Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21262 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21262 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22495/2019 proposti da:
Agenzia delle Entrate (C.F.: 06363391001), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata –
-avverso la sentenza n. 259/2/2019 emessa dalla CTR Campania -Sezione distaccata di Salerno, in data 17/01/2019 e non notificata; udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte
Avviso
accertamento
catastale
–
Partitore idrico
– Cat. D/1, anziché E/9
contribuente avverso un avviso di accertamento catastale con il quale si procedeva a rettificare il classamento di una unità immobiliare sita nel comune di Castellabate dalla categoria E/9 proposta a quella D/1.
La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 259/02/19 depositata il 17 gennaio 2019, respingeva l’appello dell’Agenzia, osservando che occorre distinguere tra immobili della categoria catastale D e quelli di cui alla categoria catastale E. I primi comprendono una serie di fabbricati che, per le loro caratteristiche, sono destinati ad attività lucrative, mentre nella categoria E sono compresi gli altri immobili tra cui gli acquedotti civili ed i fabbricati posti a loro servizio che, per le particolarità della destinazione a fini di pubblica utilità, non presentano caratteristiche tali da poterli considerare autonomi ai fini della produzione di un reddito. Nella specie, la società contribuente è una società che rende un servizio pubblico e agisce senza fini di lucro e la riscossione dei canoni non costituisce utile d’impresa, ma ha la funzione di copertura dei costi di gestione e produzione dell’acqua e dei servizi connessi. L’immobile oggetto dell’avviso è un partitore idrico, come tale inquadrabile nella categoria E/9, e l’Agenzia nell’atto di appello non ha fatto altro che ripetere definizioni standardizzate, senza operare censure specifiche sui punti della sentenza di primo grado.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, mentre la parte contribuente si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione, depositando, a ridosso di quest’ultima, memoria illustrativa.
Con ordinanza interlocutoria il Collegio, reputando che la particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la Corte deve pronunciare rendesse opportuna la trattazione in pubblica udienza della quinta sezione civile, in ragione di quanto previsto dall’art. 380-bis, comma 3, c.p.c., disponeva il rinvio a nuovo ruolo.
Considerato che
Preliminarmente, vanno considerate inammissibili le memorie depositate dalla contribuente.
Invero, è inammissibile il deposito di memorie ex art. 378 c.p.c., prima della udienza di discussione, da parte dell’intimato che si sia costituito oltre il termine fissato nell’art. 370, comma 1, c.p.c., non potendo, per l’effetto, i giudici conoscerne il contenuto, ferma restando la facoltà per il difensore del resistente di partecipare alla eventuale discussione orale. In altri termini, nel giudizio di cassazione è irricevibile la memoria difensiva presentata in prossimità della udienza con la quale la parte che non ha depositato (tempestivamente) il controricorso spiega -per la prima volta -le ragioni di resistenza al ricorso, perché, in assenza di controricorso, la parte intimata non può presentare memorie (Cass., sez. III, 28 febbraio 2019, n. 5798, ord.).
Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5 e 10 del R.D.L. n. 652 del 1939 convertito in legge n. 1249 del 1939, artt. 8 e 10 del regolamento per la formazione del catasto edilizio urbano, approvato con d.P.R. n. 1142 del 1949, art. 2 del D.M. delle Finanze del 2 gennaio 1998, n. 28, e art. 2, comma 40, del D.L. n. 262 del 2006, convertito nella legge n. 286 del 2006 afferenti al classamento degli immobili urbani a destinazione speciale, nonché dell’art. 2195, n. 1, c.c., atteso che quest’ultima disposizione definisce commerciale un’attività diretta alla produzione di beni e servizi, e dell’art. 5, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972 in quanto trattasi di immobile oggettivamente destinato ad una gestione reddituale concernente attività industriale, indipendentemente dalle finalità di interesse generale perseguite dal soggetto intestatario.
Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 161 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché degli artt. 24 e 111 Cost., perché la sentenza della Commissione Tributaria Regionale non conterrebbe una adeguata e sufficiente motivazione, sia per difetto di un esplicito resoconto dei fatti di causa che delle ragioni poste a fondamento della decisione.
