Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 924 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 924 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4758/2018 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE nella qualità d’incorporante RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore pro-tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato
– controricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , Ufficio provinciale di Foggia – in persona del Direttore pro-tempore
–
intimata- avverso la sentenza n. 2866/2017, depositata il 2.10.2017, della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, Sezione distaccata di Foggia, n. 27;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
1.L’Agenzia delle Entrate, Ufficio provinciale di Foggia, in data 29.4.2014 e 12.6.2014 notificava alla RAGIONE_SOCIALE (cui, in seguito a conferimento di ramo d’azienda, a rogito di Notaio NOME COGNOME in Foggia, Rep. n. 16237, racc. n. 11.126, era succeduta la società ricorrente) gli avvisi di accertamento n. FG0075660/2014 e n. FG0108651/2014, relativi a 4 aerogeneratori, siti in agro del Comune di Biccari, Località INDIRIZZO di Suonno, di proprietà della detta società, con i quali ne rettificava il classamento e la rendita catastale.
La contribuente proponeva ricorso, che la CTP di Foggia, con sentenza n. 326/01/2015, accoglieva parzialmente riducendo il valore catastale.
La contribuente proponeva appello censurando la sentenza per difetto di motivazione, per illegittima classificazione negli immobili nella categoria D/1, invece che nella categoria E, e per erronea quantificazione della rendita.
Anche l’Ufficio proponeva appello avverso la sentenza della CTP, eccependo l’erronea determinazione del capitale fondiario.
La CTR, con la sentenza impugnata, in parziale accoglimento dell’appello dell’Ufficio e rigettato l’appello della contribuente, ha confermato l’accatastabilità degli aerogeneratori nella categoria D/1 e la quantificazione del capitale fondiario in euro 400.000,00 a MW installato.
Ha proposto ricorso la società contribuente, affidato a quattro motivi; in data 9 dicembre 2024 sRAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE, nella qualità d’incorporante la società ricorrente, ha depositato memoria .
6 . L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, rubricato ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del D. Lgs. 387/2003 e della direttiva 2001/77/CE e degli artt. 3, 23, 53, 97, comma 1, Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’, la società ricorrente censura la decisione impugnata sottolineando che gli impianti eolici, pur essendo produttivi di reddito di impresa, svolgono una notevole funzione di ‘utilità sociale’ e sono considerati dalla legge come aventi le caratteristiche di pubblico interesse e di pubblica utilità, la cui classificazione non può che essere ricompresa nella categoria E, come peraltro già riconosciuto per le stazioni di servizio per il rifornimento di carburante. Deduce, inoltre, che non è possibile invocare l’applicazione dell’art. 1 -quinques del d.l. n. 44 del 2005, convertito con l. n.88 del 2005, atteso che detta norma non poteva trovare applicazione nel caso di specie, in cui mancava il fabbricato in relazione alla determinazione della cui rendita catastale era possibile considerare tassabili gli impianti non infissi al suolo.
1.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360bis , n. 1, c.p.c.
La CTR, con riferimento alla classificazione delle pale eoliche nella categoria E, come invocato dalla società ricorrente, ha affermato che ‘tali strutture, ancorch é amovibili, rientrano tra gli immobili classificabili in categoria ‘D1′, secondo il consolidato principio fissato dalla giurisprudenza di merito nonché dalla Suprema Corte di Cassazione con le sentenze del 2012 nn. 4028-40294030’.
L’orientamento di questa Corte, dal quale non vi è ragione per discostarsi, è consolidato (Sez. 5, Sentenza n. 4028 del 14/03/2012; conf. Sez. 5, Sentenza n. 24815 del 21/11/2014) nel senso che i parchi eolici, in quanto costituiscono centrali elettriche, rispetto alle quali il sistema normativo non offre indicazioni che ne giustifichino un trattamento differenziato, sono accatastabili nella categoria “D/1-Opificio”.
L’art. 2, comma 3, del dm 2 gennaio 1998, n. 28 – Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e
modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale – nel delineare i criteri utili per l’individuazione delle unità immobiliari urbane, ha evidenziato come siano da considerare tali “… anche le costruzioni ovvero porzioni di esse, ancorate o fisse al suolo, di qualunque materiale costituite, nonché gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, purché risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali di cui al comma 1. Del pari sono considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorché semplicemente appoggiati al suolo, quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale’.
Orbene, la categoria catastale, in base alle disposizioni di settore, va individuata tenendo in considerazione la destinazione d’uso e la compatibilità con le caratteristiche intrinseche dell’immobile di cui si discute. L’impianto eolico è indubbiamente un opificio, in quanto è destinato alla produzione di energia, e come tale, allo stesso deve essere attribuita la categoria D/1 -Opifici.
1.2. Irrilevanti, sotto il profilo catastale, appaiono le considerazioni sulla finalità di pubblica utilità dei manufatti in esame. Questa Corte, infatti, decidendo su un ricorso relativo ad una vicenda analoga a quella per cui è causa, ha già sottolineato che: ‘ già in passato è stato chiarito (Sez. 5, Sentenza n. 12741 del 23/05/2018) che, in tema di classamento di immobili, un impianto (nella specie si trattava di una discarica pubblica oggetto di sfruttamento economico per la gestione di rifiuti solidi urbani e la captazione di biogas) connotato da autonomia funzionale e reddituale costituisce un’unità immobiliare urbana soggetta ad accatastamento e rientra nella categoria D/7 – non in quella residuale E, concernente gli immobili a particolare destinazione pubblica -, in quanto svolge attività industriale secondo parametri economico-imprenditoriali, senza che assuma rilevanza l’eventuale destinazione dell’immobile anche ad attività di pubblico interesse. Applicando lo stesso criterio, si è affermato (Sez. 5, Ordinanza n.
5070 del 21/02/2019) che gli impianti di risalita al servizio di piste sciistiche, come le sciovie, le funivie e le seggiovie, possono essere classificati come “mezzi pubblici di trasporto”, con il conseguente accatastamento nella categoria catastale E, ove, pur soddisfacendo un interesse commerciale, siano destinati prevalentemente, sul piano funzionale, alle esigenze di mobilità generale della collettività. Ugualmente, è stato escluso che gli immobili costituenti un terminal portuale adibito al deposito e alla movimentazione di merce, oggetto di concessione demaniale marittima, fossero compresi in categoria E/1 e fossero perciò soggetti all’esenzione ICI di cui all’art. 7, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 504 del 1992(Sez. 5, Sentenza n. 23067 del 17/09/2019). È, peraltro, errato identificare il concetto di “finalità istituzionali”, che sono proprie dell’ente locale e che costituiscono la ragion d’essere dello stesso, con quello di “servizio pubblico”, che può essere svolto anche per tramite di altri soggetti di natura privata, quali le aziende municipalizzate o altri enti o società che (come nel caso di specie) forniscono energia elettrica. Dette forniture, sia pure costituenti servizi per il pubblico, non possono essere ricomprese tra i compiti istituzionali che hanno una propria differenziata connotazione e le 6 imprese che le assicurano, quali esercenti attività commerciali, non hanno ragione di godere esenzioni classificazioni differenziate. D’altra parte, come chiarito da Sez. 5, Sentenza n. 2621 del 11/02/2015, nel quadro normativo delineato dalla Direttiva Comunitaria 2001/77/CE del 27 settembre 2001, attuata con d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, ed abrogata dalla Direttiva Comunitaria 2009/28/CE del 23 aprile 2009, a sua volta attuata con d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, il quale prevede un regime di sostegno per lo sviluppo di energia elettrica da fonti rinnovabili, non emerge alcuna specificità dell’accatastamento degli impianti. E’ stata, quindi, ritenuta corretta la classificazione D/1, così come la prassi dell’Ufficio di individuare l’oggetto della stima finalizzata all’attribuzione di
rendita nell’insieme dei beni costituenti l’aerogeneratore, comprensivo non soltanto delle componenti prettamente immobiliari o infisse al suolo, ma anche di quelle componenti (navicella, rotore, pale, cabina elettrica, spazi di manovra e servizio ecc.) di per sé fisicamente amovibili ma non separabili senza pregiudizio alla funzione precipua di generazione energetica. Tale interpretazione ha trovato conferma nell’art. 1, comma 244 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per l’anno 2015), che risolveva la questione degli impianti funzionali al processo produttivo con il richiamo alle «istruzioni di cui alla circolare dell’Agenzia del territorio n. 6/2012 del 30 novembre 2012, concernente la “Determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare: profili tecnicoestimativi ” (Sez. 5, Ordinanza n. 4837 del 2022, non massimata). Per completezza va dato atto della non applicabilità, ratione temporis , alla presente fattispecie dell’art. 1, comma 21, della l. n.208 del 2015 (secondo il quale «A decorrere dal 10 gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo»), atteso che gli accertamenti compiuti risalgono al 2014 in relazione a docfa antecedenti.
Alla fattispecie in oggetto è pertanto applicabile il principio, già affermato da questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 4028 del 14/03/2012; conf. Sez. 5, Sentenza n. 24815 del 21/11/2014) secondo cui i parchi eolici, in quanto costituiscono centrali elettriche, rispetto alle quali il sistema normativo non offre
indicazioni che ne giustifichino un trattamento differenziato, sono accatastabili nella categoria “D/1-Opificio” e gli impianti debbono essere computati ai fini della determinazione della rendita, come lo sono le turbine di una centrale idroelettrica, poiché anch’esse costituiscono una componente strutturale ed essenziale della centrale stessa, sicché questa senza quelle non potrebbe più essere qualificata tale, restando diminuita nella sua funzione complessiva ed unitaria ed incompleta nella sua struttura. E quello in base al quale, in tema di attribuzione della rendita catastale ad una centrale elettrica eolica (assegnata, nella specie, alla categoria D/1), il d.lgs. 3 marzo 2001, n. 28, attuativo della Direttiva Comunitaria 2009/28/CE, pur delineando un quadro normativo di sostegno alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, non prevede regole specifiche per l’accatastamento degli impianti, né esenzioni o riduzioni in materia di ICI, senza che l’assenza di una simile previsione possa ritenersi in contrasto con i principi comunitari, in quanto la determinazione della rendita 8 catastale non costituisce un’imposta, né un presupposto d’imposta (v. Sez. 6 – 5, Sentenza n. 3354 del 19/02/2015). Da ciò consegue che anche l’impianto eolico complessivamente inteso era soggetto all’accatastamento in categoria D/1, ivi compresi gli aerogeneratori. 2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 7, legge n. 212/2000 e dell’art. 3 n. 241/1990, nel cotesto degli artt. 3, 23, 53 e 97, co. 1 della Costituzione e in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.’, la contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, deducendo che, contrariamente rispetto a quanto affermato dal giudice d’appello (nella parte in cui si osserva che la determinazione della rendita catastale è stata quantificata con metodo diretto comparato con rendite riferite a parchi similari), nell’avviso di accertamento non erano in alcun modo indicati i
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a fondamento dell’azione accertatrice.
Il motivo è inammissibile per più ragioni.
La censura si basa, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., sull’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, ma si sviluppa, in modo ondivago, tra la contestazione di una « motivazione ‘assurda’ del giudice di appello » (v. pagina n. 13 del ricorso) circa la motivazione dell’avviso ed il rimprovero di una valutazione erronea in quanto omissiva dell’esame dello specifico contenuto dell’avviso.
Il motivo non si confronta con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura docfa -come avvenuto nella specie – l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’amministrazione finanziaria e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni (cosi Cass. n. 10224/2023, che richiama Cass. n. 23237/2014; Cass. n. 12497/2016; Cass. n. 31809/2018; Cass. n. 25006/2019; Cass n. 17016/2020; Cass. n. 2247/2021; Cass. nn. 3104, 3106 e 3107/2021; Cass. n. 7210/2021; Cass. n. 41179/2021; Cass. n. 11281/2022).
