Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21295 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21295 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22586/2022 R.G. proposto da
:
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO
-ricorrente-
contro
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE
-intimata-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, sede di TORINO, n. 263/2022 depositata il 18/02/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate notificava alla società RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento con il quale classificava dalla categoria proposta E/3 ‘Costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche” alla
categoria D/7 ‘Fabbricati costruiti 0 adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni’ l’unità immobiliare sita nel Comune di Villar Pellice, identificata al, foglio 9, particella 358, senza subalterno, sostenendo che l’impianto – costituito da un locale tecnico con vasca di carico delle acque al servizio dell’acquedotto gestito dalla RAGIONE_SOCIALE in house providing per concessione della AT03 e per i Comuni aderenti fosse adibito ad attività imprenditoriale e che non fosse dirimente il fatto che sia di proprietà pubblica ed adibito a pubblico servizio.
La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato il predetto avviso avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Torino, la quale, con sentenza 263/2022, depositata il 18.2.2022 ha accolto il ricorso compensando le spese.
Avverso tale decisione ha proposto appello l’amministrazione, che la CTR del Piemonte, con la sentenza in epigrafe indicata, lo ha respinto, rilevando come l ‘ immobile fosse utilizzato per svolgere un’attività di pubblico interesse, ovvero la gestione dell’acquedotto a servizio degli abitanti del comune; che RAGIONE_SOCIALE è una società a totale capitale pubblico che gestisce il servizio idrico in regime di ” in house providing ” per concessione dell’ATO3, e quindi opera nell’interesse della collettività, non di singoli privati; che la destinazione oggettiva dell’immobile è particolare ed è riconosciuta dalle norme, in quanto l’art. 1 del D.M. 701/1994 richiede che nel modello DOCFA sia indicata la destinazione particolare dell’immobile; che si dovesse considerare i soli aspetti oggettivi, come la destinazione particolare ed effettiva del bene. Ha inoltre evidenziato che le tariffe per il servizio idrico sono stabilite per coprire i costi, senza includere un utile di impresa e che l’immobile non presenta parti a destinazione industriale o commerciale con autonoma funzionalità.
Avverso la suddetta sentenza di gravame l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi di ricorso.
L’intimata non ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 e successive modificazioni, e del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142 e il d.p.r. 23 marzo 1998, n. 138.
1.1. Si contesta, in particolare, alla CTR, di aver dato priorità alla natura pubblica dell’attività e all’assenza di scopo di lucro nell’attività svolta nell’immobile, piuttosto che alle caratteristiche oggettive e alla destinazione funzionale del bene, in violazione della normativa catastale e della giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma, 1 n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione di diritto, ed in particolare dell’art. 2, comma 40, e del D.L. n. 262/2006, convertito nella Legge n. 286/2006, e D.M. 02/01/1998, n. 28.
1.3. La CTR avrebbe errato in quanto l’unità immobiliare in questione, oltre ad avere destinazione industriale, possiede anche il requisito dell’autonomia funzionale e reddituale. Avrebbe dovuto fare riferimento alla definizione di unità immobiliare fornita dall’art. 2 del D.M. n. 28/1998, secondo cui un’unità immobiliare è una porzione di fabbricato, un fabbricato, un insieme di fabbricati o un’area che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale. Il fatto che la stessa SMAT abbia costituito catastalmente l’immobile dimostra che esso è considerato un’unità immobiliare dotata di autonomia. Dunque, poiché i giudici
della CTR hanno erroneamente valutato i presupposti fattuali (presunta assenza di autonomia dell’immobile), le loro conclusioni sul classamento nel gruppo E sono anch’esse errate: l’immobile in questione non solo è destinato ad attività industriale, ma è anche autonomo e redditizio. La circostanza che la società RAGIONE_SOCIALE non operi con finalità di lucro è irrilevante ai fini del classamento catastale, dato che la normativa e la prassi amministrativa si basano sulle caratteristiche oggettive e funzionali dell’immobile.
I motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
La questione relativa alla classificazione catastale degli impianti di depurazione e smaltimento di acque reflue è stata già affrontata e decisa da questa Corte con soluzione uniforme – salvo un isolato precedente di segno contrario (Cass., Sez. 6^-5, 19 febbraio 2015, n. 3358) – a cui si ritiene di poter dare continuità in questa sede (da ultime, in senso conforme: Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2019, n. 9427; Cass., Sez. 5″, 2 febbraio 2021, n. 2247; Cass., Sez. 5^, 8 luglio 2021, n. 19393; Cass., Sez. 5^, 13 luglio 2021, n. 19873).
