Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7618 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7618 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25785/2020 R.G. proposto da :
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sede di ROMA n. 180/2020 depositata il 14/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I contribuenti hanno presentato nel 2014 una pratica DoRAGIONE_SOCIALE per una diversa distribuzione degli spazi interni, proponendo una nuova classificazione catastale in categoria A/2, classe 3, con una consistenza di 10,5 vani e una rendita di € 2.819,85, rel ativamente ad immobile sito in Roma nel INDIRIZZO. Tale immobile era stato precedentemente riclassificato nel 2013 dall’Agenzia delle Entrate, nell’ambito di una revisione ex lege 311/2004, in categoria A/1, classe 3, con una rendita di € 4 .799,18. Questa classificazione era diventata definitiva per mancata impugnazione da parte dei proprietari.
Con riferimento alla nuova variazione proposta, l’Agenzia ha rettificato la richiesta, mantenendo la categoria A/1 e aumentando la consistenza a 12,5 vani, con una rendita catastale incrementata a € 5.713,30. Tale rettifica è stata notificata ai proprietari, respingendo così la proposta di declassamento avanzata nella pratica del 2014.
I contribuenti hanno impugnato il classamento innanzi alla CTP, la quale ha accolto il ricorso con sentenza n. 26340/01/2017.
L’Agenzia ha proposto appello e la CTR , con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la decisione di primo grado a favore dei contribuenti, annullando l’avviso di accertamento che aveva modificato il classamento dell’immobile da A/2 a A/1, considerandolo carente di motivazione e basato su valutazioni non supportate dalle caratteristiche effettive dell’immobile.
Avverso la suddetta sentenza di gravame l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo, cui ha resistito con controricorso la contribuente.
Successivamente ambedue le parti costituite hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380. bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con unico motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 , c.p.c., l’amministrazione deduce la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 3, comma I della Legge n. 241/1990 e dell’art. 7, comma 1 della Legge n. 212/2000, nonché la violazione e/o falsa applicazione delle principali norme che regolano il Catasto Edilizio Urbano, quali il R.D.L. 13 Aprile 1939, n. 652 (convertito con modificazioni nella legge 11 Agosto 1939, n. 249 e successivamente variato con D.lgs. 8 Aprile 1948, n 514); il D.P.R. del 1 dicembre 1949, n. 1142; l’ art. 11 del D.L. del 14 Marzo 1988, n. 70 convertito con modificazioni dalla legge 13 maggio 1988, n. 154 recante ‘ Norme in materia tributaria nonché per la semplificazione delle procedure di accatastamento degli immobili urbani ‘ , nonché violazione e/o falsa applicazione del D.M. del 2 agosto 1969 n. 1072 relativa alle ‘Caratteristiche delle abitazioni di lusso’. In particolare sostiene che, diversamente da come valutato dal giudice del gravame, l’avviso di accertamento conterrebbe tutti gli elementi necessari, inclusi riferimenti normativi, identificativi catastali, ubicazione, classificazione dell’immobile, rendita catastale, possessore e motivazione della rettifica. Inoltre, la CTR avrebbe erroneamente valutato la non congruità della categoria A/1, applicata all’immobile, basandosi sulle norme che definiscono le caratteristiche degli immobili di lusso (D.M. 1072/69), invece che sulle norme catastali che definiscono le abitazioni di tipo signorile, dovendo – secondo l’Agenzia – l’attribuzione della categoria catastale avvenire sulla base delle caratteristiche costruttive e dell’uso appropriato dell’immobile: l’attribuzione della categoria A/1 non implica necessariamente che l’immobile costituisca un’abitazione di lusso, ma viene assegnata anche ad unità immobiliari in zone di pregio, con caratteristiche costruttive superiori alla media, ampiezza dei vani e altezze interne superiori alla media.
1.1. Parte controricorrente ha replicato con sei distinti argomenti, eccependo sub 1) l’inammissibilità dell’impugnazione per difetto di contraddittorio, atteso che la sentenza d’appello è stata emessa nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME,
comproprietari dell’immobile e che l’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza solo nei confronti di COGNOME, tralasciando gli altri comproprietari, che sono considerati litisconsorti necessari.
Ha rilevato altresì (deduzione sub 2) che si contesta, inammissibilmente, la valutazione dei fatti operata dai giudici di merito, che hanno ritenuto non corretta la classificazione dell’immobile in A/1 e la infondatezza dell’impugnazione per insussistenza e mancata prova degli elementi di fatto denunciati dalla parte ricorrente: l’Agenzia non ha fornito una motivazione adeguata per la rettifica del classamento e l’avviso di accertamento sarebbe carente di un’analisi concreta e specifica delle caratteristiche dell’immobile, limitandosi a enunciare principi generali. La mancata coincidenza tra abitazione di lusso e immobile di categoria A/1 (argomento sub 3)) sarebbe inoltre irrilevante nel caso specifico, poiché i presupposti per l’attribuzione del classamento preteso dall’Ufficio non sono stati provati. Vi sarebbe poi un difetto di collegamento tra la norma invocata e la elencazione delle norme (argomento sub 4)), regolamenti e sentenze e la motivazione dell’avviso di accertamento non conterrebbe “nuovi dati di classamento e di rendita”, con conseguente carenza motivazionale (argomento sub 5), non avendo fornito un’analisi relativa a ciascun dato o elemento concreto dell’immobile, confrontandolo con le caratteristiche di una “casa signorile” (A/1). Infine, sub 6) si evidenzia che la descrizione dell’immobile fatta dall’Agenzia conterrebbe inesattezze, come l’inesistente doppio ingresso e il numero di servizi igienici, senza un sopralluogo, con grossolani errori che rendono inattendibile l’intera azione accertativa.
In primo luogo deve farsi chiarezza in merito al rapporto tra il classamento catastale nella categoria A/1 e la normativa di cui al D.M. del 2 agosto 1969 n. 1072 relativa alle ‘Caratteristiche delle abitazioni di lusso’, espressamente invocato da parte ri corrente a sostegno della propria censura.
2.1. Va rilevato in proposito che in tema di estimo catastale, la legge non fornisce una definizione specifica delle categorie e classi catastali. Pertanto, la qualificazione di un’abitazione come “signorile”, “civile” o “popolare” si basa su un apprezzamento fattuale, fondato sulle nozioni comunemente accettate in un determinato contesto storico e sociale. Queste nozioni sono soggette a variazioni nel tempo, sia per il mutamento della percezione collettiva sia per condizioni oggettive come il degrado dell’immobile o dell’area in cui esso si trova. Tuttavia, tali qualificazioni non devono essere desunte dal D.M. 2 agosto 1969, che ha una diversa finalità, ossia definire i criteri per qualificare un immobile come “di lusso”.
2.2. La categoria catastale A/1 (“Abitazioni di tipo signorile”) si riferisce a unità immobiliari situate in zone di pregio con caratteristiche superiori agli standard residenziali ordinari, ma non implica necessariamente che l’immobile sia qualificabile come “di lusso” ai sensi del D.M. 2 agosto 1969, essendo quest’ultimo orientato a individuare criteri specifici che escludono determinate abitazioni da agevolazioni fiscali, in base a requisiti legati, ad esempio, alla destinazione a ville, alla presenza di un parco privato, all’estensione del lotto, alla dotazione di strutture come piscine o campi da tennis, o, come nel caso di specie, al superamento di determinate soglie di superficie o caratteristiche tecniche.
In sintesi, il procedimento di classamento catastale attribuisce una categoria, una classe e una rendita agli immobili, mentre la qualificazione come “di lusso” ha un diverso scopo normativo, riferito all’applicazione di agevolazioni fiscali, e richiede la presenza di requisiti specifici stabiliti dal D.M. 2 agosto 1969.
2.3. Ciò chiarito, e dunque condividendosi in parte qua l’assunto difensivo della difesa erariale, deve tuttavia rilevarsi che il motivo di ricorso non è idoneo a superare la ratio decidendi della sentenza di appello, nella parte in cui afferma -con valutazione che è comunque
sindacabile in questa sede di legittimità solo entro ristrettissimi limiti -che la difesa erariale non ha prodotto prove idonee a dimostrare che l’immobile presenta i requisiti per l’accatastamento nella categoria d i riferimento rettificata (A/1).
Testualmente deduce la CTR: ‘né l’Ufficio ha contestato le circostanze addotte dal perito, che ha rilevato trattarsi di un’abitazione al primo piano, con affacci prevalentemente all’interno, non dotata di finiture di lusso, quali ad es. pavimenti o rivestimenti in marmo, o altre car atteristiche idonee per poter essere classificata in A/1’.
La decisione gravata non ha quindi fatto esclusivo riferimento ai parametri degli immobili di lusso, come erroneamente si deduce da parte dell’Agenzia ricorrente, ma ne ha fatto riferimento, integrandoli con altri elementi di valutazione, ed avvalorando la perizia di parte di cui ha fatto proprio il contenuto, nell’affermare che non era stat o provato il fondamento della pretesa operata in sede di rettifica, mentre gli elementi probatori di controparte non erano stati adeguatamente contestati.
2.4. La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto, con principio ormai consolidato, che « Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa » (Cass. 26/02/2024, n. 5102).
2.5. La mancata contestazione di una ratio decidendi di per sé idonea a sorreggere la motivazione rende quindi inammissibili gli altri motivi, per difetto di interesse, atteso che l’accoglimento eventuale dei motivi non determinerebbe una modifica della statuizione d’appello. Ciò
è quanto avvenuto nel caso di specie, non avendo l’amministrazione fornito elementi idonei -seppur nei ristretti limiti in cui ciò è ammesso in sede di legittimità – a superare la valutazione della prova operata dalla CTR, pur contestata sotto il profilo della violazione di legge, deducendo , erroneamente, l’uso esclusivo da parte del giudice del gravame dei parametri definiti per le abitazioni di lusso di cui al citato D.M..
Alla luce di quanto sopra illustrato, deve essere disattesa anche la eccezione formulata in merito alla omessa integrazione del contraddittorio.
Invero, alla luce dell’esito dell a controversia nella sua sostanza, deve ritenersi che l’obbligo di integrazione del contraddittorio possa ritenersi superato, in quanto sarebbe inutiliter dato .
3.1. La giurisprudenza ha chiarito che «Nel processo tributario, in tema di giudizio con pluralità di parti, l’art. 53, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove prevede la sua proposizione nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili, dipendenti e scindibili, così come delineata dalle regole processual-civilistiche, e pertanto, nei limiti del rispetto delle regole prescritte dagli artt. 331 e 332, cod. proc. civ., applicabili al processo tributario, non vi è l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti, pur presenti nel giudizio di primo grado, il cui interesse alla partecipazione al grado d’appello, per cause scindibili, sia venut o meno (Cass., sez. un., 05/12/2024 n. 11676).
3.2. Va in proposito rimarcato che il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia ” prima facie ” infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività
processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (Cass. 26/10/2021, n.30090).
In considerazione di tali argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3500,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 11/03/2025.