Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7621 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7621 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11616/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sede di ROMA n. 5233/2022 depositata il 18/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Gli odierni ricorrenti, in qualità, rispettivamente, di proprietario ed usufruttuaria dell’unità immobiliare sita in Roma, INDIRIZZO (zona INDIRIZZO) oggetto del procedimento, hanno impugnato avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate ha proceduto alla rideterminazione del classamento ed alla conseguente attribuzione della nuova rendita catastale della predetta unità immobiliare, variando la categoria catastale da A/2 ad A/1 ed il classamento da classe 4 a classe 3, nonché la rendita da 2.030,97 euro a 2.970,92. Il precedente proprietario, nell’imminenza della vendita, aveva difatti presentato dichiarazione DOCFA per inesatta rappresentazione grafica, con proposto nuovo classamento da A/1 in A/2.
I contribuenti hanno contestato la nuova determinazione catastale, censurando il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento e la tardività della notifica dell’atto oltre il termine perentorio di dodici mesi, nonché la mancata indicazione dei criteri assunti dall’amministrazione per effettuare la variazione dei profili catastali, rilevando altresì la piena congruità e correttezza della categoria, della classe e della rendita precedenti, come dimostrato peraltro dalla perizia tecnica allegata al ricorso.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 1685/2021, ha respinto il ricorso proposto dai contribuenti.
Avverso tale decisione i contribuenti hanno proposto appello, che, con sentenza n. 5233/2022, la Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio ha rigettato, rilevando che: l’immobile si trova nel quartiere INDIRIZZO, una zona considerata “signorile, esclusiva e di altissimo pregio”, ha caratteristiche che giustificano la categoria A/1,
come il doppio ingresso, l’ascensore, la distribuzione degli spazi interni, la superficie di 150 mq e l’altezza di 3,60 m., e che la normativa catastale non prevede un limite minimo di superficie o particolari dotazioni per l’attribuzione della categoria A/1. Ha altresì rilevato che l’Ufficio ha ripristinato il classamento originario dell’immobile, che era già A/1 e che, non essendoci state variazioni intrinseche o estrinseche, non era possibile modificare i profili catastali. Infine, ha ritenuto che la motivazione dell’avviso di accertamento fosse sufficiente, in quanto indicante i dati oggettivi e la classe attribuita, come prescritto in caso di procedura DOCFA, ipotesi in cui la motivazione può essere più succinta, a differenza dei casi di riclassamento operato d’ufficio.
Avverso la suddetta sentenza di gravame i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a n. 2 motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate .
Successivamente le parti ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, artt. 1, 2 e 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 1939, n. 1249; nonché del D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 4, 6 e 9; della Circolare n. 5 del 14.03.1992; degli artt. 23, 53, 97, 24 e 3 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Parti ricorrenti formulano altresì questione di legittimità costituzionale del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, artt. 1, 2 e 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 1939, n. 1249; nonché del D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 4, 6 e 9 in relazione agli art. 23, 53, 97, 24 e 3 della Costituzione.
1.1. In particolare, sottolineano le parti ricorrenti che nell’ordinamento italiano manca una definizione legislativa specifica delle categorie e delle classi catastali e che l’unico riferimento per stabilire se un’abitazione rientri o meno nella categoria A/1 sarebbe il
carattere “signorile” dell’immobile, concetto non definito normativamente ma lasciato al “senso comune” e a “nozioni presenti nell’opinione generale”. L’orientamento giurisprudenziale che affida la determinazione del concetto di “signorilità” a nozioni variabili sarebbe in contrasto con la legge istitutiva del catasto, che richiede che la distinzione delle categorie catastali sia basata su “caratteristiche intrinseche idonee a fondarne una precisa differenziazione”, e quindi secondo criteri prefissati e in ragione di caratteristiche oggettive.
Le norme istitutive ed attuative del nuovo catasto edilizio urbano sarebbero quindi incostituzionali per violazione degli artt. 23, 53, 97, 24 e 3 della Costituzione.
Infine, la qualificazione di un’abitazione come “signorile” dipenderebbe da “nozioni presenti nell’opinione generale in un determinato contesto spazio-temporale”, anziché da criteri predefiniti e determinati normativamente, sicché lasciare tale attività alla discrezionalità amministrativa creerebbe un potere arbitrario e soggettivo, con la conseguenza che immobili con le stesse caratteristiche vengono classificati in modo diverso.
Alla incostituzionalità dell’impianto normativo conseguirebbe il dedotto vizio di violazione di legge.
1.2. Va in primo luogo analizzata la questione di legittimità costituzionale.
Come osservato da parti ricorrenti, in materia immobiliare, stante l’assenza di una specifica definizione legislativa delle categorie e classi, al fine di inquadrare una determinata unità un’abitazione come “signorile”, “civile” o “popolare”, occorre fare riferimento alle nozioni presenti nell’opinione generale in un determinato contesto spaziotemporale.
Sulla base di tale parametro di ordine generale, la amministrazione preposta -con le dovute specificazioni da parte della giurisprudenza -ha elaborato criteri e parametri in base ai quali
addivenire al classamento di un immobile urbano nella categoria catastale A/1 ‘abitazione signorile’. In particolare , è stato dato rilievo a criteri quali la zona residenziale in cui è inserito, avuto riguardo altresì alle caratteristiche qualitative di costruzione, nonché all’elevato grado di rifiniture presenti nell’immobile.
Il dettato del d.m. 2 agosto 1969 deve essere, invece, considerato per individuare un immobile al fine di attribuire le caratteristiche di lusso escludenti determinate agevolazioni fiscali.
1.3. La normazione adottata dal legislatore consente perciò di valutare il parametro generale preso in considerazione con riferimento al mutare del contesto spazio-temporale, rendendolo così intrinsecamente attuale. In proposito, deve rilevarsi anche che il paragrafo 22 della Circolare vigente in tema di ‘Accertamento e Classamento’, emanata il 24 maggio 1942 dalla Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali, dispone, con riferimento alla assegnazio ne alla categoria ed alla classe, che: ‘P er la destinazione e per le altre qualità intrinseche che determinano la categoria, si avrà riguardo alle caratteristiche costruttive ed all’uso appropriato dell’unità immobiliare. Pertanto, nell’assegnazione alla categoria, non si terrà conto delle destinazioni anormali o occasionali, di prevedibile breve durata e non conformi a quelle che, sul luogo, hanno normalmente analoghe unità immobiliari’. In ordine alla classe di merito, la circolare invece, al paragrafo 23, osserva che ‘per l’assegnazione alla cl asse si avrà riguardo: 1) come elemento diretto: principalmente a tutte le condizioni estrinseche dell’unità immobiliare e, secondariamente, alle condizioni intrinseche non considerate nella determinazione della categoria; le une e le altre in quanto influenzino il reddito; 2) come elemento – di controllo limitatamente alle categorie per le quali nella località è uso il sistema dell’affitto al reddito fondiario lordo unitario’.
Ne risulta che la disciplina è dunque integrata anche da fonte regolamentare.
1.4. Nel dettaglio, viene contestata da parte ricorrente la possibile violazione dell’a rt. 23 Cost., in quanto la mancanza di una definizione legislativa delle categorie catastali contrasterebbe con la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali, poiché la rendita catastale è la base per l’applicazione di tasse e imposte.
Tale affermazione non coglie nel segno, atteso che non può dirsi violata la riserva di legge, la quale fa riferimento a criteri generali ed astratti (come appunto il concetto di dimora signorile). A ben vedere, ciò che è contestato è il livello più o meno analitico della tecnica di normazione ed il conseguente rinvio all’azione amministrativa nel definire i parametri. Tuttavia, tale aspetto rientra certamente nella discrezionalità del legislatore, che, normando, può definire un livello maggiore o minore di astrazione del precetto.
1.5. Si contesta anche il contrasto con l’ar t. 53 Cost., in quanto il sistema impositivo non rispetterebbe il principio della progressività, poiché la diversificazione delle categorie è affidata a “vaghe nozioni discrezionali” anziché a criteri normativi. Collegandosi a quanto appena affermato, va viceversa rilevato che l’azione amministrativa di natura discrezionale, che viene in rilievo nella determinazione delle categorie catastali e nel classamento dei singoli immobili, non contrasta con il criterio di progressività, ma, al contrario, tende a garantirlo. Eventuali distorsioni nell’applicazione dipendono, semmai, dal cattivo esercizio di tale potere da parte delle amministrazioni.
