confermando l’ispirazione della relativa gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, in coerenza con il requisito teleologico minimo per l’assunzione della qualifica imprenditoriale (art. 2050 c.c.). In linea con tale impostazione, la circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate il 16 maggio 2006 n. 4 del 2006 ha chiarito (par. 3.1.3, lett. c), che le costruzioni tese ad ospitare impianti industriali mirati al trattamento delle acque reflue sono tipiche di processi industriali o, comunque, produttivi e, pertanto, la categoria da attribuire agli immobili che le ospitano è da individuare nel gruppo “D”. Né la natura economica dell’attività viene meno per la circostanza che a gestire il servizio pubblico sia direttamente l’ente territoriale piuttosto una azienda municipalizzata o una società partecipata dal Comune in quanto ciò che rileva ai fini del classamento catastale sono le caratteristiche dell’immobile e la sua destinazione funzionale »(cfr. Cass. 2247/2021).
2.4 Alla luce delle suesposte argomentazioni, sono destituiti di fondamento i rilievi di cui alla gravata sentenza, che fanno leva, oltre che sull’attività di pubblico interesse esercitata dalla RAGIONE_SOCIALE, sulla natura della contribuente di società in house e senza alcun fine di lucro.
2.5 Si ribadisce, infatti, l’irrilevanza, ai fini dell’inquadramento catastale dell’immobile destinato ad un servizio di interesse generale offerto con modalità imprenditoriali in un determinato mercato, dell’affidamento del servizio ad una società interamente partecipata.
2.6 La Commissione Tributaria Regionale ha errato nell’affermare che gli impianti in questione vanno inseriti nella categoria del gruppo «E» anziché in categoria “D/7” (“fabbricati
costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni”), sull’erroneo presupposto che la destinazione a servizio pubblico fosse incompatibile con la natura imprenditoriale dell’attività svolta da una società a rilevante partecipazione pubblica.
2.7. Difatti, l’interesse generale cui allude la gravata sentenza non esclude né l’autonomia funzionale e reddituale di unità immobiliari ad uso commerciale – secondo lo specifico ordinamento catastale né la loro stessa rilevanza nell’ordinamento eurounitario -in tema di aiuti di Stato e di concorrenza -sotto il profilo dell’identificazione di un’impresa la cui nozione si correla, a prescindere dal suo status giuridico, allo svolgimento di un’attività economica (v., tra le tante, CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P, RAGIONE_SOCIALE , punti 103 ss.; CGUE, 27 giugno 2017, causa C-74/16, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania , punto 50; CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C-49/07, MOTOE, punti 27 e 28; CGUE, 11 settembre 2007, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , procedimento C-76/05, punto 39; CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze , punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, COGNOME e altri , punti 74 e 75).
2.8. Alla luce di quanto già chiarito da questa Corte, come poc’anzi richiamato, i motivi di ricorso sono fondati.
In accoglimento del ricorso la sentenza va cassata con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte in diversa composizione la quale, oltre a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità si atterrà al principio già da questa Corte enunciato (Cass. 8/02/2022, n. 3921): «In tema di classificazione catastale, poiché l’attività di gestione del servizio idrico ha natura economica, i relativi impianti industriali di depurazione e
smaltimento delle reflue non rientrano tra le unità immobiliari catastalmente censibili nella categoria E, che è propria di quei fabbricati con una caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale tale da renderli sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica commerciale e produttiva, ma rientrano nel gruppo D, tipico delle costruzioni che ospitano processi industriali e, nel caso di depuratore, nella categoria D/7, senza che la destinazione a servizio pubblico possa ritenersi incompatibile con la natura imprenditoriale dell’attività svolta da società a rilevante partecipazione pubblica».
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24/04/2025.