2.1. Come già evidenziato (Cass. 8/02/2022, n. 3921; Cass. 13/12/2021, n. 39594) la qualificazione nel gruppo E è propria di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri ecc.), con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale che li rende sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale. Una conferma di tale impostazione è data dalla L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, a tenore del quale: «Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale». Dal che si evince come la legge instauri una vera e propria incompatibilità
tra classificazione in categoria «E», da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale.
2.2. Tale assunto trova convalida giurisprudenziale nel consolidato indirizzo di questa Corte secondo il quale « In tema di classamento, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del d.l. n. 262 del 2006, convertito, con modificazioni, nella legge n. 286 del 2006, nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale, e, cioè, alla luce del combinato disposto degli artt. 5 del r.d.l. n. 652 del 1939 e 40 del d.P.R. n. 1142 del 1949, immobili per se stessi utili o atti a produrre un reddito proprio, anche se utilizzati per le finalità istituzionali dell’ente titolare» (Cass. n. 20026/15, 7868/2016, 4223/2019 e 9427/2019).
2.3 Sulla scorta di tali principi questa Corte ha puntualizzato, proprio in materia di impianti di depurazione delle acque, che «…. dal che si evince come la citata norma instauri una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria “E”, da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro lato, sicché diventa dirimente, ai fini della valutazione del corretto censimento del immobile, accertare se la gestione dell’impianto di depurazione presentasse gli obiettivi caratteri della economicità intesa quale perseguimento del cosiddetto lucro oggettivo ossia il rispetto di un criterio di proporzionalità tra costi e ricavi nel senso che questi ultimi tendono a coprire i primi remunerando i fattori produttivi (in termini: Cass., Sez. 5, 4 aprile 2019, n. 9427). Diversamente da quanto affermato dalla controricorrente, è irrilevante la destinazione dell’impianto di depurazione ad una attività di pubblico interesse. Difatti, l’interesse generale allo svolgimento dell’attività non esclude che quest’ultima sia esercitata secondo parametri essenzialmente
imprenditoriali intesi come attitudine alla copertura dei costi e del capitale investito con i ricavi conseguiti attraverso l’applicazione di tariffe (così:Cass., Sez. 5, 23 maggio 2018, n. 12741, in tema di classamento catastale di impianto di discarica per la gestione di rifiuti solidi urbani e la captazione di biogas; Cass., Sez. 5, 23 gennaio 2020, n. 17022, in tema di classamento catastale di impianto di compostaggio di rifiuti).
2.3.1. La normativa di settore (L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 9, comma 1: ” I comuni e le province di ciascun ambito territoriale ottimale di cui all’art. 8, entro il termine perentorio di sei mesi dalla delimitazione dell’ambito medesimo, organizzano il servizio idrico integrato, come definito dall’art. 4, comma 1, lett. f), al fine di garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità”; D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 141:”Il servizio idrico integrato è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie”; del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 154, comma 1, nel testo modificato, all’esito del referendum abrogativo disposto col D.P.R. 23 marzo 2011, dal D.P.R. 18 luglio 2011, n. 116, art. 1, comma 1: “La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo”), con riferimento alla y gestione del servizio idrico
integrato, richiama i principi di efficienza, efficacia ed economicità. Posto che sono classificabili come “servizi a rilevanza economica” (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 113, nel testo novellato dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 35) tutti quei servizi pubblici locali assunti dall’ente competente laddove la tariffa richiedibile all’utente sia potenzialmente in grado di coprire integralmente i costi di gestione e di creare un utile d’impresa che non deve essere di modesta entità, l’inquadramento del servizio idrico integrato in tale schema è stato confermato dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 325 del 3 novembre 2010 e n. 187 dell’8 giugno 2011, affermandosene la riconducibilità alle materie della “tutela della concorrenza” e della “tutela dell’ambiente”, che pertengono alla esclusiva competenza legislativa dello Stato (art. 117 Cost., comma 2, lett. e e lett. s). Del pari, la giurisprudenza di legittimità ha messo in risalto che la tariffa del servizio idrico integrato configura ormai il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, che trova fonte, non in un atto autoritativo direttamente incidente nel patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza (Cass., Sez. 5, 6 giugno 2014, n. 12763; Cass., Sez. 5, 6 giugno 2014, n 12769), confermando l’ispirazione della relativa gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, in coerenza con il requisito teleologico minimo per l’assunzione della qualifica imprenditoriale (art. 2050 c.c.). In linea con tale impostazione, la circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate il 16 maggio 2006 n. 4 del 2006 ha chiarito (par. 3.1.3, lett. c), che le costruzioni tese ad ospitare impianti industriali mirati al trattamento delle acque reflue sono tipiche di processi industriali o, comunque, produttivi e, pertanto, la categoria da attribuire agli immobili che le ospitano è da individuare nel gruppo “D”. Né la natura economica dell’attività viene meno per la circostanza che a gestire il servizio pubblico sia direttamente l’ente territoriale piuttosto una azienda municipalizzata o una società partecipata dal Comune in
quanto ciò che rileva ai fini del classamento catastale sono le caratteristiche dell’immobile e la sua destinazione funzionale »(cfr. Cass. 2247/2021).
2.4 Alla luce delle suesposte argomentazioni, sono destituiti di fondamento i rilievi di cui alla gravata sentenza, che fanno leva, oltre che sull’attività di pubblico interesse esercitata dalla RAGIONE_SOCIALE, sulla natura della contribuente di società gestita in house, senza alcun fine di lucro.
2.5 Si ribadisce, infatti, l’irrilevanza, ai fini dell’inquadramento catastale dell’immobile destinato ad un servizio di interesse generale offerto con modalità imprenditoriali in un determinato mercato, dell’affidamento del servizio ad una società partecipata.
2.6 La Commissione Tributaria Regionale ha errato nell’affermare che gli impianti vanno inseriti nella categoria del gruppo «E» anziché in categoria “D”, sull’erroneo presupposto che la destinazione a servizio pubblico fosse incompatibile con la natura imprenditoriale dell’attività svolta da una società a rilevante partecipazione pubblica.
2.7. Invero, l’interesse generale cui allude la gravata sentenza non esclude né l’autonomia funzionale e reddituale di unità immobiliari ad uso commerciale – secondo lo specifico ordinamento catastale né la loro stessa rilevanza nell’ordinamento eurounitario -in tema di aiuti di Stato e di concorrenza -sotto il profilo dell’identificazione di un’impresa la cui nozione si correla, a prescindere dal suo status giuridico, allo svolgimento di un’attività economica (v., tra le tante, CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P, RAGIONE_SOCIALE , punti 103 ss.; CGUE, 27 giugno 2017, causa C-74/16, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania , punto 50; CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C-49/07, MOTOE , punti 27 e 28; CGUE, 11 settembre 2007, Schwarz e RAGIONE_SOCIALE , procedimento C-76/05, punto 39;
CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze , punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, COGNOME e altri , punti 74 e 75).
2.8. Infine, con riferimento alla fattispecie in analisi, deve rilevarsi anche che il requisito dell’autonomia funzionale e reddituale è acclarato dal fatto che la stessa SMAT abbia costituito catastalmente l’immobile, che dunque deve essere considerato come un’unità immobiliare dotata di autonomia.
2.9. I motivi sono dunque fondati.
Atteso che nelle controdeduzioni in appello, come prodotte dalla Agenzia, la parte risulta aver reiterato la richiesta di esame delle questioni rimaste assorbite, il ricorso va cassato con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria.
3.1. In conclusione, in accoglimento del ricorso la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte in diversa composizione la quale, oltre a regolamentare le spese del presente giudizio di legittimità si atterrà al principio già da questa Corte enunciato (Cass. 8/02/2022, n. 3921): «In tema di classificazione catastale, poiché l’attività di gestione del servizio idrico ha natura economica, i relativi impianti industriali di depurazione e smaltimento delle reflue non rientrano tra le unità immobiliari catastalmente censibili nella categoria E, che è propria di quei fabbricati con una caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale tale da renderli sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica commerciale e produttiva, ma rientrano nel gruppo D, tipico delle costruzioni che ospitano processi industriali e, nel caso di depuratore, nella categoria D/7, senza che la destinazione a servizio pubblico possa ritenersi incompatibile con la natura imprenditoriale dell’attività svolta da società a rilevante partecipazione pubblica».
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24/04/2025.