Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9381 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9381 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22840 -2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME NOME
rappresentate e difese dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 13/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 9/1/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’11/3/2025 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME COGNOME propongono ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale del Piemonte aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 964/2018 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, in rigetto dei ricorsi, riuniti, proposti dalle contribuenti avverso avvisi di accertamento, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato la rendita catastale, proposta con denuncia DOCFA, relativa a unità immobiliari delle medesime, riqualificandole dalla categoria A/7 alle categoria A/8, classe 2.
Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il secondo motivo le contribuenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., nullità della sentenza impugnata per motivazione meramente apparente in relazione al contestato classamento, non avendo la Commissione tributaria regionale chiarito «i parametri di riferimento ai quali riferire il pregio, l’ampiezza e l’elevata superficie … al fine dell’inquadramento in A/8».
1.2. Con il quarto motivo, le ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente «in relazione al denunciato vizio di motivazione dell’avviso di accertamento» avendo la Commissione tributaria regionale ritenuto «sufficiente la motivazione basata sulla semplice indicazione
della ‘consistenza e dati catastali’ anziché su un’analisi sostanziale degli immobili in stima».
1.3. Le doglianze, da esaminare congiuntamente e preliminarmente, in quanto strettamente connesse, vanno disattese.
1.4. Come noto, le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno sancito che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili», di «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»; si è ulteriormente precisato che di «motivazione apparente» o di «motivazione perplessa e incomprensibile» può parlarsi laddove essa non renda «percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (cfr. Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016); in ossequio si è ribadito che la motivazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (cfr. Cass. n. 13248 del 2020).
1.5 Nella fattispecie in esame la sentenza impugnata esplicita in maniera sufficiente, consentendo così il controllo del percorso logico -giuridico che ha portato alla decisione, la ratio decidendi circa la legittimità della classificazione catastale dell’Ufficio, condividendo e richiamando, da una parte, la motivazione della sentenza di primo grado e, dall’altra, evidenziando che dall’atto notarile di divisione della proprietà emergeva trattarsi di «immobili siti in zona di pregio, con ampio terreno pertinenziale, di elevata superficie abitabile», e che la motivazione degli avvisi di accertamento, «basata solo su consistenza e dati catastali», non
poteva ritenersi carente in quanto «fondata sui medesimi fatti indicati dal contribuente nella docfa».
2.1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano, in rubrica, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., «violazione e falsa applicazione del D.M. 701/94» per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto adeguatamente motivato l’atto impugnato rigettando le doglianze delle contribuenti secondo le quali è «l’Ufficio procedente -dato un determinato DOCFA, anche non contestato nella consistenza e negli elementi indicati dal contribuente – a dover indicare e motivare perché ritiene che, in presenza di quelle consistenze e caratteristiche, l’immobile abbia una categoria diversa da quella risultante al contribuente, in ossequio agli obblighi motivazionali dei provvedimenti amministrativi posti a suo carico dalla legge (art. 3 L. 241/90 e 7 L. 212/2000)».
2.2. La doglianza va parimenti disattesa.
2.3. Secondo la consolidata e conforme giurisprudenza di questa Corte, in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, quando gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall’Ufficio e l’eventuale differenza tra la rendita proposta e quella attribuita derivi da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni, mentre, nel caso in cui vi sia una diversa valutazione degli elementi di fatto, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (cfr. Cass. nn. 25144 del 2024, 25682 del 2023, 4955 del 2021, 12777 e 31809 del 2018, 12497 del 2016).
2.4. La fattispecie in disamina è chiaramente riconducibile a tale ipotesi, giacché i dati forniti dalle contribuenti non sono stati disattesi, ma soltanto rivalutati dall’amministrazione finanziaria con riferimento all’attribuzione della rendita dell’immobile, per cui, è possibile (e, il più delle volte, accade) che l’eventuale difformità tra la classificazione
denunciata dal contribuente e la classificazione accertata dall’amministrazione finanziaria nell’ambito della procedura DOCFA derivi da una diversità di valutazione, qualificazione o inquadramento dei medesimi elementi di fatto (descrizioni, misure, grafici e planimetrie), che vengono elaborati sulla base dei criteri tecnici fissati dalla disciplina regolamentare in materia catastale, il che esime, comunque, l’amministrazione finanziaria dall’onere di formulare una motivazione più particolareggiata per l’atto di riclassamento con specifico riguardo alle discrepanze emerse all’esito dell’accertamento rispetto alla proposta del contribuente (cfr. Cass. n. 3104 del 2021).
