Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16204 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16204 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12393/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che ex lege la rappresenta e difende.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE E DOCUMENTAZIONE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende.
–
contro
ricorrente –
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 5501/2022, depositata il 29/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Ritenuto che
RAGIONE_SOCIALE, associazione non riconosciuta, impugnava l’avviso di accertamento catastale NUMERO_DOCUMENTO riguardante l’unità immobiliare sita nel Comune di Roma, INDIRIZZO, originariamente censita in N.C.E.U. al Foglio n. 487, particella n. 21 sub 501, con Categoria C/1 (negozi e botteghe), Classe 8, consistenza mq. 107, che nell’anno 2013, a seguito di revisione parziale del classamento microzona 1, ai sensi dell’art. 1, comma 335, l. n. 311 del 2004, era stata portata in Classe 9, anziché 8, ferma la Categoria C/1 e la consistenza mq. 107.
Negli anni successivi l’immobile era stata oggetto di variazioni, mediante Docfa, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE intestatario, nel 2015, in Categoria C/1, Classe 9, consistenza mq. 98, nel 2017, in Categoria C/1, Classe 9, consistenza mq. 96, nonché nel 2018, soppressa l’originaria unità censita (Foglio n. 487, particella n. 21 sub 501, con Categoria C/1), con accatastamento l’unità immobiliare al Foglio n. 487, Particella n. 21, sub 535, Categoria (proposta) E/7, senza attribuzione di rendita.
L’Ufficio, con l’atto impugnato, aveva ripristinato, dopo un sopralluogo, ai sensi del d.m. 19 aprile 1994 n. 701, la Categoria C/1, la Classe 9 e la consistenza di mq. 108, con conseguente attribuzione della rendita di € 11.601,69.
La CTP di Roma, adita dall’RAGIONE_SOCIALE accoglieva il ricorso e la decisione veniva confermata dalla CTR del Lazio che, con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva l’appello erariale sul rilevo che «la motivazione dell’atto impugnato non risulta «sufficiente» per carente «stima e valutazione» dei presupposti della proposta «variazione da C/1 in E/7» e che del tutto impropriamente l’Ufficio aveva operato la comparazione dell’immobile per cui è causa, «posto al piano seminterrato di un palazzo, di soli circa mq. 100 e di modesta fattura», con immobili disomogenei di notevoli dimensioni, distaccati da altri, di grandissimo pregio architettonico e di antica costruzione» mentre l’Ufficio avrebbe dovuto
verificare se, nonostante non fossero state realizzate opere architettoniche, che mai, in ogni caso, avrebbero potuto far somigliare quello per cui è causa alla Moschea o alla Chiesa seicentesca offerte in paragone, l’immobile avrebbe potuto essere utilizzato per l’esercizio pubblico del culto evangelico, che predica notoriamente la sobrietà 3, in caso di diniego, motivarne le ragioni.»
L’RAGIONE_SOCIALE ha, quindi, proposto ricorso per cassazione affidandosi a due motivi.
Si è costituito l’RAGIONE_SOCIALE che ha depositato controricorso e una memoria.
Considerato che
Con il primo motivo del ricorso l’RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.3, l. n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod.proc.civ., in quanto la CTR non ha considerato che l’avviso di accertamento catastale contiene tutti gli elementi previsti dalle normative vigenti, quali gli identificativi catastali, l’ubicazione, la classificazione dell’immobile, la rendita catastale, il possessore, la motivazione della rettifica, nonché le unità immobiliari di riferimento utilizzate, nell’ambito del procedimento di stime sintetico-comparativo, potendo l’Ufficio dimostrare nel corso del contraddittorio giurisdizionale gli elementi di fatto giustificativi della pretesa. Deduce, altresì, che l’attribuzione della Categoria C/1 in luogo della Categoria E/7 proposta nella Docfa è avvenuta verificando le caratteristiche intrinseche della u.i.u. nel pieno rispetto della normativa catastale, per cui l’atto impugnato non può dirsi insufficientemente motivato.
Con il secondo motivo l’RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod.proc.civ., del r.d.l. n. 652 del 1939, convertito con modificazioni con l. n. 1249 del 1939, e successivamente variato con d.lgs. n. 514 del 1948, del d.P.R. n. 1142 del 1949, del d.l. n. 70 del 1988, convertito con modificazioni con l. n. 154 del 1988, art. 11, e del d. m. n. 701 del 1994, in quanto per la determinazione della rendita si deve fare riferimento alla redditività ordinaria , essendo il fine del catasto quello di un’equa imposizione fiscale, proporzionata al reddito degli immobili, e non può
tenere conto, invece, di elementi transitori nel tempo, quali ad esempio una temporanea utilizzazione o inutilizzazione del bene e/o la trascurata sua manutenzione. Deduce, altresì, che per l’attribuzione della Classe, nella Categoria C/1 prima zona censuaria, assume rilievo il quartiere di ubicazione dell’immobile, signorile, esclusivo, di altissimo pregio, ben servito, in pino ‘Centro Storico’, e lo stesso può a ragione definirsi di rappresentanza, data la presenza di numerose sedi istituzionali.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
Nella giurisprudenza di questa Corte si è consolidato il principio per cui «In tema, di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dall’art. 27 del d.l. 23 gennaio 1993 n. 16, convertito in legge 24 marzo 1993 n. 75, e dal d.m. 19 aprile 1994 n. 701 (c.d. procedura “DOCFA”), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento può ritenersi soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’amministrazione finanziaria e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, cioè nell’ipotesi in cui la discrasia non derivi dalla stima del bene, ma dalla divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (Cass. n. 23237/2014; Cass. n. 12497/2016; n. 31809/2018; n. 25006/2019; n. 17016/2020; n. 3104/2021).
L’avviso di accertamento catastale impugnato risulta motivato perché basato sulle rilevate caratteristiche intrinseche dell’unità immobiliare, oggetto di sopralluogo, sussumibile nella Categoria C/1, piuttosto che nella Categoria E/7 proposta, categoria e classe essendo facilmente individuabili in funzione della destinazione permanente dell’unità e della zona di ubicazione, nonché sulla diversa consistenza del bene rispetto alla planimetria allegata alla dichiarazione DOCFA, in ragione della diversa distribuzione degli spazi interni, ambienti
principali ed accessori, apportando alle superfici conteggiate (mq.) le opportune aggiunte o detrazioni, per tenere conto di utilità e svantaggi.
Tali dati, nella specie di causa, costituiscono la base oggettiva dello stesso provvedimento di classamento, che si è limitato a fare una difforme valutazione rispetto alla proposta (DOCFA), ponendo l’interessata in condizione di tutelarsi mediante il ricorso alle commissioni tributarie, cosa che è puntualmente avvenuta.
Il secondo motivo è parimenti fondato.
A parere della parte contribuente il locale in questione doveva essere classificato, in conformità alla dichiarazione “DOCFA”, nella categoria E/7 (luoghi culto pubblico).
Di diverso avviso è l’Amministrazione finanziaria, secondo la quale l’immobile deve essere classificato in Categoria C/1 (negozi e botteghe), così come lo stesso RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto in precedenti dichiarazioni NUMERO_DOCUMENTO.
L’art. 61 del d.P .R. 1 dicembre 1949, n. 1142 (portante il «Regolamento del nuovo catasto edilizio urbano») recita: ‘Il classamento consiste nel riscontrare/con sopraluogo per ogni singola unità immobiliare, la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito e nel collocare l’unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona censuaria a norma dell’art. 9 che, fatti gli opportuni confronti con le unità tipo, presenta destinazione e caratteristiche conformi od analoghe. Le unità immobiliari urbane devono essere classate in base alla destinazione ordinaria ed alle caratteristiche che hanno all’atto del classamento’.
A norma del successivo art. 62 del d.P.R. citato: ‘La destinazione ordinaria si accerta con riferimento alle prevalenti consuetudini locali, avuto riguardo alle caratteristiche costruttive dell’unità immobiliare’.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che il provvedimento di attribuzione della rendita catastale di un immobile è un atto tributario che inerisce al bene che ne costituisce l’oggetto, secondo una prospettiva di tipo “reale”, riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della c.d. “destinazione ordinaria”, sicché l’idoneità del bene a produrre ricchezza va ricondotta, prioritariamente, non al concreto uso che di
esso venga fatto in un determinato memento, ma alla sua destinazione funzionale e produttiva, che va accertata in riferimento alle potenzialità d’utilizzo purché non in contrasto con la disciplina urbanistica (tra le tante, Cass. n. 8773/205; n. 12025/2025; n. 34002/2019; n. 13666/2020; n. 22166/2020; n. 25992/2020; n. 2249/2021; n. 18842/2021; n. 32868/2021).
Ed ancora, sempre in tema di rendita catastale, che nell’ipotesi in cui l’immobile per le proprie caratteristiche strutturali rientri in una categoria speciale, non assume rilevanza la corrispondenza rispetto all’attività in concreto svolta all’interno dello stesso che può costituire, ove ricorrente, mero elemento rafforzativo della valutazione oggettiva operata (Cass., Sez. 6^-5, 11 settembre 201.8, n. 22103; Cass., Sez. 5^, 3 luglio 2020, n. 13666; Cass., Sez. 5^, 2 febbraio 2021, n. 2249). Pertanto, ai fini della classificazione di un immobile, occorre guardare alle caratteristiche strutturali dell’immobile stesso e non alla condizione del proprietario ed al concreto uso che questi ne faccia (Cass., Sez. 5^, 14 ottobre 2020, n. 22166).
Non rilevano, quindi, né il carattere pubblico o privato della proprietà dell’immobile, né eventuali funzioni latamente sociali svolte dal proprietario, mentre il fine di lucro merita di essere preso in considerazione, in quanto espressamente previsto come criterio di classificazione per numerose categorie, ma in termini oggettivati, nel senso che se ne richiede una verifica che ne ricerchi la sussistenza desumendola dalle caratteristiche strutturali dell’immobile, irreversibili se non attraverso modifiche significative, e non si arresti quindi al tipo di attività che in un determinato momento storico vi viene svolta, che può costituire un criterio complementare ma non alternativo o esclusivo ai fini del classamento (Cass. n. 34002/2019 – analogamente – Cass. n. 13666/2020; Cass. n. 2249/2021; Cass. n. 32868/2021).
Si tratta, a ben vedere, di profili completamente sottovalutati dal giudice di merito che, piuttosto, ha ritenuto di dover tenere conto di circostanze non decisive e, segnatamente, «della natura dell’ente proprietario, dell’ottenuta autorizzazione dell’immobile all’esercizio pubblico del culto, degli scarsi arredi certamente inidonei all’esercizio di un’attività commerciale, dei principi (noti o di semplice conoscenza)
che informano la dottrina religiosa evangelica, dell’astratta idoneità alle funzioni religiose (…) .
La CTR del Lazio, di contro, non ha affatto considerato che il cambio destinazione d’uso di un bene, sia pure senza opere, richiede sul piano urbanistico, il rilascio da parte del Comune di competenza, dei necessari titoli abilitativi, mentre l’ RAGIONE_SOCIALE si è limitato ad allegare l’autorizzazione ottenuta dal RAGIONE_SOCIALE, per «cambio di destinazione d’uso da C/1 ‘commerciale’ (piccola struttura di vendita) a E/7 ‘servizi’ (fabbricati destinati all’esercizio pubblico del culto) senza opere edilizie né interne né esterne», documento che non tiene luogo del titolo edilizio, in ragione dei diversi interessi protetti (v. art. 21, d.lgs. n. 42/2004,
Sostiene l’RAGIONE_SOCIALE che l’immobile oggetto di causa, per sue caratteristiche, è astrattamente idoneo – senza opere – ad essere destinato a ‘luogo di culto pubblico’ (Cat. E/7).
Tuttavia, in assenza di interventi strutturali coerenti con le caratteristiche correlate all’esercizio RAGIONE_SOCIALE attività di culto (a pag. 3 del ricorso si riferisce soltanto di lavori di manutenzione come da relazione dell’architetto COGNOME) ed in assenza di una pratica urbanistica, nei termini innanzi precisati, circostanze che, se allegate e provate, avrebbe costituito l’elementi oggettivi di discontinuità rispetto alla precedente destinazione a magazzinonegozio, le deduzioni dell’odierno controricorrente si risolvono nella prospettazione di una operazione integrante, in concreto, un improprio utilizzo del bene rispetto alla categoria (C/1 negozi/botteghe), destinazione d’uso attribuita in precedenza al cespite, su cui non si può fondare alcun diritto del proprietario ad ottenere una variazione catastale – vantaggiosa anche sul piano RAGIONE_SOCIALE imposte – corrispondente, appunto, alla negata Categoria E/7.
Il ricorso erariale merita, dunque, d’essere accolto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa, nel merito, con il rigetto originario ricorso del contribuente.
Le spese del giudizio di merito sono compensate mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il ricorso dell’A genzia RAGIONE_SOCIALE entrate , cassa la sentenza e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso.
Condanna il controricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio, liquidate in Euro 3.800,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione – Sezione