Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21300 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21300 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14211/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ope legis ;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO COGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA n. 10300/2018 depositata il 29/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE società gestrice del servizio idrico integrato e proprietaria di una unità immobiliare, identificata nel Catasto Fabbricati del Comune di Salerno a foglio 43, particella 645, sub 1, categoria D/8, destinata ad ospitare comandi ed impianti per la regolamentazione del deflusso delle acque, proponeva, ai sensi del d.m. nr. 701/1994, procedura DOCFA chiedendo l’attribuzione catastale E/9.
A fronte dell’accertamento con il quale l’Agenzia del Territorio rettificava il classamento in D/8 la contribuente proponeva impugnazione davanti alla CTP Salerno che accoglieva il ricorso ritenendo l’avviso non motivato.
La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e l’adita CTR Campania, con la sentenza n. 10300/05/2018, rigettava l’appello sul presupposto che l’avviso non risultava motivato e che l’unità immobiliare, costituita da un fabbricato all’interno della quale si trovavano le condutture che consentivano alla società di rifornire l’acquedotto di Campagna, non era riconducibile alla categoria D.
Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi, illustrati con memoria.
La società contribuente ha resistito con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’ufficio denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 24 e 111 Cost., 112 e 132, primo comma n. 4 c.p.c., 2 del d.l. 16/1993 convertito in legge 75/1993, 3, comma 1, del D.M. 701 1994, 7 legge 212/2012, 156, secondo comma c.p.c. Parte ricorrente assume che la CTR, erroneamente, aveva ritenuto
non esaustiva la parte motivazionale dell’accertamento contestato, non considerando che in una procedura partecipata, come è quella della DOCFA, è sufficiente ad assolvere l’obbligo motivazionale che l’atto di riclassificazione contenga e renda noto al contribuente tutti i dati identificativi e di ubicazione della proprietà immobiliare, nonché la categoria, la classe e la consistenza attribuiti.
Con il secondo motivo lamenta ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 4, 5 e 10 r.d.l. 652/1939 convertito in legge n. 1249/1939, 8 e 40 del Regolamento per la formazione del Catasto Edilizio Urbano approvato con d.P.R. 1142/1949, 2 Decreto del Ministero delle Finanze n. 28/1998, 2 comma 40 d.l. n. 262/2006 convertito in legge 286/2006.
Si assume che, erroneamente, la CTR aveva riconosciuto ai locali oggetto di giudizio la categoria catastale E anziché quella D non tenendo conto né della normativa primaria, regolamentare ed interna di settore né della giurisprudenza formatasi in materia.
Il ricorso deve essere accolto per le ragioni appresso specificate
3.1. Il primo motivo è fondato.
Con specifico riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio (attribuzione di rendita catastale a seguito della procedura disciplinata dall’art. 2 del d.l. n. 16/1993, convertito in L n. 75/1993, e dal d.m. n. 701/1994, ovvero la c.d. DOCFA, che è procedimento a struttura fortemente partecipativa – cfr. Cass. n. 17971 del 2018), è orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, quello secondo cui l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento può intendersi soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita se, come nel caso in esame, «gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati», sussistendo, solo in caso contrario, l’obbligo di una motivazione più articolata, che specifichi le differenze
riscontrate, «sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso» (Cass. n. 3394 del 2014, n. 12497 del 2016, n. 23237 e n. 6065 del 2017, n. 31809 e n. 12777 del 2018, n. 30166 del 2019, n. 13336 e n. 13371 del 2020; n. 29018/2020).
Nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, nel confermare la tesi del giudici di primo grado circa l’illegittimità dell’avviso di riclassamento, ritenendolo non sufficientemente motivato ancorché, come si evince dall’avviso di accertamento riprodotto per autosufficienza nel ricorso, si trattasse di rideterminazione di classamento a seguito di procedura DOCFA, con una valutazione tecnica da parte dell’Amministrazione degli stessi elementi di fatto indicati dalla parte contribuente nella relativa dichiarazione né quest’ultima avesse addotto, come desumibile dalla sentenza impugnata, l’esistenza di elementi differenti da quelli presi in considerazione dall’Ufficio.
Nella specie, le censure di parte contribuente di cui al ricorso introduttivo attengono, in sostanza, alla diversa attribuzione della categoria catastale da parte dell’amministrazione finanziaria, la quale si era limitata alla riclassificazione del compendio immobiliare sulla base dei dati forniti dalla stessa; si legge, del resto, nell’avviso di accertamento (riprodotto nel corpo del ricorso ai fini dell’autosufficienza) che il classamento ha avuto luogo sulla base delle ‘caratteristiche intrinseche dichiarate’ dell’ u.i.
La rettifica del classamento da parte dell’amministrazione finanziaria era stata decisa, quindi, sulla base dello stato originario della consistenza e della vocazione del compendio immobiliare, secondo le risultanze della documentazione prodotta dalla contribuente, il che rendeva superflua ed ultronea una motivazione più analitica e dettagliata dell’avviso di accertamento. In definitiva, la riconduzione del compendio immobiliare ad una categoria piuttosto che ad un’altra, sulla base dei dati forniti dalla contribuente, non richiede
una motivazione ulteriore rispetto a quella nella specie fornita, essendo frutto di una mera valutazione tecnica, ove l’amministrazione finanziaria ha dato rilievo alla specificità della destinazione funzionale.
Va soggiunto che nella fattispecie, come si desume dall’atto trascritto, c’era una stima sintetica del bene, con specifica indicazione delle sue componenti, tutte valorizzate secondo il metodo di stima incentrato sul costo di costruzione (d.P.R. 1° dicembre 1949, n. 1142, art. 28, comma 2). Del tutto erroneo appare, quindi, il riferimento al metodo comparativo valorizzato dal primo giudice; in più occasioni questa Corte ha, invero, rimarcato che – laddove viene in rilievo quale presupposto, e fondamento (motivazionale), dell’avviso di classamento -la stima diretta dell’unità immobiliare (r.d.l. n. 652 del 1939, art. 10; d.p.r. n. 1142 del 1949, artt. 8 e 30) esplicita «un giudizio sul valore economico dei beni classati di natura eminentemente tecnica, in relazione al quale la presenza e l’adeguatezza, o non, della motivazione rilevano ai fini, non già della legittimità ma, della attendibilità concreta del giudizio cennato, e, in sede contenziosa della verifica della bontà delle ragioni oggetto della pretesa (v., ex plurimis , Cass., 9 luglio 2018, n. 17971; Cass., 3 febbraio 2014, n. 2268; Cass., 21 luglio 2006, n. 16824; Cass., 7 giugno 2006, n. 13319).
3.2. Anche il secondo motivo è fondato.
Invero la CTR si è limitata a rilevare ‘ immobile non appare riconducibile alla categoria D mancando proprio delle caratteristiche esplicitate dalla stessa agenzia nell’atto d’appello ed essendo invece qualificabile come costruzione per speciali esigenze pubbliche ‘
La questione del classamento catastale dei depuratori idrici comunali è già stata affrontata e risolta da questa Corte di legittimità la quale – nel richiamare e fare propria la giurisprudenza formatasi con riguardo a fattispecie analoghe: tra le altre, v. Cass. 12741/18 sul classamento dell’impianto di discarica per la gestione dei rifiuti solidi
urbani e la captazione di biogas; Cass. n. 17022/20 sugli impianti di compostaggio dei rifiuti; Cass. 9427/19 sugli impianti del servizio idrico integrato – ha stabilito che: “in tema di classificazione catastale, poiché l’attività di gestione del servizio idrico ha natura economica, i relativi impianti industriali di depurazione e smaltimento delle reflue non rientrano tra le unità immobiliari catasta/mente censibili nella categoria E, che è propria di quei fabbricati con una caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale tale da renderli sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica commerciale e produttiva, ma rientrano nel gruppo D, tipico delle costruzioni che ospitano processi industriali e, nel caso di depuratore, nella categoria D/7, senza che la destinazione a servizio pubblico possa ritenersi incompatibile con la natura imprenditoriale dell’attività svolta da società a rilevante partecipazione pubblica”(Cass. ord. 2247/21). I passaggi fondamentali di questo indirizzo, dai quali non vi è ragione di discostarsi, possono così sintetizzarsi: come si evince dall’art. 2, comma 40, del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito, con modificazioni, nella L 24 novembre 2006 n. 286, a tenore del quale ‘nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale’, la qualificazione nel gruppo “E” è propria di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri ecc.), con una marcata caratterizzazione tipologico funzionale, costruttiva e dimensionale tale da renderli radicalmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di scambio e di produzione industriale; siccome la norma citata instaura una vera e propria incompatibilità tra classificazione in categoria “E”, da un lato, e destinazione dell’immobile ad uso commerciale o industriale, dall’altro, diventa dirimente, ai fini della valutazione del corretto
censimento dell’ immobile, accertare se la gestione dell’impianto di depurazione presenti gli obiettivi caratteri della economicità intesa quale perseguimento del cosiddetto ‘lucro oggettivo’, ossia il rispetto di un criterio di proporzionalità tra costi e ricavi, nel senso che questi ultimi tendono a coprire i primi remunerando i fattori della produzione; a questo scopo è irrilevante che l’impianto di depurazione sia destinato ad una attività di pubblico interesse, poiché l’interesse generale allo svolgimento dell’attività non esclude che quest’ultima sia esercitata secondo parametri essenzialmente imprenditoriali, intesi appunto come attitudine alla copertura dei costi e del capitale investito con i ricavi conseguiti attraverso l’applicazione di tariffe predeterminate; anche il sistema tariffario che connota il servizio idrico integrato (art.9 co.1^ I. 36/94; art.141 d.lgs. 152/06; art.154 co. 1 d.lgs. cit. mod. dal d.P.R. 116/2011) richiama i principi, oltre che di corrispettività, di efficienza, efficacia ed economicità, e la giurisprudenza di legittimità ha messo in risalto come la tariffa del servizio idrico integrato configuri appunto il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, che trova fonte, non in un atto autoritativo direttamente incidente nel patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza (Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2014, n. 12763; Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2014, n. 12769), confermando l’ispirazione della relativa gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, in coerenza con il requisito teleologico minimo per l’assunzione della qualifica imprenditoriale. L’inquadramento del servizio idrico integrato in tale schema trova conferma nelle sentenze della Corte Costituzionale n. 325 del 3 novembre 2010 e n. 187 dell’8 giugno 2011, affermandosene la riconducibilità alle materie della “tutela della concorrenza” e della “tutela dell’ambiente”; – in linea con questa ricostruzione si pone, a superamento dei pregressi indirizzi di prassi, la circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate il 16 maggio 2006 n. 4 la quale ha chiarito (par. 3.1.3, lett. c), che le costruzioni tese ad ospitare impianti
industriali mirati al trattamento delle acque reflue sono tipiche di processi industriali o, comunque, produttivi e, pertanto, la categoria da attribuire agli immobili che le ospitano è da individuare nel gruppo “D”.
La natura economica dell’attività non viene, dunque, meno per la circostanza che a gestire il servizio pubblico sia direttamente l’ente territoriale piuttosto che una azienda municipalizzata o una società partecipata in toto dal Comune (o da un consorzio di Comuni), in quanto ciò che rileva ai fini del classamento catastale sono le caratteristiche dell’immobile e la sua destinazione funzionale.
Ciò premesso, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, è irrilevante la destinazione dell’impianto di depurazione ad una attività di pubblico interesse. Difatti, l’interesse generale allo svolgimento dell’attività non esclude che quest’ultima sia esercitata secondo parametri essenzialmente imprenditoriali intesi come attitudine alla copertura dei costi e del capitale investito con i ricavi conseguiti attraverso l’applicazione di tariffe come sopra precisato.
La CTR ha, pertanto, fatto malgoverno dei principi enunciati affermando la correttezza dell’inserimento dell’impianto fra gli ‘Immobili a destinazione particolare” in categoria “E/9” ‘Edifici a destinazione particolare non compresi nelle categorie precedenti del gruppo E’), anziché in categoria “D/8″ (” D/8 – Fabbricati costruiti o adattati per speciali esigenze di una attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni “), sull’erroneo presupposto che la destinazione a servizio pubblico fosse incompatibile con la natura imprenditoriale dell’attività svolta da una società a rilevante partecipazione pubblica.
Pervero l’interesse generale cui allude la gravata sentenza non esclude né l’autonomia funzionale e reddituale di unità immobiliari ad uso commerciale – secondo lo specifico ordinamento catastale né la loro stessa rilevanza nell’ordinamento euro unitario – in tema di aiuti di Stato e di concorrenza sotto il profilo dell’identificazione
di un’impresa la cui nozione si correla, a prescindere dal suo status giuridico, allo svolgimento di un’attività economica (v., tra le tante, CGUE, 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P, RAGIONE_SOCIALE, punti 103 ss.; CGUE, 27 giugno 2017, causa C-74/16, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, punto 50; CGUE, 1 luglio 2008, procedimento C49/07, MOTOE, punti 27 e 28; CGUE, 11 settembre 2007, COGNOME e RAGIONE_SOCIALECOGNOME, procedimento C-76/05, punto 39; CGUE, 10 gennaio 2006, procedimento C-222/04, Ministero dell’Economia e delle Finanze, punti 107, 108, 122, 123; CGUE, 12 settembre 2000, procedimenti riuniti da C-180/98 a C-184/98, COGNOME e altri, punti 74 e 75).
In accoglimento del ricorso la sentenza va, conseguentemente cassata, con rinvio alla CGT-2 Campania la quale dovrà rivalutare la vicenda in esame alla luce dei principi di diritto sopra esposti, e procedere alla liquidazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data