Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22580 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22580 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 04/08/2025
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23401/2020 R.G. proposto da Consorzio di Bonifica del Veneto Orientale (03959000278), in persona del suo legale rappresentante p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del prof. avvocato NOME COGNOME EMAIL, rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE; EMAIL;
-ricorrente –
contro
Comune di San Donà (P_IVA), in persona del suo Sindaco p.t. , rappresentato e difeso dal prof. avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE EMAIL nonché dagli avvocati NOME COGNOMECODICE_FISCALE; EMAIL) e dall’avv ocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE; NOMEEMAIL) dell’Avvocatura dell’Ente ;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1257/4/19, depositata il 4 dicembre 2019, della Commissione tributaria regionale del Veneto;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 30 gennaio 2025, dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 1257/4/19, depositata il 4 dicembre 2019, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello principale del Comune di San Donà, e disatteso quello spiegato in via incidentale dal Consorzio di Bonifica del Veneto Orientale, così pronunciando in riforma della decisione di prime cure che aveva accolto l’impugnazione di tre avvisi di accertamento emessi in relazione all’ICI dovuta dal contribuente per gli anni dal 2009 al 2011.
1.1 -A fondamento del decisum , il giudice del gravame ha rilevato che:
il Consorzio RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi soggetto passivo del tributo in quanto concessionario ex lege dei beni sottoposti a tassazione;
non sussistevano i presupposti dell ‘esenzione prevista dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. b ) in quanto, relativamente ai periodi di imposta in contestazione, venivano in rilievo immobili censiti in catasto «nelle categorie D/1, C/2, A/3 ed A/4»; né poteva tenersi conto della variazione di classamento conseguita dal Consorzio nell’anno 2018 siccome destinata a produrre effetti (solo) ex nunc ;
-trattandosi di tributo locale, non era predicabile l’obbligo di un contraddittorio preventivo, ed endoprocedimentale.
-Il RAGIONE_SOCIALE Veneto Orientale ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, illustrati con memoria.
Il Comune di San Donà resiste con controricorso , ed anch’esso ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge assumendo il ricorrente che il giudice del gravame -nel ritenere l’irrilevanza, in relazione ai periodi di imposta in contestazione, della variazione di classamento conseguita dal Consorzio nell’anno 2018 – aveva malamente applicato il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, e l’art. 53 Cost., con riferimento al (sopravvenuto) classamento catastale (in categoria E) delle unità immobiliari (già censite in catasto nella categoria D), sulla base di dichiarazione Docfa presentata il 12 novembre 2018; variazione, questa, che corrispondeva (anche) ad un atto di indirizzo adottato dalla stessa Agenzia delle Entrate – secondo il quale le costruzioni destinate esclusivamente alla bonifica, allo scolo ed alla difesa idraulica del territorio «costituiscono immobili da qualificare nelle categorie del Gruppo E» -che, a sua volta, aveva sconfessato l’avviso di accertamento in rettifica che era stato emesso in relazione alla citata dichiarazione di variazione docfa.
1.1 – I l terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ed il cui esame va anteposto, reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 3, 53 e 97 Cost., ed al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. b ), assumendo il ricorrente che il principio secondo il quale l’imposta patrimoniale deve trovare applicazione, laddove venga in rilievo un’unità immobiliare oggetto di imposizione, sulla base dei dati emergenti dal catasto -e, dunque, alla stregua del classamento operato -va contemperato col criterio di ragionevolezza, e col principio di capacità contributiva, così che deve ritenersi consentito al giudice di
rilevare la manifesta erroneità del classamento, così come già operato, con sua conseguente disapplicazione.
-I due motivi -che vanno congiuntamente esaminati in quanto sottendono una medesima quaestio iuris di fondo -sono destituiti di fondamento e vanno senz’altro disattesi .
2.1 – In tema di determinazione della base imponibile ICI, per i fabbricati iscritti in catasto (d.lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2), la Corte ha avuto modo di precisare che:
le risultanze catastali definitive non dovute a mutamenti dello stato e della destinazione dei beni, individuati quali circostanze storicamente sopravvenute, o a correzioni di errori materiali di fatto, ancorché sollecitate all’ufficio dal contribuente, conseguendo all’originaria acquiescenza del contribuente alle operazioni catastali sono soggette alla regola di carattere generale, funzionale alla natura della rendita catastale di presupposto per la determinazione e la riscossione dei redditi tassabili nei singoli periodi d’imposta, della loro efficacia a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale le modifiche medesime sono state annotate negli atti catastali (cosiddetta messa in atti), ricavabile dall’art. 5, comma secondo, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, cit., in forza del quale per ciascun atto d’imposizione devono assumersi le rendite quali risultanti in catasto al primo gennaio dell’anno di imposizione (Cass., 7 settembre 2004, n. 18023 cui adde , ex plurimis , Cass., 24 marzo 2023, n. 8550; Cass., 21 ottobre 2022, n. 31250; Cass., 5 febbraio 2021, n. 2771; Cass., 30 luglio 2010, n. 17863; Cass., 27 ottobre 2004, n. 20854);
la regola generale dettata dall’art. 5, comma 2, cit., trova applicazione, altresì, con riferimento alle variazioni catastali conseguenti a dichiarazioni presentate con la procedura Docfa, poiché il termine di efficacia delle rendite (così) stabilito è ispirato a ragioni di uniformità delle dichiarazioni e degli accertamenti e costituisce
espressione del principio di uguaglianza (Cass., 7 settembre 2018, n. 21760; Cass., 18 febbraio 2015, n. 3168; Cass., 15 ottobre 2010, n. 21310);
il modus agendi di detta regola generale non comporta alcuna violazione dell’art. 53 Cost., in quanto l’esigenza di tener conto della capacità contributiva non esclude il potere discrezionale del legislatore di fissare un termine di efficacia uguale per tutti i contribuenti, così che la disposizione è essa stessa espressione del principio di uguaglianza, in quanto l’applicazione di un termine differenziato nell’ipotesi di ricorso alla procedura docfa, comporterebbe una discriminazione fra contribuenti (così la giur. appena citata cui adde Cass., 24 marzo 2023, n. 8550, cit.);
diversamente la regola in questione non si applica al caso in cui la modificazione della rendita catastale derivi dalla rilevazione di errori di fatto compiuti dall’ufficio nell’accertamento o nella valutazione delle caratteristiche dell’immobile esistenti alla data in cui è stata attribuita la rendita, in quanto il riesame di dette caratteristiche da parte del medesimo ufficio comporta, previa correzione degli errori materiali, l’attribuzione di una diversa rendita a decorrere dal momento dell’originario classamento, rivelatosi erroneo o illegittimo (Cass., 29 settembre 2005, n. 19066 cui adde , ex plurimis , Cass., 20 marzo 2019, n. 7745; Cass., 28 agosto 2017, n. 20463; Cass., 31 luglio 2015, n. 16241; Cass., 5 maggio 2010, n. 10815; Cass., 30 dicembre 2009, n. 27906); laddove la riconducibilità dell’errore di fatto all’Ufficio deve risultare «evidente ed incontestabile, avendolo riconosciuto lo stesso Ufficio» (Cass., 20 marzo 2019, n. 7745; Cass., 28 agosto 2017, n. 20463; Cass., 18 febbraio 2015, n. 3168; Cass., 12 maggio 2017, n. 11844; Cass., 24 luglio 2012, n. 13018);
-le variazioni catastali conseguenti a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile denunciate dallo stesso
contribuente, debbono trovare applicazione dalla data della denuncia (Cass., 12 maggio 2017, n. 11844; Cass., 24 luglio 2012, n. 13018); pronunce, queste ultime, che fanno applicazione, poi, dei principi espressi dalla Corte con riferimento alla l. n. 342 del 2000, art. 74, comma 1, essendosi rilevata l’utilizzabilità della rendita – una volta notificata a fini impositivi – «anche per annualità d’imposta per così dire “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso», ovvero per periodi di imposta anteriori a quello in cui ha avuto luogo la notificazione del provvedimento, purché successivi alla denuncia di variazione (v. Cass., 11 settembre 2019, n. 22653; Cass., 27 luglio 2012, n. 13443; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20775; v., altresì, Cass. Sez. U., 9 febbraio 2011, n. 3160 cui adde , ex plurimis , Cass., 9 giugno 2017, n. 14402; Cass., 6 giugno 2014, n. 12753; Cass., 11 novembre 2011, n. 23600; Cass., 30 settembre 2011, n. 20033).
2.2 -Nella fattispecie – per come allegato dallo stesso ricorrente, ed accertato dal giudice del gravame -nei periodi di imposta in contestazione le unità immobiliari sottoposte a tassazione non risultavano classate in categoria esente ai sensi del d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. b ), cit. (che contempla, per l’appunto, « i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9»); e, come già statuito dalla Corte, detta disposizione deve essere interpretata -secondo i criteri dell’interpretazione letterale, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento e con l’art. 5, commi 2 e 3, dello stesso decreto -nel senso che l’esenzione si riferisce ai fabbricati così classificati oppure a quelli non ancora iscritti al catasto per i quali nel medesimo periodo sussistono i presupposti per l’iscrizione nelle categorie indicate, con esclusione, pertanto, degli immobili già iscritti in categorie diverse da quelle del gruppo E, ad iniziativa del contribuente, atteso che quest’ultimo non può, per beneficiare della suddetta esenzione, invocare a suo favore l’errore se
non nei limiti e con gli effetti temporali propri della variazione della classificazione (così Cass., 30 settembre 2019, n. 24279).
2.3 – Non sussistono, pertanto, le denunciate violazioni di legge, avendo il giudice del gravame correttamente tenuto conto del classamento catastale delle unità immobiliari per i periodi di imposta in contestazione; né diversamente rilevata la stessa prospettata presentazione di una dichiarazione di variazione docfa siccome, come anticipato, ex se inidonea detta dichiarazione a produrre effetti (sul piano impositivo) con riferimento alle pregresse annualità in contestazione, per di più in presenza (così come del pari dedotto) di un avviso di accertamento catastale emesso a rettifica della dichiarazione di variazione, e nella più completa anomia di riferimenti ad un qualche errore materiale che abbia formato oggetto di riconoscimento da parte del competente ufficio.
Inconcludente rimane, poi, il riferimento operato dal ricorrente alla ridetta circolare (n. 0109407.05- 03 – 2020 -U) dell’Agenzia delle Entrate cui si attribuisce un (insussistente) effetto dispositivo sui classamenti in atto, atteso che l’ atto di indirizzo in questione demandava alla competenza dei singoli uffici la verifica della correttezza dei classamenti, sulla base del riscontro specifico della destinazione funzionale delle unità immobiliari alla bonifica idraulica in senso proprio ovvero a servizi di natura industriale, considerando, ad ogni modo, come fermi ed impregiudicati i classamenti che dovevano ritenersi definitivi.
-Col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 10, 11, 24, 53, 97, 111 e 118 Cost., al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 3, agli artt. 859, 862, 1321 e ss. cod. civ., al r.d. 13 febbraio 1933,
n. 215, alla l. regione Veneto, 8 maggio 2009, n. 12, al TFUE ed al principio di libera concorrenza.
Assume il ricorrente che i RAGIONE_SOCIALE debbono essere considerati enti pubblici di settore -nello specifico strumentali allo Stato o alle Regioni o agli Enti pubblici territoriali -cui non potrebbe riferirsi il presupposto di imposta correlato alla concessione di beni demaniali.
Si soggiunge, poi, che la qualificazione operata dal diritto vivente della Cassazione -ed alla cui stregua la disponibilità di beni demaniali da parte di un Consorzio RAGIONE_SOCIALE sarebbe da ricondurre ad una concessione ex lege e a titolo gratuito, così come discendente dalla stessa legge istitutiva dei consorzi (r.d. n. 215 del 1933, cit.) -si porrebbe in contrasto con le disposizioni del TFUE dettate in tema di libera concorrenza (viene specificamente citato l’art. 106 del TFUE), ed alla cui stregua una siffatta concessione presuppone, quanto alle attività riconducibili ad un SIEG (servizio di interesse economico generale), l’affidamento in house ovvero negoziale a società partecipata o ancora lo svolgimento di una procedura concorrenziale di evidenza pubblica; così che esso esponente dovrebbe qualificarsi ente pubblico economico, organismo di diritto pubblico e affidatario in house di un SIEG ma giammai concessionario perpetuo ex lege di beni demaniali.
