Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 578 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 578 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3581/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COMUNE COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 2527/2019 depositata il 13/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
I contribuenti indicati in epigrafe impugnavano gli avvisi accertamento Ici per l’annualità di imposta 2010, concernenti il fabbricato accatastato in categoria D/10 (mappale 11, sub 701, fl. 51), assumendo l’irrilevanza della esistenza della convenzione di Piano di recupero edilizio, essendo gli immobili ancora destinati ad attività agricola (cfr. pag. 3 della sentenza della CTR impugnata), chiedendone l’annullamento nella parte in cui il Comune aveva assoggettato ad Ici il fabbricato accatastato in cat. D/10 e l’area ‘pertinenziale’ di mq 6.250.
La CTP di Milano respingeva il ricorso, sul rilievo che i contribuenti non avevano fornito la prova della strumentalità del cespite all’attività agricola e ritenendo congruo il valore attribuito alle aree di cui al fl. 51 ricavato dal valore di cui alla Convenzione, affermandone l’autonoma capacità edificatoria.
Sull’appello di NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME la CTR della Lombardia, nel confermare la decisione di prime cure, respingeva l’impugnazione, affermando che: dalla documentazione prodotta dal Comune risultava che il fabbricato oggetto della controversia risultava dismesso dall’attività agricola e oggetto di interventi di trasformazione edilizia; che nell’anno 2010, i contribuenti non svolgevano attività agricola; che dal parere dell’Arpa risulta che gli immobili da rurali cambiano destinazione d’uso in quanto inseriti in un Piano di recupero a destinazione residenziale; che nell’autorizzazione dirigenziale del parco agricolo si legge che i data 8 luglio 2011 si rilascia autorizzazione a
realizzare gli interventi di completamento del piano di recupero sugli edifici in quanto inserito in un Piano di trasformazione edilizia.
I contribuenti ricorrono per la cassazione della sentenza n. 2527/2019 sulla base di quattro motivi.
Replica con controricorso l’amministrazione comunale di Peschiera Borromeo.
MOTIVI DI DIRITTO
Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., ex art. 360, primo comma, n.3), c.p.c.; per avere il decidente omesso di pronunciare sull’eccezione pregiudiziale di giudicato formulata con le memorie in sede di appello, ove era stata allegata l’esistenza della sentenza della CTP di Milano n. 2666/2018, ormai definitiva, che aveva accolto il ricorso dei contribuenti in merito alla ruralità dei fabbricati.
L’eccezione di giudicato esterno va disattesa.
2.1.In materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, con la conseguenza che lo stesso è escluso nelle fattispecie “tendenzialmente permanenti”, in quanto suscettibili di variazione annuale (Cass. 17760/2018; Cass. n. 31084 del 28/11/2019; Cass. n. 25516 del 10/10/2019).
L’oggetto del giudicato tributario ha, dunque, una estensione limitata alla mera statuizione relativa all’esistenza del diritto all’annullamento dell’atto impugnato: quindi, resta estraneo alla res iudicata ogni antecedente logico della decisione, quale la ricostruzione dei fatti posti a fondamento dell’atto impugnato, la fondatezza dei motivi di ricorso e l’apparato motivazionale addotto dal giudice a sostegno della sentenza. L’oggetto della res iudicata
non ricomprende neppure le valutazioni rese in ordine alle prove portate dall’Amministrazione a sostegno della pretesa fiscale, le quali, pertanto, possono essere poste a fondamento di ulteriori atti impositivi e versate in successivi giudizi, non risultando preclusa al giudice la facoltà di interpretare in modo autonomo gli strumenti probatori dedotti dalle parti, in relazione ai successivi provvedimenti che presuppongono diverse situazioni fattuali. Il principio è stato precisato da questa Corte, con sentenza n. 857 del 2010, che ha chiarito : “Il vincolo del giudicato esterno non opera nell’ipotesi di valutazione delle prove in ordine a diverse annualità, non potendo precludersi al secondo giudice il potere di valutare in modo autonomo e discrezionale le prove che gli sono offerte dalle parti, che in periodi temporalmente distinti possono presupporre fatti differenti, tanto più quando la sentenza definitiva sia errata ed in assoluto contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità” (V. anche Cass. n. 26313 del 2009, Cass. n. 25142 del 2009 e Cass. n. 22036 del 2006).
Del resto, nella fattispecie, l’accertamento di cui al menzionato giudicato (annualità 2011) in merito alla ruralità del fabbricato ed alla pertinenzialità di parte dell’area circostante non può essere esteso alle annualità di imposta ad esso precedenti, tenuto conto che detto accertamento si fonda sull’interpretazione della normativa di settore e sulla valutazione della documentazione prodotta dal Comune. E’ noto che l’interpretazione delle norme giuridiche compiuta dal giudice non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro giudice, la quale, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può incontrare vincoli, non trovando riconoscimento, nell’ordinamento processuale italiano, il principio dello stare decisis (Cass. n. 211/2024; Cass, n. 5822 del 05/03/2024).