2.5. Nel caso di specie, secondo l’accertamento fattone dal giudice di appello, l’avviso di accertamento con rettifica di rendita rinveniente da procedura DOCFA -conteneva, dunque, tutti gli elementi descrittivi e valutativi della nuova rendita, idonei a porre in grado le contribuenti di adeguatamente ed immediatamente percepire i presupposti di fatto e le ragioni di diritto della pretesa, evidenziandosi nella sentenza impugnata che «non essendovi stata contestazione sulla consistenza o altri elementi indicati dalle parti l’obbligo motivazionale dell’Ufficio si esaurisce con l’indicazione dei dati catastali e della rendita, in considerazione che non sono indicate opere di ristrutturazione o modifiche strutturali rispetto alla precedente classificazione, avvenuta peraltro sempre con procedura docfa, validata dall’Ufficio, che proponeva la cat. A8».
3.1. Con il terzo motivo le contribuenti denunciano, in rubrica, «violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 … omesso esame di elementi di prova dedotti» per avere la Commissione tributaria regionale omesso di valutare «che le unità immobiliari delle …(ricorrenti)… non possiedono alcuna delle caratteristiche individuate dalla Tabella al DM 1072/1969 (caratteristiche del lusso), solitamente proprie delle massime categorie catastali (quali è l’A/8) …; che gli immobili in A/8 presi a paragone nell’accertamento hanno caratteristiche intrinseche ed estrinseche del tutto differenti da quelli in giudizio, come risulta dettagliato nella relazione del Geom. COGNOME in cui si compara stile architettonico e rifiniture, anche mediante
materiale fotografico …; che le unità immobiliari non hanno autonomia funzionale in quanto condividono sia l’accesso che il giardino … ».
3.2. Le doglianze sono infondate.
3.3. Occorre premettere che la legge non pone una specifica definizione delle categorie e classi catastali, sicché la qualificazione in termini di «signorile», «civile», «popolare» – di cui alla nota C-1/1022 del 4.5.1994 del Ministero delle Finanze esplicativa delle varie categorie catastali – di un’abitazione costituisce il portato di un apprezzamento di fatto da riferire a nozioni presenti nell’opinione generale alle quali corrispondono specifiche caratteristiche, che sono, pure, mutevoli nel tempo, sia sul piano della percezione dei consociati sia sul piano oggettivo, per il deperimento dell’immobile, o per il degrado dell’area ove lo stesso si trovi (così Cass. n. 22557 del 2008, in motivazione).
3.4. Le anzidette caratteristiche non vanno, tuttavia, mutuate dal D.M. 2 agosto 1969 che indica, invece, i diversi parametri in base ai quali stabilire la caratteristica «di lusso» delle abitazioni, e ciò in quanto l’attribuzione della categoria catastale A/1 (Abitazioni di tipo signorile: Unità immobiliari appartenenti a fabbricati ubicati in zone di pregio con caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifiniture di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo residenziale) non implica, necessariamente, che l’immobile costituisca un’abitazione di lusso (cfr. Cass. n. 2250 del 2021; Cass. n. 33927 del 2019; Cass. n. 10283 del 2019).
3.5. È, infatti, opportuno precisare che, mentre il procedimento di classamento è volto all’attribuzione di categoria e classe alle unità immobiliari e della relativa rendita, la qualificazione di un’abitazione in termini «di lusso» è finalizzata al diverso scopo di precludere l’accesso a talune agevolazioni, e la relativa connotazione presuppone, appunto, la ricorrenza di specifici requisiti in relazione alle otto, diverse, tipologie di abitazioni indicate dal menzionato D.M. del 1969 (riferite: alla destinazione a «ville», «parco privato» delle aree su cui sorgono, ovvero alla relativa qualifica ad opera degli strumenti urbanistici come «di lusso»; all’estensione del lotto sul quale sorgono; al rapporto tra la relativa cubatura e la superficie asservita; alla dotazione di piscina o
campi da tennis di precise caratteristiche; costituenti alloggio padronale; all’estensione della superficie utile complessiva superiore a mq. 240; al rapporto tra costo del terreno coperto rispetto al costo di costruzione; alla presenza di oltre quattro caratteristiche indicate nell’allegata tabella).
3.6. La conclusione qui adottata trova conforto nella previsione del d.l. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3, lett. e), convertito in l. n. 133 del 1994, secondo cui non possono esser riconosciuti rurali «i fabbricati ad uso abitativo che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 2 agosto 1969».
3.7. La congiunzione disgiuntiva adoperata dalla norma depone, appunto, nel senso della mancata coincidenza dei requisiti che devono possedere gli immobili da classificare nella categoria A1 (ed A8) rispetto a quelli delle abitazioni aventi caratteristiche di lusso.
3.8. L’impugnata sentenza correttamente, dunque, ha ritenuto la congruità del classamento non in relazione ai requisiti indicati al punto 8 del d.m. 2 agosto 1969 (presenza di oltre quattro caratteristiche indicate nell’allegata tabella), ma alle caratteristiche proprie della categoria catastale A/8.
3.9. Nel caso di specie si controverte, invero, del classamento dell’immobile de quo in categoria A/8 o A/7.
3.10. Questa Corte, proprio in riferimento ad una controversia incentrata sul medesimo tema, ha affermato quanto segue: «Il classamento non è oggi disciplinato da precisi riferimenti normativi: la legge si limita, infatti, a prevedere la elaborazione di un reticolo di categorie e classi catastali e demanda la elaborazione di tali gruppi, categorie e classi all’Ufficio tecnico erariale (d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 9). L’ufficio tecnico erariale procede sulla base di istruzioni ministeriali anche piuttosto risalenti nel tempo (è tuttora utile in proposito la circolare n. 134 del 6 luglio 1941, integrata dalla istruzione 2 del 24 maggio 1942). Di fatto, mentre è pressoché uniforme in tutto il territorio nazionale la suddivisione in cinque gruppi (A, B, C, D, E) articolati in numerose categorie (Al, A2, A3, …), sono assai incerti i criteri
in forza dei quali un immobile rientri nelle diverse categorie: vada ad esempio classificato come A2 (abitazione di tipo civile) piuttosto che come A3 (abitazione di tipo economico). Nel suo “quadro generale delle categorie con annesso massimario” contenuto nella citata circolare 134 del 1941 il Ministero avvertiva in riferimento alle prime otto classi della categoria A, che “trattandosi di qualificazione relativa e variabile da luogo a luogo, deve corrispondere al significato che ha localmente”; qualche maggiore precisazione è oggi contenuta nella circolare ministeriale 14 marzo 1992, n. 5/3/1100, ma siamo sempre a livello di mere istruzioni amministrative, di cui si tiene conto in quanto possibile espressione di un “comune sentire”. Proprio in considerazione di queste difficoltà, ai fini della applicazione delle agevolazioni fiscali “prima casa”, il legislatore ha creato un’apposita categoria di “abitazioni di lusso” che non ha preciso riscontro nelle classi catastali (tanto che si nega che essa coincida con la categoria catastale A1). Queste difficoltà si riflettono sulla distinzione fra “A/7 – abitazioni in villini” e “A/8 – abitazioni in ville”. Si ritiene di dover affermare che ciò che caratterizza la “villa” non sono soltanto le dimensioni, quanto le attrezzature di cui dispone, le caratteristiche interne, il pregio degli infissi e degli ornamenti, la collocazione, il rapporto con il territorio, le vie di accesso. Nel linguaggio comune (ripreso dal legislatore) edifici simili vengono chiamati “villa” se collocati in località di lusso e “villini” se collocati in aree di minor pregio. Altro è poi se le vie di comunicazione sono difficoltose in quanto l’edificio è collocato in una pregiata località montuosa o panoramica, altro è se l’isolamento non è espressione di un lusso bensì, più banalmente, determina una scomodità. La circolare ministeriale 5/1992 afferma, in proposito, come per “ville debbano intendersi quegli immobili caratterizzati essenzialmente dalla presenza di parco e/o giardino, edificate in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni o in zone di pregio con caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello superiore all’ordinario. Consistenza e dotazione di impianti corrispondenti a quanto indicato dall’Ufficio in sede di classamento automatico per l’attribuzione della categoria (punti 1, 3, 6, 8, 9, 10, 11, 12 e 14 dei prospetti 9)”. Mentre “per villino deve intendersi
un fabbricato, anche se suddiviso in unità immobiliari, avente caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifiniture proprie di un fabbricato di tipo civile o economico ed essere dotato, per tutte o parte delle unità immobiliari, di aree coltivate o no a giardino. Le unità immobiliari dovranno avere consistenza e dotazioni corrispondenti a quanto indicato dall’Ufficio in sede di classamento automatico per l’attribuzione della categoria (punti 1, 2, 3, 4, 6, 8, 12, 13, 14 e 15 dei prospetti 9)”. Ora, per parco non può certo intendersi la utilizzabilità di qualunque area verde, altrimenti tutte le abitazioni rurali sarebbero ville, bensì un’area con alberi destinata ed adattata al godimento degli abitanti, tanto più appetibile perché sita in zone di pregio o destinate, appunto, a ville. E si deve altresì valutare se l’immobile abbia “caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello superiore all’ordinario”» (cfr. Cass. n. 2704/2014; conf. Cass. n. 24797/2021).
3.11. La citata Nota del Ministero delle Finanze 4 maggio 1994, n. c-1/1022 prevede espressamente quanto segue: «Ville devono intendersi quegli immobili caratterizzati essenzialmente dalla presenza di parco e/o giardino, edificate di norma non esclusivamente in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni o in zone di pregio, con caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello generalmente superiore all’ordinario. Ampia consistenza e dotazione di impianti e servizi. Possono anche identificare immobili aventi rilevanti caratteri tipologici e architettonici in relazione all’epoca di costruzione».
3.12. Ciò posto, nella sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale ha evidenziato quanto segue circa l’unità immobiliare in oggetto: «Come viene compiutamente indicato nell’atto notarile di divisione della proprietà si tratta di immobili siti in zona di pregio, con ampio terreno pertinenziale, di elevata superficie abitabile.»
3.13. Sono state altresì riportate le argomentazioni dedotte dall’Ufficio a sostegno dell’atto impugnato, evidenziando che «… si tratta di una residenza, posta all’interno di un’area verde esclusiva che si estende per circa 12.000 mq situata nella Quarta Zona Censuaria Catastale di Torino, nella zona pre-collinare (… con…) consistenza pari a
18,5 vani… Tale situazione è rimasta invariata fino agli anni 2003-2005, periodo in cui il fabbricato stesso è stato oggetto di trasformazioni edilizie che hanno dato origine a più unità immobiliari, tra cui due unità residenziali. Tale operazione è stata denunciata in data 25/02/2005 con Docfa … del 2005 a firma …(di)… NOME (quale co-titolaredella società proprietaria) … Nel menzionato atto di aggiornamento, le abitazioni oggi in vertenza erano censite al foglio 1372, particella 30, subalterno 9 e subalterno 10 ed erano proposte entrambe, a cura dell’avente titolo, in categoria A/8 di seconda classe e consistenza, rispettivamente, pari a 10,5 vani e a 11,5 vani. In seguito a ciò, l’Ufficio, eseguiti gli opportuni controlli nell’ambito del DM 701/1994, validava il classamento così come proposto dalla proprietà. Il classamento degli immobili in vertenza è rimasto invariato sino al 2016, anno in cui è stato presentato un ulteriore atto di aggiornamento tramite procedura Docfa … per “Ampliamento” Con tale aggiornamento … si specificava che “a seguito di tipo mappale con frazionamento l’u.i.u. cambia identificativo ed inoltre viene rappresentata la corretta corte in proprietà di pertinenza”. Contestualmente, le abitazioni assumevano gli identificativi catastali attuali…».
3.14. Si tratta di elementi che rendono sostenibile l’eseguito riclassamento in categoria A/8.
3.15. Le doglianze mirano, dunque, in realtà, sebbene apparentemente formulate anche nel prisma della violazione di legge sostanziale e processuale, a suscitare una diversa valutazione del quadro fattuale (caratteristiche dell’immobile, sua ubicazione) già congruamente esaminato dai giudici di merito, con ciò tralasciando di considerare che una simile rivisitazione, estesa all’efficacia probatoria degli elementi istruttori acquisiti in giudizio, è senza dubbio preclusa in sede di legittimità (a maggior ragione, in assenza di un ammissibile motivo di natura motivazionale, precluso per «doppia conforme» ex art. 348 ter , c.p.c.).
3.16. È opportuno, inoltre, evidenziare che né la Circolare n. 5/92 della Direzione Generale del Catasto, né la Nota del Ministero delle
Finanze 4 maggio 1994, n. c-1/1022, dianzi richiamate, richiedono che la corte o giardino – che pure debbono necessariamente sussistere quale elemento differenziatore di ville (A8) e villini (A7) rispetto alle unità immobiliari classificabili come abitazioni di tipo civile A2 – debbano essere asservite ad uso esclusivo dell’immobile abitativo da censire (cfr. Cass. n. 9358 del 2024; Cass. n. 23391 del 2021 in motiv.).
3.17. Se l’esistenza di un giardino riservato ne legittima la rilevanza catastale come dipendenza ad uso esclusivo, la presenza di un giardino ad uso comune con altre unità abitative ne giustifica in effetti l’iscrizione come «bene comune non censito (BCNC)», ma ciò di per sé non preclude, nel concorso di tutte le altre caratteristiche tipologiche, l’inserimento del bene nella categoria A8 «villa».
3.18. In definitiva, risulta che il Giudice regionale abbia correttamente applicato la normativa catastale di riferimento.
Sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va integralmente respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità