Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13513 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13513 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18628/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege
-ricorrente-
CONTRO
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DEL LAZIO n. 4018/2023 depositata il 30/06/2023
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio che ha accolto l’appello avverso la sentenza della CTP di Roma , di rigetto del ricorso proposto da NOME COGNOME per l’annullamento dell’avviso di accertamento catastale in rettifica, con il quale era stata attribuita all’immobile di sua proprietà la cat. A1, classe 2, in luogo della cat. A2, classe 3 proposta dal medesimo in sede di procedura DOCFA.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado, escluso il difetto di motivazione dell’atto, ha rilevato che il ripristino della cat. A1 da parte dell’Ufficio era fondato, da un lato, sulla considerazione secondo la quale ‘le unità classate di impianto in categoria signorile non perdono i requisiti peculiari con semplice divisione in unità più piccole in quanto i parametri che ne hanno determinato il classamento originario rimangono invariati’, dall’altro, sulla comparazione fra l’unità immobiliare dei contribuenti e quelle nel medesimo modo classate nelle zone limitrofe, risultate coerenti con le caratteristiche estrinseche ed intrinseche, elencate nel medesimo atto. Ciò posto, ha ritenuto che – a fronte della perizia prodotta dal contribuente, descrittiva dello stato dell’immobile e contenente un dettagliato raffronto fra il medesimo ed altre unità immobiliari ubicate nella zona -l’appartamento oggetto del riclassamento non rivestisse le caratteristiche della cat. A1 di tipo signorile, non presentando, peraltro, le caratteristiche intrinseche di cui al d.m. 4 dicembre
1961, idonee a ricondurlo alla cat. A1. La Corte ha, altresì, evidenziato che il frazionamento di un’unità in unità più piccole comporta ragionevolmente un ridimensionamento dei locali e una conseguente minore luminosità, con ricadute sulla rendita. Incombendo sull’Ufficio l’onere di dimostrare, in sede di avviso di accertamento, l’inesattezza di quanto dedotto dal contribuente con la DOCFA, la Corte ha considerato irrilevanti i rilievi, formulati dall’Agenzia delle Entrate solo in sede di controdeduzioni, rivolti a dimostrare che l’immobile ha caratteristiche di pregio, e motivazione dell’avviso, infatti, non può essere integrata in corso di causa, se non rendendo vana la sanzione di nullità prevista dall’art. 7 l.212 del 2000.
NOME COGNOME resiste con controricorso, depositando ulteriore memoria con cui ribadisce ed ulteriormente argomenta le conclusioni assunte. La ricorrente ha depositato memoria di mero richiamo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate formula tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione del d.m. 4 dicembre 1961, nonché delle disposizioni di cui al r.d.l. n. 652 del 1939, del d.P.R. 1142 del 1949, del d.l. 70 del 1988 e del d.m. 701 del 1994. Osserva che la normativa che regola il classamento delle unità immobiliari è indipendente dalle previsioni di cui al d.m. 2 agosto 1969, riguardante la categoria ‘lusso’, da non confondersi con quella che individua le abitazioni ‘signorili’, sicché il suo richiamo da parte della Corte di secondo grado è inconferente.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.. Assume che il giudice del gravame non solo ha omesso
di tenere in considerazione le prove dedotte, ma neppure ha tenuto conto delle eccezioni difensive introdotte dall’Ufficio. Richiamate le norme che regolano il Nuovo Catasto Urbano, ha rilevato che all’immobile è stata assegnata la cat. A1 e la classe 2, anche avuto riguardo alle previsioni di cui alla Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 1992, che descrive le caratteristiche generalmente riscontrabili nella cat. A1, dovendosi riscontrare che l’abitazione è ubicata in zona di pregio (quartiere Trieste) a pochi passi da INDIRIZZO e vicina alla metropolitana, che l’immobile è dotato di doppia scala, che le caratteristiche di finitura debbono considerarsi di pregio e lo stato manutentivo buono, che i vani presentano altezze considerevoli (m. 3,40). Il classamento in cat. A1, infatti, non è che un ripristino, mentre nello stesso edificio, vi sono unità immobiliari ricavate da frazionamenti, cui è attribuita la cat. A1. Richiama alcuni classamenti di appartamenti dello stesso edificio, non presi in considerazione dalla comparazione effettuata dal ricorrente, che confermano il corretto inquadramento operato dall’Ufficio.
Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1n. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. 212 del 2000 e dell’art. 3 l. 241 del 1990. Sostiene che la Corte abbia messo sullo stesso piano l’obbligo di motivare l’avviso di accertamento con il diritto di proporre eccezioni difensive in risposta alle deduzioni di controparte e sottolinea che le eccezioni introdotte per contestare la perizia sono mere difese e nulla hanno a che fare con gli obblighi motivazionali dell’atto.
Va, innanzitutto, respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dal controricorrente, ‘per oscura esposizione dei fatti di causa e conseguente pregiudizio dell’intellegibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, in
violazione dei requisiti di forma stabiliti dall’art. 366 cod. proc. civ.’.
L’errata attribuzione al contribuente delle domande di frazionamento del 28 febbraio 2007, del 17 aprile 2014, respinta e divenuta asseritamente definitiva, del 31 maggio 2018 e del 20 novembre 2018, (tutti documenti mai depositati) avendo NOME COGNOME acquistato l’immobile solo in data 11 marzo 2018, ingenererebbe, infatti, l’impossibilità di comprendere la vicenda sottostante.
Invero, benché effettivamente l’Agenzia delle Entrate attribuisca a NOME COGNOME richieste dal medesimo non formulate stante l’acquisto del bene in data posteriore – vi è che il ricorso per cassazione non trae alcuna considerazione rilevante dalla sua parte narrativa, concentrando i motivi di impugnazione esclusivamente sulla sentenza.
Il primo motivo è inammissibile.
La doglianza -in rubrica- censura la sentenza per falsa applicazione del d.m. 2 dicembre 1961, svolgendo, tuttavia, argomentazioni che riguardano il d.m. 2 agosto 1969, neppure citato dalla decisione impugnata.
Ora, al di là del richiamo del d.m. 2 dicembre 1961, anziché del d.m. 2 agosto 1969 -entrambi inerenti alla individuazione della caratteristiche delle abitazioni di lusso ed applicabili ratione temporis in relazione alla data di rilascio del permesso di costruzione- va sottolineato che la sentenza gravata non affronta la definizione dei parametri delle abitazioni di lusso, né per sovrapporli, né per distinguerli da quelli delle abitazioni signorili, limitandosi ad affermare che vi è ‘una evidente discordanza tra le caratteristiche intrinseche dell’immobile rispetto a quelle richieste dal d.m. 4.12.1961 per essere ricondotte alla tipologia ‘signorile’.
Benché la C.T.R. richiami la normativa ministeriale sulle abitazioni c.d. di lusso non a proposito, tuttavia, non la pone a base della decisione, essendo questa fondata sulla perizia della parte contribuente, descrittiva delle caratteristiche dell’immobile oggetto di rettifica e di quelli ubicati nella stessa zona classificati nella cat. A1. E’, infatti, dal loro raffronto, che il giudice di seconda cura ricava l’incoerenza della classificazione dell’abitazione del contribuente nella cat. A1, come adottata dall’Ufficio.
La censura, dunque, non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, soffermandosi su una affermazione del tutto ultronea rispetto alla reale motivazione sottesa alla pronuncia.
Il secondo motivo è, per un verso, infondato e, per l’altro, inammissibile.
Al di là dell’assunto secondo il quale ‘la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata; mentre non sono riconducibili alla previsione in parola del codice di rito le censure che investono la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Sez. 3, n. 13395 del 29/05/2018; Sez. 4, n. 17313 del 19/08/2020; Sez. 3, n. 15107 del 17/06/2013, Rv.; Sez. 5, n. 2935 del 10/02/2006,; Sez. 3, n. 13618 del 22/07/2004, – 01; Sez. 5, sentenza n. 6055 del 16/04/2003), vi è che la Corte di secondo grado ha formato il suo convincimento nel pieno rispetto della regola di distribuzione dell’onere probatorio, semplicemente ritenendo che le prove offerte dal ricorrente siano idonee a dimostrare l’errore del classamento dell’immobile nella categoria delle ‘abitazioni signorili’. E questo, vuoi perché dalla perizia
descrittiva delle sue caratteristiche e comparativa delle stesse con quelle ubicate nella stessa zona ed inquadrate nella cat. A1 la Corte ha ricavato una significativa differenza, vuoi perché ha ritenuto che, di per sé, il frazionamento dell’originario appartamento in più unità abitative, comportando una sensibile ridimensionamento degli spazi e della luminosità, avrebbe imposto una diversa giustificazione d a parte dell’Ufficio dell’attribuzione della categoria A1 all’unità derivata, che considera essere mancata.
Va ricordato, inoltre , che ‘Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. Sez. 5, 22/11/2023, n. 32505). Di qui il profilo di inammissibilità della censura.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura, anche in questo caso, non coglie la ratio decidendi . Invero, il giudice di secondo grado non dubita della adeguatezza della motivazione dell’avviso in rettifica – ed anzi la afferma, sostenendo che il riclassamento da parte dell’Ufficio è stato giustificato con le modifiche interne apportate all’immobile -non condividendone, tuttavia, il contenuto.
E’ pur vero che la Corte di secondo grado nega, in via generale, la possibilità di integrare, nel corso del giudizio, la motivazione dell’avviso di accertamento, peraltro allineandosi sul punto alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale, in tema di revisione catastale, non è consentito all’amministrazione finanziaria sopperire in sede processuale alle lacune dell’atto di classamento impugnato per difetto di motivazione, mentre resta salva la possibilità, nonostante l’accoglimento della domanda del contribuente, di emettere un nuovo provvedimento, sempre che non si sia verificata decadenza dalla pretesa impositiva e sempre che la pronuncia non abbia statuito nel merito del rapporto tributario (Cass., Sez. 5^, 31 ottobre 2014, n. 23248; Cass., Sez. 5^, 12 ottobre 2018, n. 25450; Cass., Sez. 6^-5, 14 luglio 2020, n. 14931; Cass., Sez. 6^-5, 27 ottobre 2021, n. 30250; Cass., Sez. 5^, 21 dicembre 2022, n. 37371; Cass., Sez. 5^, 19 ottobre 2023, n. 29085). Ma, egualmente, anche volendo, come preteso, attribuire alla controdeduzioni dell’Ufficio il valore di mere difese -in quanto rivolte unicamente a contestare la perizia, ancorché esse non siano riprodotte in ricorso- ed affermando che ‘In tema di revisione catastale, la preclusione ad una postuma e tardiva integrazione, con valore sanante, di una motivazione carente o insufficiente del provvedimento di riclassamento non impedisce all’Amministrazione finanziaria di controdedurre rispetto alle censure del contribuente in sede processuale per difendere la motivazione ab origine adeguata, anche con la prospettazione ad abundantiam di nuovi argomenti o la produzione di nuovi documenti, che non erano stati enunciati, riprodotti o menzionati nell’avviso di rettifica catastale, ma che, comunque, assumono rilevanza processuale sul piano della delimitazione del thema decidendum e del thema probandum . (Cass. Sez. 5, 13/06/2024, n. 16573), la decisione regge alla critica.
La Corte di secondo grado, infatti, esamina comunque le deduzioni dell’Ufficio, rilevando che ‘si tratta per lo più di aspetti estetici che investono le caratteristiche costruttive, lo stato di manutenzione, la zona di ubicazione, (quartiere ‘Trieste’), la presenza di doppio ingresso, intonaci pitturati’ ritenendo che ‘questi aspetti non sono in grado di superare le motivazioni puntuali dell’appellante supportate anche dalla documentazione fotografica allegata all’elaborato peritale’. Si tratta, dunque, di una valutazione di merito non censurabile in questa sede, tanto meno facendo valere il vizio di cui all’art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., posto che la qualificazione dell’abitazione come ‘signorile’, ‘civile’ o ‘popolare’ non è definita dalla legge, ma costituisce un apprezzamento di fatto da riferire a nozioni presenti nell’opinione generale, cui corrispondono specifiche caratteristiche che sono, peraltro, mutevoli nel tempo, sia nella percezione dei consociati, che sul piano oggettivo.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi in euro 3.500,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A come per legge.
Non si fa luogo alla pronuncia in ordine al pagamento del doppio contributo, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, non sussistendone i presupposti in ragione della natura giuridica di PA della parte ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi in euro 3.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A come per legge.
Così deciso in Roma, in data 11 marzo 2025 .