1.6. Si invoca pure la violazione dell’a rt. 24 Cost. e dell’art. 97 Cost., poiché il difetto di parametri normativi per la determinazione delle categorie catastali comprometterebbe l’effettività della tutela giurisdizionale, poiché manca un parametro per valutare la correttezza dell’operato dell’amministrazione, determinando altresì la violazione del principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione. L’affermazione non è corrispondente alla realtà delle dinamiche dell’azione amministrativa: l ‘ esercizio del potere discrezionale è
soggetto a parametri di controllo da parte dell’autorità giudiziaria, chiamata a valutare l’eventuale presenza di vizi. In particolare, la categoria dell’eccesso di potere (in cui rientrano, ad esempio, anche le ipotesi di contraddittorietà con altri atti dell’amministrazioni e la disparità di trattamento) consente di assicurare da un lato l’effettività della tutela giurisdizionale, dall’altro di garantire parametri anche interni allo stesso operare dell’amministrazione idonei ad assicurare la conformit à e la correttezza dell’agire delle pubbliche amministrazioni.
1.7. Sulla base di tali argomentazioni appare evidente anche che l’impianto normativo, così come integrato dall’attività provvedimentale, non risulta confliggere nemmeno con l’a rt. 3 Cost.: il rischio di trattamenti diseguali per situazioni identiche è evitato proprio dalla possibilità di contestare la disparità di trattamento, il difetto di istruttoria, il travisamento dei fatti e la contraddittorietà sia intrinseca che rispetto ad altri provvedimenti dell’amministrazione.
1.8. Sintetizzando, la questione di legittimità costituzionale sul classamento catastale è manifestamente infondata. Sebbene manchi una definizione legislativa precisa, le categorie catastali si basano su criteri generali legati al contesto spazio-temporale, che l’amministrazione applica discrezionalmente, con controllo giurisdizionale per evitare abusi, ma garantendo al contempo il rispetto della valutazione individuale, caso per caso.
1.9. Non si riscontra dunque alcun contrasto con le norme costituzionali invocate, atteso che -riepilogando – con riferimento all’art. 23 Cost. non vi è violazione della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali, poiché la normativa catastale stabilisce criteri generali e astratti, sufficienti a identificare i parametri per la classificazione degli immobili. Sebbene i dettagli siano demandati all’amministrazione, ciò rientra nella discrezionalità del legislatore, che può definire il livello di specificità o generalità delle regole. Parimenti,
con riferimento all’art. 53 Cost. il sistema impositivo basato sul classamento catastale non contrasta con il principio di progressività: anzi, la discrezionalità amministrativa nel determinare le categorie catastali serve proprio a garantire proporzionalità e progressività nell’imposizione fiscale , ed eventuali errori o distorsioni nell’applicazione non derivano da illegittimità del sistema normativo, ma dal cattivo esercizio del potere amministrativo, suscettibile di controllo giurisdizionale. Quanto all’art. 24 Cost., l’assenza di definizioni analitiche non compromette il diritto di difesa, poiché i parametri normativi e gli atti amministrativi forniscono, comunque, elementi sufficienti per valutare la correttezza dell’operato dell’amministrazione, assicurando così la possibilità di una tutela giurisdizionale effettiva. Poiché il controllo giurisdizionale garantisce che l’azione amministrativa sia conforme a criteri di correttezza e trasparenza, in particolare attraverso il controllo per eccesso di potere che consente di verificare aspetti come l’istruttoria carente, il travisamento dei fatti o la disparità di trattamento, risulta rispettato anche l’art. 97 Cost., in materia di buon andamento e imparzialità. Infine, sotto il profilo dell’art. 3 Cost., non v i è rischio di trattamenti diseguali per situazioni identiche, poiché la discrezionalità amministrativa è sottoposta a verifiche giudiziarie, che consente di contestare errori, difetti di istruttoria o incoerenze assicurando l’uguaglianza di trattamento, e d evitando discriminazioni o arbitrarietà.
In definitiva, il sistema normativo e il controllo giurisdizionale assicurano la conformità costituzionale dell’attività di classamento catastale.
1.10. La questione di legittimità costituzionale è dunque infondata.
Del resto, la stessa Corte Costituzionale, con riferimento alla (diversa) questione della riclassificazione di massa, ha sottolineato come le eventuali ricadute pratiche, legate ad un patologico
funzionamento del sistema, non possono involvere profili di costituzionalità della norma censurata (Corte Cost. 01/12/2017, n.249),
1.11. Infine, deve rilevarsi come la censura si fondi sostanzialmente sulla dedotta violazione costituzionale dell’impianto normativo, piuttosto che su specifiche affermazioni rese dal giudice del gravame riguardo al tema.
1.12. Ne consegue che il motivo, una volta chiariti gli aspetti sottostanti inerente al parametro costituzionale, non risulta fondato. Va quindi rigettato.
Con il secondo motivo di ricorso, parti ricorrenti eccepiscono la violazione e falsa applicazione art. 2 del D.L. 23.01.1993, n. 16, convertito con modificazioni dalla L. 24.3.1993, n. 75; art. 56 del D.P.R. 1.12.1949, n. 1142; artt. 3 e 20 del R.D.L. 13.4.1939, n. 652, convertito con modificazioni dalla L. 11.8.1939, n. 1249; D.M. 19.4.1994, n. 701; art. 19 del D.L. 31.5.2010, n. 78; art. 53 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
2.1. I ricorrenti evidenziano di aver fatto ricorso alla procedura DORAGIONE_SOCIALE per correggere l’inesatta rappresentazione grafica dell’immobile: inizialmente l’immobile era classificato come A/1, ma i proprietari avevano presentato una variazione, proponendo la categoria A/2, in occasione di una rettifica per “esatta rappresentazione grafica” e l’Ufficio ha successivamente ripristinato la classificazione originaria. Deducono, tra l’altro, che ad una procedura di inesatta rappresentazione grafica non possa conseguire una nuova attribuzione di categoria o classe.
La sentenza impugnata avrebbe dunque errato nella parte in cui non ritiene ‘in alcun modo possibile modificare i profili catastali dell’immobile’ in difetto di variazioni intrinseche o estrinseche dell’immobile, in quanto sarebbe pacifico, infatti, che il contribuente abbia piena facoltà di procedere alla modifica dei profili catastali
ogniqualvolta la situazione di fatto o di diritto dell’unità immobiliare non sia ab origine veritiera.
2.2. La censura è inammissibile, atteso che la CTR non ha fondato su tale assunto la propria decisione, bensì su rilievi specifici relativi ai parametri di riferimento, quali la zona di alto pregio e l’esistenza di caratteristiche intrinseche (come il doppio ingresso, l’ascensore, la distribuzione degli spazi interni, la superficie di 150 mq e l’altezza di 3,60 m.).
2.3. Quanto al profilo inerente alla non modificabilità della classe o categoria a seguito della procedura di inesatta rappresentazione grafica, l’assunto è infondato. La natura della variazione comunicata con la DOCFA -consistente nella richiesta di correggere un errore di descrizione grafica -importa un elemento correttivo sotto l’aspetto grafico, in ragione di errori commessi in precedenza, ma non determina automatiche conseguenze sul diverso classamento, dovendo le stesse eventualmente conseguire dall’apporto di variazioni in tal senso significative, legate però non a modifiche sopravvenute, ma alla modifica della originaria (errata) rappresentazione dello stato dell’immobile .
2.4. Tale procedura di correzione grafica ha comunque conseguenze, sia per l’amministrazione che per il contribuente .
2.5. Il comune, accettando tale correzione (nel caso di specie, di fatto, confermando la classificazione catastale precedentemente attribuita), riconosce la sussistenza del precedente errore grafico, facendo propria la correzione, con ogni relativa conseguenza in termini fiscali, urbanistici ed amministrativi, e con le correlate responsabilità in capo all’ente medesimo . In altre parole, il comune, accettando la correzione proposta e riconoscendo implicitamente l’esistenza di un errore grafico originario nella rappresentazione catastale dell’immobile pone in essere un atto che non può considerarsi neutro: integrando la correzione nei propri atti amministrativi, l’amministrazione se ne
assume pienamente la responsabilità, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Sul piano urbanistico, l ‘ accettazione della correzione ha, ad esempio, conseguenze sul riconoscimento di pregressi diritti edificatori o per l’inquadramento dell’immobile in una determinata categoria d’uso : l a dichiarazione implicita che l’errore grafico era preesistente influisce difatti sulla conformità urbanistica dell’immobile, rispetto alla destinazione d’uso prevista dal piano regolatore ed alla sua esatta pregressa consistenza.
Dal punto di vista amministrativo, l’accettazione dell’errore grafico originario e della sua correzione comporta, quindi, la responsabilità del comune per eventuali conseguenze negative generate dall’erronea classificazione. Ad esempio, se l a nuova rappresentazione catastale ha dato l’apparenza di legittimità urbanistica all’immobile come nel caso di certificati catastali utilizzati in ambito notarile per compravendite o mutui -il comune può essere chiamato a rispondere per eventuali danni subiti dai terzi che abbiano fatto affidamento su tale erronea rappresentazione, in quanto fatta propria dal comune.
Anche sul piano fiscale, la rettifica grafica accettata non può ritenersi neutra: essa incide sulle modalità di determinazione della rendita catastale, e quindi sull’applicazione delle imposte e tasse locali o statali, quali l’IMU o la TARI.
2.6. Proprio in ragione di questo ordine di conseguenze è da rinvenirsi la giustificazione del potere di intervento -nel caso di specie attuato con il ripristino della categoria assegnata in precedenza -da parte dell’amministrazione.
2.7. Sulla scorta di tali considerazioni, deve quindi riconoscersi che dall’accettazione di una pratica per inesatta rappresentazione grafica può conseguire anche una modifica di categoria o classe da parte dell’Amministrazione . Tuttavia, ciò deve avvenire in base agli
elementi specifici apportati in modificazione grafica dal contribuente, quale, ad esempio, la maggiore estensione di un immobile o di una parte di esso per errata misura delle mura o la presenza (dichiarata in modifica) di taluni di quegli elementi idonei ad identificare l’immobile nell’alveo di una specifica categoria/classe piuttosto che un’altra.
Parimenti, deve riconoscersi per le stesse ragioni il potere di intervento da parte dell’Amministrazione , che invece i ricorrenti vorrebbero negare.
2.7. Quanto argomentato vale anche per il contribuente, il quale può – per il tramite della procedura di inesatta rappresentazione grafica – introdurre elementi tali da determinare anche una variazione di categoria, sempre tali elementi fossero preesistenti. La differenza rispetto alla procedura di modifica catastale ordinaria è, difatti, che tali elementi in variazione non sono sopravvenuti, ma preesistenti, ancorché erroneamente rappresentati negli originari o comunque precedenti impianti grafici.
Dunque, la richiesta da parte del contribuente di variazione del classamento catastale in categoria diversa, contenuta in una domanda di correzione per inesatta rappresentazione grafica, deve essere accompagnata necessariamente da elementi significativi e idonei alla variazione del classamento stesso, e non da una semplice volontà in tal senso.
2.8. Nella fattispecie nulla di tutto ciò si è verificato.
2.9. Anzi, al contrario, l ‘ amministrazione si è limitata a riportare alla attribuzione catastale nella categoria precedente (A/1), immotivatamente modificata dal contribuente con la procedura di inesatta rappresentazione grafica in categoria fiscalmente più favorevole (A/2). Non si discute, quindi, della legittimità di una iniziativa in pejus dell’amministrazione, ma, all’opposto, della correttezza della dichiarazione ex se da parte del contribuente, che senza alcuna idonea ragione correlata alla modifica grafica (o
comunque con ragioni che non risultano emerse nel presente contenzioso) ha ingiustificatamente correlato a tale procedura (comunque accettata dal comune) la ulteriore conseguenza in melius della variazione di categoria, non accolta.
2.10. Rettamente la CTR ha dunque ritenuto che non vi fosse stata alcuna delle invocate violazioni di legge.
2.11. Il motivo va quindi respinto.
Alla luce delle argomentazioni che precedono, consegue il rigetto del l’intero ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, com ma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dov uto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, in data 11/03/2025.