-Nemmeno questo motivo può trovare accoglimento.
4.1 -Il r.d. 13 febbraio 1933, n. 215, dispone nei seguenti termini:
«Alla bonifica integrale si provvede per scopi di pubblico interesse, mediante opere di bonifica e di miglioramento fondiario.
Le opere di bonifica sono quelle che si compiono in base ad un piano generale di lavori e di attività coordinate, con rilevanti vantaggi igienici, demografici, economici o sociali, in comprensori in cui cadano laghi, stagni, paludi e terre paludose, o costituiti da terreni montani dissestati
nei riguardi idrogeologici e forestali, ovvero da terreni, estensivamente utilizzati per gravi cause d’ordine fisico e sociale, e suscettibili, rimosse queste, di una radicale trasformazione dell’ordinamento produttivo.
Le opere di miglioramento fondiario sono quelle che si compiono a vantaggio di uno o più fondi, indipendentemente da un piano generale di bonifica.» (art. 1; v. altresì l’art. 857 cod. civ.);
«I consorzi di bonifica sono persone giuridiche pubbliche e svolgono la propria attività entro i limiti consentiti dalle leggi e dagli statuti.
Per l’adempimento dei loro fini istituzionali essi hanno il potere d’imporre contributi alle proprietà consorziate, ai quali si applicano le disposizioni dell’art. 21» (art. 59; v., altresì, gli artt. 1, 3, 16 e ss. della l. regione Veneto, 8 maggio 2009, n. 12, che ha abrogato la previgente legge regionale 13 gennaio 1976, n. 3).
4.2 -In relazione a dette disposizioni, ed a quelle che hanno riguardo alla realizzazione, ed alla consegna, delle opere di bonifica di competenza dello Stato (r.d. n. 215/1933, cit., artt. 1, 16, 18, 54 e 100; v., altresì, Corte Cost., 24 luglio 1998, n. 326), la Corte, secondo un consolidato orientamento interpretativo, ha statuito che il rapporto tra i consorzi di bonifica ed i beni del demanio loro affidati deve essere declinato secondo lo schema della concessione a titolo gratuito, concessione che consegue dalla stessa legge istitutiva dei consorzi (il r.d. n. 215 del 1933), in correlazione con la funzione specifica, ivi loro assegnata, di «esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica» (art. 54 del r.d. cit.); derivando il titolo direttamente dalla legge, non è necessaria l’emanazione di un conseguente atto amministrativo propriamente concessorio, ed il possesso dei beni è qualificato da detto titolo concessorio, dovendosi escludere la mera detenzione (Cass., 24 luglio 2014, n. 16867 e Cass., 10 settembre 2014, n. 19053 cui adde Cass., 7 aprile 2022, n. 11328; Cass., 13
febbraio 2019, n. 4186; Cass., 13 febbraio 2019, n. 4186; Cass., 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass., 29 ottobre 2014, n. 22904).
4.3 – Quanto, poi, alla relativa qualificazione giuridica, la Corte ha ripetutamente statuito che ai Consorzi di bonifica va riconosciuta natura di enti pubblici economici (v., tra le tante, Cass., 4 marzo 2021, n. 6086; Cass., 15 ottobre 2019, n. 26038; Cass., 5 dicembre 2017, n. 29061; Cass., 17 luglio 2012, n. 12242; Cass., 8 marzo 2004, n. 4664); in particolare, si è rilevato, i consorzi di bonifica svolgono attività di tipo imprenditoriale perseguendo le relative finalità mediante risorse di provenienza privata, ovvero, direttamente dai consorziati, in quanto tali enti, per lo svolgimento delle proprie finalità istituzionali, utilizzano i contributi di bonifica richiesti ai privati proprietari di immobili ricompresi nell’ambito del comprensorio che traggono beneficio dall’attività consortile e che, appunto, assumono la qualifica di consorziati (v. Cass. Sez. U., 20 gennaio 2017, n. 1548; v., altresì, Cass. Sez. U., 18 gennaio 1991, n. 456).
Avuto riguardo, poi, alla relativa struttura, se n’è rilevata la natura associativa in quanto i Consorzi sono costituiti tra i proprietari degli immobili compresi in un determinato comprensorio di bonifica e si amministrano a mezzo di organi i cui componenti sono scelti dai consorziati (v. il d.P.R. 23 giugno 1962, n. 947, la l. regione Veneto 8 maggio 2009, n. 12, artt. 5 e ss. nonché il Protocollo di intesa StatoRegioni concluso il 18 settembre 2008 per l’attuazione dell’art. 27 l. 28 febbraio 2008, n. 31; v., altresì, Corte Cost., 28 luglio 2004, n. 282; Consiglio di Stato, sez. V, 10 ottobre 2023, n. 8853).
E la Corte Costituzionale ha, più specificamente, rilevato che «… i consorzi hanno un doppio volto e una duplice funzione. Da un lato, essi sono espressione, sia pure legislativamente disciplinata e resa obbligatoria, degli interessi dei proprietari dei fondi coinvolti nella attività di bonifica o che da essa traggono beneficio: strumenti
normativamente previsti, attraverso i quali i proprietari adempiono ad obblighi su di loro gravanti in relazione alle opere di bonifica e si ripartiscono fra loro gli oneri relativi. Pertanto, coerentemente, i consorzi sono amministrati da organi espressi dagli stessi proprietari (cfr. artt. 1-4 d.P.R. 23 giugno 1962, n. 947, contenente. “Norme sui consorzi di bonifica in attuazione della delega prevista dall’art. 31 della legge 2 giugno 1961, n. 454”: ancorché più di recente le leggi di molte regioni abbiano innovato tale disciplina, inserendo negli organi di amministrazione dei consorzi rappresentanti della stessa regione o di enti territoriali). Dall’altro lato, essi si configurano come soggetti pubblici titolari o partecipi di funzioni amministrative, in forza di legge o di concessione dell’autorità statale (ora regionale).»; nonché che «Fanno parte senza dubbio dei principi fondamentali tuttora vigenti nella materia, non derogabili ad opera del legislatore regionale nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, sia la distinzione fra opere di bonifica di competenza pubblica (già statale), caratterizzate da una preminente finalizzazione agli interessi pubblici legati alla bonifica, e opere di competenza privata, in quanto di interesse particolare dei fondi inclusi nel comprensorio di bonifica; sia il connesso duplice carattere dei consorzi, e in particolare la loro qualificazione come enti a struttura associativa. Onde solo il legislatore statale potrebbe sciogliere definitivamente l’intreccio di pubblico e di privato che nei consorzi si esprime, per separare in modo netto le manifestazioni dell’autonomia privata dai caratteri pubblicistici impressi a tali enti dalla legislazione pre-costituzionale.» (Corte Cost., 24 luglio 1998, n. 326, cit.; v., altresì, Corte Cost., 28 luglio 2004, n. 282, cit.).
4.3.1 – Il giudice delle leggi ha, poi, rilevato che i consorzi di bonifica non sono enti locali ai sensi del previgente art. 130 Cost. (ora art. 118 Cost.) «difettando di caratteristiche come la territorialità e la
rappresentatività diretta o indiretta degli interessi comunitari (cfr. sentenza n. 164 del 1990); ma appartengono piuttosto, nel loro profilo pubblicistico, alla categoria degli “enti pubblici locali” operanti nelle materie di competenza regionale, e dunque degli “enti amministrativi dipendenti dalla regione”» (così Corte Cost., 24 luglio 1998, n. 326, cit.; v., altresì, Corte Cost., 19 ottobre 2018, n. 188; Corte Cost., 25 luglio 1994, n. 346).
E, in particolare, si è rimarcata la pluralità dei profili di competenza ascrivili all’azione dei Consorzi di bonifica che anche in relazione al riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni – involgono il settore agricolo, la «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema» nonché il «governo del territorio» (Corte Cost., 19 ottobre 2018, n. 188, cit.).
4.4 -Vengono, dunque, in considerazione enti pubblici di risalente impianto, la cui disciplina organica rinviene dalle disposizioni di cui al r.d. n. 215 del 1933, cit., e rispetto alla quale la legislazione regionale, come anticipato, intercetta il limite della non derogabilità della relativa natura giuridica dei Consorzi di bonifica quali enti a struttura associativa.
In disparte, allora, che le ragioni poste a fondamento del motivo di ricorso in esame hanno natura ancipite, ed intrinsecamente antinomica, in quanto all’un tempo implicano ed escludono la riconducibilità dell’attività del Consorzio al règime eurounitario della libera concorrenza (artt. 101 e ss. TFUE), come la Corte di Giustizia ha avuto modo di precisare «l’articolo 1, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2006/123 mira ad escludere dall’ambito di applicazione di tale direttiva soltanto i SIEG riservati a enti pubblici o privati o i monopoli che … erano esistenti alla data di entrata in vigore di detta direttiva.» (CGUE, 7 novembre 2018, causa C-171/17, Commissione europea c. Ungheria, punto 43).
Le concessioni ex lege in contestazione, difatti, risalgono alla stessa disciplina posta dal r.d. n. 215 del 1933, cit., e involgono l’attività di enti pubblici economici di risalente impianto rispetto ai quali la successiva legislazione regionale è intervenuta nel rispetto dei principi fondamentali della materia, ed ai (soli) fini del relativo riordino (v. d.l. 31 dicembre 2007 n. 248, art. 27, conv. in l. 28 febbraio 2008 n. 31 e la successiva Intesa Stato-Regioni del 18 settembre 2008, cit.).
4.4.1 -La Corte di Giustizia ha, altresì, in più occasioni statuito che:
«un servizio può rivestire un interesse economico generale quando detto interesse presenti caratteri specifici rispetto a quello di altre attività della vita economica»;
«può essere qualificato come SIEG un servizio la cui fornitura costituisca adempimento di specifici compiti d’interesse pubblico affidati al prestatore dallo Stato membro interessato»;
-«Occorre dunque che le imprese beneficiarie siano state effettivamente incaricate dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico e che tali obblighi siano chiaramente definiti nel diritto nazionale, il che presuppone l’esistenza di uno o più atti di esercizio del potere pubblico che definiscano in maniera sufficientemente precisa almeno la natura, la durata e la portata degli obblighi di servizio pubblico gravanti sulle imprese incaricate dell’adempimento di tali obblighi»;
«l’articolo 106, paragrafo 2, TFUE prevede, da un lato, che le imprese incaricate della gestione di SIEG siano sottoposte alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali regole non osti all’adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata, e, dall’altro, che lo sviluppo degli scambi non debba essere compromesso in misura contraria all’interesse dell’Unione. In tal senso, il tenore stesso dell’articolo 106, paragrafo 2, TFUE evidenzia
come deroghe alle norme del Trattato siano consentite solo se necessarie all’adempimento della specifica missione affidata a un’impresa incaricata della gestione di un SIEG» (v. CGUE, 8 giugno 2023, causa C-50/21, RAGIONE_SOCIALE, punti da 77 a 80; CGUE, 3 settembre 2020, causa C-817/18 P, Vereniging tot RAGIONE_SOCIALE in Nederland e a./Commissione, punti 96 e 97; CGUE, 7 novembre 2018, causa C-171/17, Commissione europea c. Ungheria, cit., punti 51 e 62; CGUE, 20 dicembre 2017, cause riunite da C-66/16 P a C-69/16 P, Comunidad Autónoma del País Vasco, punti 72 e 73).
I n particolare, la Corte ha rilevato che le disposizioni dell’art. 106, paragrafi 1 e 2, TFUE vanno sottoposte a congiunta lettura, così che le stesse consentono «agli Stati membri di conferire alle imprese, cui attribuiscono la gestione di servizi di interesse economico generale, diritti esclusivi che possono impedire l’applicazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza, nella misura in cui restrizioni della concorrenza, o persino l’esclusione di qualsiasi concorrenza da parte di altri operatori economici, sono necessarie per garantire l’adempimento della specifica funzione attribuita alle imprese titolari dei diritti esclusivi.» (CGUE, 19 maggio 1993, causa C-320/91, Corbeau, punto 14; v., altresì, CGUE, 3 marzo 2011, causa C-437/09, RAGIONE_SOCIALE, punto 69; CGUE, 21 settembre 1999, causa C-67/96, Albany, punto 107).
E lo stesso giudice delle leggi ha rimarcato che «la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all’àmbito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno «contenuto omologo», come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 272 del 2004» (Corte Cost., 3 novembre 2010, n. 325).
4.4.2 -Secondo, allora, la stessa prospettazione attorea -ed in disparte la (già) rilevata preesistenza dei Consorzi di bonifica alla
direttiva 2006/123/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006 (BOLKESTEIN) -deve ritenersi insussistente la denunciata violazione delle disposizioni del TFUE, art. 106, nella misura in cui le concessioni di beni demaniali statali risultano coessenziali allo stesso svolgimento della specifica «missione» affidata ad un ente (il Consorzio di bonifica) che è chiamato ad operare su di un predeterminato territorio (il comprensorio di bonifica) e che ha struttura associativa in quanto inclusivo dei proprietari degli immobili che, in quel comprensorio, traggono beneficio dalla bonifica; dotazione, questa, di opere che, difatti, non potrebbe che ascriversi alle necessità di bonifica di quel dato comprensorio e, con ciò, al Consorzio che su quel territorio è deputato a svolgere le proprie attività.
4.4.3 -Al contempo, e come anticipato, il già rilevato «doppio volto», e la stessa «duplice funzione», dei consorzi rendono evidente -alla luce della stessa sopra ripercorsa giurisprudenza della Corte di Giustizia in punto di concessione di «diritti esclusivi» strettamente necessari per garantire l’adempimento della specifica missione -come la prospettata esclusione della soggettività passiva del Consorzio risulterebbe antinomica rispetto al divieto di aiuti di Stato (artt. 106 e 107 TFUE).
Difatti, n ell’ambito delle attività di un Consorzio di bonifica occorre distinguere fra finalità pubblicistiche strettamente correlate alle attività di bonifica discendenti dalle disposizioni di cui al r.d. 13 febbraio 1933, n. 215 e le attività, di natura imprenditoriale e commerciale, svolte in favore dei consorziati, con conseguente assunzione di queste ultime nella nozione eurounitaria di impresa, nozione che si si correla, a prescindere dallo status giuridico dell’impresa , allo svolgimento di un’attività economica (v., tra le tante, CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P, RAGIONE_SOCIALE, punti 103 ss.; CGUE, 27 giugno 2017, causa C-74/16,
Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, punto 50; CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C-49/07, MOTOE, punti 27 e 28; CGUE, 11 settembre 2007, COGNOME e COGNOME–COGNOME, procedimento C-76/05, punto 39; CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze, punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, COGNOME e altri, punti 74 e 75).
E ne consegue che un’indistinta ascrizione delle attività consortili alla finalità pubblicistica di bonifica comporterebbe riflessi diretti sull’imposizione patrimoniale dei beni in concessione, sinanche laddove la connotazione funzionale del bene posseduto risultasse inequivocamente incentrata sulla sua destinazione alla prestazione di un servizio di rilevanza economica.
4.5 -Può, dunque, enunciarsi il seguente principio di diritto: «Il rapporto tra i consorzi di bonifica ed i beni del demanio loro affidati deve essere declinato secondo lo schema della concessione a titolo gratuito, concessione che consegue dalla stessa legge istitutiva dei consorzi (r.d. n. 215 del 1933) e che si correla alla «esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica» (art. 54 del r.d. cit.). Il règime concessorio in questione, in quanto afferisce ad un servizio di interesse economico generale (SIEG) preesistente, è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 2006/123/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006 (BOLKESTEIN) e, ad ogni modo, costituisce un diritto esclusivo (art. 106 TFUE) dal cui conferimento consegue una legittima restrizione della concorrenza siccome necessaria per l’adempimento della specifica attività di bonifica affidata ai Consorzi.».
– Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il
versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1-quater).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 6 .000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 gennaio 2025.