Il secondo motivo, da trattarsi, in applicazione dell’art. 276, secondo comma, c.p.c., prioritariamente, è infondato.
Invero, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Nel caso di specie, la motivazione resa dalla CTR si pone senz’altro al di sopra del cd. minimo costituzionale, avendo, con argomentazioni congrue dal punto di vista logico-formale, esplicitato le ragioni per le quali l’immobile oggetto dell’avviso (un partitore idrico) fosse inquadrabile nella categoria catastale E/9, anziché in quella D.
5. Il primo motivo è, invece, fondato.
La questione è stata già affrontata e decisa da questa Corte prima in relazione ai riflessi concernenti l’I.C.I. – con soluzione a cui si è ritenuto di poter dare continuità con riguardo alla classificazione catastale (Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2019, n. 9427) -, e successivamente anche con specifico riferimento ad avviso di accertamento di rendita catastale (Cass. 2247/2021; cfr., nello stesso senso, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18946 del 2022 e Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9427 del 2019).
Va premesso che la qualificazione nel gruppo “E” è propria di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri, ecc.), con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale che li rendono sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale. Una conferma di tale impostazione
è data dall’art. 2, comma 40, del d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006 n. 286, a tenore del quale: «Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale».
Dal che si evince come la citata norma instauri una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria “E”, da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro lato, sicché diventa dirimente, ai fini della valutazione del corretto censimento del immobile, accertare se la gestione dell’impianto di depurazione presentasse gli obiettivi caratteri della economicità intesa quale perseguimento del cosiddetto lucro oggettivo, ossia il rispetto di un criterio di proporzionalità tra costi, e ricavi nel senso che questi ultimi tendono a coprire i primi remunerando i fattori produttivi (in termini: Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2019, n. 9427).
La normativa di settore (art. 9, comma 1, della legge 5 gennaio 1994 n. 36: « I comuni e le province di ciascun ambito territoriale ottimale di cui all’articolo 8, entro il termine perentorio di sei mesi dalla delimitazione dell’ambito medesimo, organizzano il servizio idrico integrato, come definito dall’articolo 4, comma 1, lettera f), al fine di garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità»; art. 141 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152: «Il servizio idrico integrato è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie»; art. 154, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, nel testo modificato, all’esito del referendum abrogativo disposto con il d.P.R. 23 marzo 2011, dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. 18 I luglio 2011 n. 116: «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e
del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo»), con riferimento alla gestione del servizio idrico integrato, richiama i principi di efficienza, efficacia ed economicità.
Posto che sono classificabili come “servizi a rilevanza economica” (art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, nel testo novellato dall’art. 35 della legge 28 dicembre 2001 n. 448) tutti quei servizi pubblici locali assunti dall’ente competente laddove la tariffa richiedibile all’utente sia potenzialmente in grado di coprire integralmente i costi di gestione e di creare un utile d’impresa che non deve essere di modesta entità, l’inquadramento del servizio idrico integrato in tale schema è stato confermato dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 325 del 3 novembre 2010 e n. 187 dell’8 giugno 2011, affermandosene la riconducibilità alle materie della “tutela della concorrenza” e della “tutela dell’ambiente”, che pertengono alla esclusiva competenza legislativa dello Stato .
Del pari, la giurisprudenza di legittimità ha messo in risalto che la tariffa del servizio idrico integrato configura ormai il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, che trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente nel patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza (Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2014, n. 12763; Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2014, n. 12769), confermando l’ispirazione della relativa gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, in coerenza con il requisito teleologico minimo per l’assunzione della qualifica imprenditoriale (art. 2050 c.c.).
Del resto, avuto riguardo alla natura economica dell’attività di gestione del servizio idrico integrato (Cass., 8 febbraio 2022, n. 3921; Cass., 2 febbraio 2021, n. 2247), il partitore, inteso come impianto, sia in muratura (dunque
suscettibile di accatastamento quale u.i.) sia per componenti tecnologiche deve essere accatastato (dovendosi tener conto dell’art. 1, comma 21, l. n. 208 del 2015: <>).