In ogni caso, le dedotte ipotesi di motivazione e di valutazione erronee restano fuori dall’ambito operativo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., anche sotto il profilo del travisamento della prova, che -all’evidenza – non può riguardare la sufficienza motivazionale dell’avviso impugnato, il quale attiene al tema rappresentativo e non anche probatorio della pretesa fiscale.
Va, infine, aggiunto che nemmeno vi è stato il contestato omesso esame da parte del Giudice regionale, avendo questi esaminato il
predetto avviso e ritenuto che la rettifica del valore della rendita fosse avvenuta tramite stima diretta e con metodo comparativo in relazione alla « determinazione della rendita catastale accertata che, nel caso di specie, è stata quantificata con metodo diretto comparato con rendite riferite a parchi similari » (v. pagina n. 3 della sentenza).
Non solo. L’eventuale deficit percettivo circa il modo in cui l’Ufficio avrebbe proceduto alla valorizzazione del capitale fondiario non è stato accompagnato dall’allegazione della sua decisività, il che conferma vieppiù la valutazione di inammissibilità del motivo.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 24 della Costituzione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la contribuente censura la decisione del giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento per il solo fatto che la società aveva proposto ricorso, spiegando una difesa nel merito, sottolineando che la contribuente ha potuto conoscere le effettive ragioni della pretesa e quindi difendersi solo in sede giudiziale all’esito delle integrazioni sviluppate dall’Ufficio.
3.1. Anche tale motivo è inammissibile.
Valgono anzitutto sul punto le precedenti osservazioni svolte con riguardo al contenuto motivazionale dell’atto nell’ambito della procedura docfa. Inoltre, la contribuente nemmeno si prende cura di chiarire quali siano state le integrazioni documentali prodotte nel giudizio di merito che le avrebbero consentito di potersi adeguatamente difendere.
Con il quarto motivo, rubricato ‘violazione e falsa ed erronea applicazione dell’art. 10, R.D.L. 13 aprile 1939 n. 652, degli artt. 28 e 29 del d.P.R. 1.12.1949 n. 1142, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’, la contribuente ha censurato la decisione impugnata per non avere il giudice d’appello tenuto conto della specificità degli impianti, rispetto ai fabbricati, e della necessità di
adottare metodi di valutazione diversi che tengano conto del deprezzamento dovuto alla vetustà e alla obsolescenza. L’istante ha sul punto segnalato che la corretta determinazione della rendita catastale era stata offerta dalla stima di parte prodotta in primo grado.
4.1. Anche tale motivo va ritenuto inammissibile.
Il nucleo centrale della contestazione concerne la necessità di considerare nella determinazione della rendita lo stato di vetustà fisicamateriale dell’impianto e le sue condizioni di obsolescenza tecnica.
Sta di fatto che di tale deprezzamento la Commissione ha tenuto conto, in quanto, a fronte della valutazione del primo Giudice che aveva ridotto il valore fondiario accertato del 25%, ha stabilito che: ‘tenuto conto dei criteri di valutazione operati dall’Ufficio in ragione del deprezzamento della vita utile degli aerogeneratori per effetto dell’invecchiamento tecnologico e funzionale nonché sulla base del valore medio desunto dalle precedenti decisioni di questa Commissione per parchi eolici similari, il Collegio determina il valore catastale in euro 400.000 € /MW, e, quindi, nel caso di specie, il valore pari ad euro 800.000,00 per ciascuna torre eolica di potenza nominale pari a 2MW’. Ebbene, tale valutazione della Commissione regionale è stata obliterata dal motivo di impugnazione, sviluppatosi sulla contestazione del valore attribuito dall’Ufficio nell’avviso impugnato, come se – nelle more -non vi fossero state le due sentenze di merito, senza prendere specifica posizione in ordine al deprezzamento operato; di modo che non è pertinente, nel caso in esame, il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte richiamata in memoria.
Si tratta, dunque, di motivo aspecifico, che non si confronta con le ragioni della decisione impugnata, come tale da dichiarare inammissibile.
4.2. Si impone, pertanto, il rigetto del ricorso.
5. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nella qualità d’incorporante RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che quantifica in € 4.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, 19 dicembre 2024.