3.Il secondo mezzo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 36 d.lgs. 546/1992 e 132 c.p.c. per manifesta contraddittorietà della
motivazione, ex art. 360, primo comma, n.4), c.p.c.; per avere i giudici distrettuali ribadito i principi giuridici affermati dalle S.U. con sentenza n. 18565 del 2009 – nella parte in cui hanno statuito che qualora l’immobile sia iscritto in una categoria catastale diversa da quella dei fabbricati rurali (A/6 e D/10), è onere del contribuente che pretende l’esenzione impugnare l’atto di classamento, così come è onere del Comune impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 e D/10 al fine di poter pretendere legittimamente l’assoggettamento del fabbricato all’imposta comunale – per poi concludere che, alla luce dei principi di legittimità affermati dalle S.U., i contribuenti avrebbero dovuto attivarsi per la variazione catastale.
3.La terza censura denuncia violazione dall’art. 9, comma 3-bis, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. con legge 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23, comma 1-bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 (conv. con legge 27 febbraio 2009, n. 14: interpretazione autentica dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, così interpretato in connessione con l’art. 360, primo comma, n.3), c.p.c. , per avere il giudicante escluso la rilevanza dell’accatastamento in categoria D/10 del fabbricato rurale e dell’area denunciata come ad essa pertinenziale pari a m. 6.250, in quanto già ricompresa nella determinazione della rendita catastale attribuita dall’Ufficio, pur avendo il Comune omesso di impugnare la categoria catastale attribuita dall’Agenzia delle Entrate.
4. Con il quarto motivo di ricorso per cassazione si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3), c.p.c.; per avere il Collegio d’appello ignorato la documentazione prodotta dai ricorrenti quale la denuncia di accatastamento contenente la dichiarazione di pertinenzialità dell’area indicata, la cui rendita catastale è stata valutata in quella del fabbricato rurale dalla stessa
Agenzia, la visura camerale della società esercente attività agricola, il modello unico dell’ente, la qualifica di coltivatori dirett i, il fascicolo aziendale della società (allegati nn. 3, 4, 5 e 6 del ricorso introduttivo). Si aggiunge (a pagina 27 del ricorso per cassazione) che i documenti prodotti dal Comune non concernono i fabbricati rurali indicati negli avvisi di accertamento opposto, bensì una diversa area assoggettabile ad Ici.
La seconda e la terza censura possono essere congiuntamente scrutinate concernendo questioni strettamente connesse tra loro; esse, da ritenere ammissibili, diversamente da quanto sostenuto in controricorso, perché adeguatamente formulate, sono fondate nei limiti di seguito indicati, assorbito l’ultimo mezzo di ricorso.
In linea di principio, la rilevanza delle caratteristiche oggettive della ruralità, per gli immobili iscritti nel catasto dei fabbricati come rurali, è stata esclusa dalle Sezioni Unite di questa Corte anche alla luce dello ius superveniens, con particolare riguardo all’emanazione di due norme interpretative (entrambe con efficacia retroattiva), vale a dire: A) il comma 3-bis dell’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, come introdotto dall’art. 42-bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, secondo cui: «Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate: a) alla protezione delle piante; b) alla conservazione dei prodotti agricoli; c) alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento; d) all’allevamento e al ricovero degli animali; e) all’agriturismo; f) ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di
collocamento; g) alle persone addette all’attività di alpeggio in zona di montagna; h) ad uso di ufficio dell’azienda agricola; i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228; l) all’esercizio dell’attività agricola in maso chiuso»; B) il comma 1-bis dell’art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, secondo cui: «Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni». Nel prendere in esame, in particolare, quest’ultima disposizione (successiva e presupponente quella introdotta dall’art. 42-bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14), le Sezioni Unite hanno tratto argomento per affermare come la disciplina sopravvenuta, lungi da smentire la necessaria rilevanza, ai fini ICI, della classificazione catastale, l’abbia ulteriormente confortata e resa imprescindibile; al punto che l’obiettivo di sottrarre il fabbricato strumentale all’imposizione di un tributo che trova il suo presupposto proprio nella natura di fabbricato accatastato o accatastabile del cespite (artt. 1 e 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504) è stato perseguito dal legislatore (ex art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14) mediante, non già l’esenzione dalla classificazione in categoria catastale di ruralità, bensì – e più in radice – attraverso l’espunzione di tali unità immobiliari, così
accatastate, dalla nozione legislativa medesima di ‘fabbricato’ (Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, n. 18565 -nello stesso senso: Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., Sez. 5^, 20 marzo 2019, n. 7799; Cass., Sez. 5^, 7 agosto 2019, n. 21097; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, nn. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894).
Per cui, riaffermando la «decisività della classificazione catastale come elemento determinante per escludere, o affermare, l’assoggettabilità ad ICI di un fabbricato», le Sezioni Unite hanno osservato che la norma da ultimo citata, di natura interpretativa, «sostanzialmente conferma che la ruralità del fabbricato direttamente ed immediatamente rileva ai fini della relativa classificazione catastale, ma ricollega a questa conseguita classificazione l’esclusione del fabbricato (catastalmente riconosciuto come) rurale dalla stessa nozione di fabbricato imponibile ai fini ICI» (Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, n. 18565). Affermazione, quest’ultima, certamente valida anche nell’interpretazione del comma 3-bis dell’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 134 (Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2019, n. 10283). La stessa conclusione deve essere riaffermata alla luce dell’ulteriore ius superveniens (d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106; d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124), che ha attribuito al contribuente la facoltà di presentazione di domanda autocertificata di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie di ruralità A/6 e D/10, con effetto per il quinquennio antecedente (Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2016, n. 7930; Cass., Sez. 5^, 7 agosto 2019, n. 21094).
Per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di ICI – ma altrettanto vale anche in tema di IMU-, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale del cespite come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (rispettivamente, A/6 o D/10), con il conseguente onere di impugnazione del diverso classamento da parte di chi richieda il riconoscimento del requisito di ruralità; né può ritenersi sufficiente a determinare la variazione catastale, nei limiti del quinquennio anteriore, la mera autocertificazione secondo le modalità di cui all’art. 7, comma 2-bis, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011, n. 106, e delle norme successive, se il relativo procedimento non si sia concluso con la relativa annotazione in atti, atteso che, come sottolineato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 31 maggio 2018, n. 115), il quadro normativo, ivi comprese le disposizioni regolamentari di cui al d.m. 26 luglio 2012, porta ad escludere l’automaticità del riconoscimento della ruralità per effetto della mera autocertificazione (tra le tante: Cass., Sez. 6^-5, 30 giugno 2017, n. 16280; Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2017, n. 26617; Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., Sez. 5^, 19 dicembre 2019, n. 33932; Cass., Sez. 6^-5, 13 ottobre 2020, n. 22124; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9971; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17038; Cass., Sez. 5^, 24 giugno 2021, n. 18266; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894). L’art. 7, comma 2 -bis, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il termine del 30 settembre 2011, poi prorogato al 30 settembre 2012) di presentare all’allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per
l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di un’autocertificazione attestante la presenza nell’immobile dei requisiti di ruralità di cui all’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 133, e modificato dall’art. 42-bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, «in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda». L’art. 13, comma 14-bis, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 ha stabilito che le domande di variazione di cui al predetto d.l. 13 maggio 2011, n. 70 producessero «gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo». Ancora, l’art. 1 del d.m. 26 luglio 2012 ha disposto che: «Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133». L’art. 2, comma 5 -ter, del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, ha poi stabilito che: «Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14 bis, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale
presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2-bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda». Si tratta, infatti di disposizioni che disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione da ICI, sulla base di una procedura ad hoc, che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme (Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2020, n. 29864; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894).
6. Ora, nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto erroneamente non esenti dall’Ici gli immobili in oggetto sul presupposto che gli stessi non fossero strumentali all’attività agricola in quanto compresi in un Piano di recupero edilizio e soprattutto in quanto dalla documentazione prodotta dal Comune risultava la dismissione dall’attività agricola del fabbricato, nonch é il cambio di destinazione d’uso in quanto inseriti in piani di recupero a destinazione residenziale, ed infine oggetto di demolizione come da autorizzazione dirigenziale del luglio 2011.
Sennonché, la documentazione prodotta dal Comune legittimava l’ente locale ad impugnare l’attribuzione della categoria catastale D/10 al fine di ottenere l’annullamento dell’accatastamento, non avendo l’amministrazione comunale la facoltà di imporre l’ICI sui
fabbricati rurali senza prima impugnarne l’accatastamento ovvero chiederne la rettifica. Tuttavia, le censure meritano accoglimento per questo profilo esclusivamente rispetto al fabbricato accatastato in categoria D/10. Con riferimento all’area pertinenziale di mq 6.250, la C.T.R. ne ha statuito (pagina 6 della sentenza d’appello) l’esclusione dalla esenzione in mancanza della previa denuncia di pertinenzialità con la conseguente carenza di prova dell’asserito asservimento pertinenziale che si fonda su un requisito oggettivo e fattuale, quale la destinazione effettiva e concreta dell’area ad ornamento o al miglior godimento del fabbricato di cui all’art. 817 c.c..
In realtà, la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare non l’esistenza di una previa denuncia di ‘pertinenzialità’, bensì se come assume il ricorrente -l’area era stata accatastata come pertinenziale al fabbricato rurale già in categoria D/10 ed inclusa nella rendita catastale complessivamente attribuita dall’Agenzia.
Ne segue, in accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, che la sentenza andrà cassata e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per l’accertamento della annotazione in catasto come area pertinenziale al fabbricato in categoria D/10 dell’area di 6.250 mq.
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, respinto il primo ed assorbito l’ultimo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili indicati in motivazione e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
Roma, 18 dicembre 2024.