Con riferimento a sulla autonomia funzionale e reddituale, il d.l. n. 262 del 2006, art. 2, comma 40, conv. in l. n. 286 del 2006, già in precedenza riprodotto, stabilisce che: <>. Come si desume dalla disposizione, in tanto può porsi la questione dell’autonomia funzionale e reddituale, nei termini segnati dalla disposizione, in quanto vengano in considerazione unità immobiliari del gruppo E che comprendano (cioè che denotino la presenza di) ulteriori unità immobiliari suscettibili di autonomo classamento. La norma è formulata in negativo (nel senso che indica gli immobili che non vanno classificati nel gruppo E) e quindi non riguarda la estensione del raggruppamento esente da imposta, bensì la sua delimitazione (Cass., 15 settembre 2008, n. 23608).
Ebbene, l’oggetto del classamento catastale (la minima unità inventariale) è appunto l’unità immobiliare.
Avuto riguardo, quindi, ai dati normativi desumibili
dal r.d.l. n. 652 del 1939, art. 5, conv. in l. 1249 del 1939, – secondo il quale «Si considera unità immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio.», – dal d.p.r. n. 1142 del 1949, art. 40, – alla cui stregua
«Si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente.»,
– e dal d.m. 2 gennaio 1998, n. 28, art. 2, – secondo il cui disposto l’unità immobiliare «è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale.», – la Corte ha avuto modo di precisare che «l’accatastamento viene dalla normativa riferito non al fabbricato in quanto tale, bensì alla nozione di unità immobiliare urbana (UIU), a sua volta rapportata ad una componente immobiliare (rilevante ex art. 812 c.c.) suscettibile di autonoma funzionalità e redditività.» (Cass., 23 maggio 2018, n. 12741); il manufatto destinato a partitore ha senz’altro una sua autonomia funzionale e reddituale -secondo le cennate disposizioni -ed è quindi suscettibile di autonomo accatastamento; nella sua dimensione funzionale, però, concorre allo svolgimento di un’attiv ità economica e, allora, è destinato ad un’attività produttiva, come deve ritenersi per le unità immobiliari a destinazione cd. speciale, nel senso che va ascritta alle unità immobiliari <> (r.d.l. n. 652 del 1939, art. 10, conv. in l. n. 1249 del 1939; d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 8).
Né la natura economica dell’attività viene meno per la circostanza che a gestire il servizio pubblico sia direttamente l’ente territoriale ovvero una azienda municipalizzata o una società partecipata dal Comune, in quanto ciò che rileva ai fini del classamento catastale sono le caratteristiche dell’immobile e la sua destinazione funzionale. In particolare, l’interesse generale cui allude la gravata sentenza non esclude né l’autonomia
funzionale e reddituale di unità immobiliari ad uso commerciale – secondo lo specifico ordinamento catastale -né la loro stessa rilevanza nell’ordinamento eurounitario – in tema di aiuti di Stato e di concorrenza sotto il profilo dell’identificazione di un’impresa la cui nozione si correla, a prescindere dal suo status giuridico, allo svolgimento di un’attività economica (v., tra le tante, CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite da C622/16P a C-624/16P, RAGIONE_SOCIALE, punti 103 ss.; CGUE, 27 giugno 2017, causa C-74/16, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, punto 50; CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C-49/07, MOTOE, punti 27 e 28; CGUE, 11 settembre 2007, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, procedimento C-76/05, punto 39; CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze, punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, Pavlov e altri, punti 74 e 75).
La Commissione Tributaria Regionale ha fatto malgoverno dei principi enunciati affermando la correttezza dell’inserimento dell’impianto in categoria “E/9” (“edifici a destinazione particolare”), anziché in categoria “D”, sull’erroneo presupposto che la destinazione a servizio pubblico fosse incompatibile con la natura imprenditoriale dell’attività svolta da una società a rilevante partecipazione pubblica.
6. La sentenza, in accoglimento del primo motivo, va conseguentemente cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo del ricorso e rigetta il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 24.4.2025.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME