Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 257 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 257 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28621 -201 9 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione volontaria, in persona del curatore, avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, al INDIRIZZO presso lo studio legale dell’avv. NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto:
Tributi –
cessioni intracomunitarie
costi
avverso la sentenza n. 139/13/2019 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, Sezione staccata di CATANIA, depositata in data 14/01/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/10/2023 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
La controversia ha ad oggetto l’ impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA con cui l’Agenzia delle entrate , sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. della G.d.F. del 16/12/2011, aveva rettificato la dichiarazione reddituale della RAGIONE_SOCIALE all’epoca i n liquidazione volontaria, successivamente fallita, relativa all’anno d’imposta 2007 , disconoscendo la non imponibilità, ex art. 41 del d.l. n. 331 del 1993, convertito, senza modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993, delle cessioni che la predetta società contribuente aveva effettuato nei confronti di un operatore commerciale comunitario, la RAGIONE_SOCIALE che dagli accertamenti svolti risultava essere mera cartiera, in mancanza peraltro della prova del trasferimento fisico dei beni ceduti dal territorio nazionale al Paese comunitario di destinazione.
Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Sicilia, Sezione staccata di Catania, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado . I giudici di appello, richiamando il disposto di cui all’art. 41 citato, l’art. 131 della direttiva comunitaria n. 112 del 2016 nonché le sentenze della CGUE nelle cause C-146/05, C-184/05 e C409/2004, sostenevano che uno dei requisiti necessari per poter beneficiare della non assoggettabilità all’IVA delle cessioni a soggetti residenti in uno Stato membro è l’effettivo trasferimento dei beni in tale Stato; che la prova di tale requisito incombe sul soggetto che invoca l’applicazione dell’esenzione; che la società contribuente non aveva assolto a tale prova in quanto l’Agenzia delle entrate aveva
dimostrato, attraverso lo scambio di informazioni con le autorità fiscali francesi presso cui aveva sede la RAGIONE_SOCIALE società cessionaria con socio unico di nazionalità italiana, era una mera cartiera, non avendo dipendenti, che le consegne delle merci erano avvenute tramite vettori scelti dalla società francese e che la società contribuente non era stata in grado di produrre il documento di trasporto internazionale ‘CMR’, ovvero la lettera di vettura relativa al contratto di trasporto di merci su strada che avrebbe dovuto essere sottoscritto sia dal trasportatore, per presa in carico della merce, sia dal destinatario, per ricevuta. Riteneva, quindi, priva di valenza probatoria, ma semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, la consulenza tecnica di parte prodotta dalla società contribuente.
Avverso tale statuizione il RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui replica l’intimata con controricorso .
Il ricorrente ha depositato istanza di sollecita definizione del giudizio.
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame dei documenti allegati alla consulenza tecnica di parte, idonei, secondo la prospettazione del ricorrente, a dimostrare l’effettivo trasferimento delle merci alla società avente sede nello Stato estero di destinazione, tra cui i CMR, ovvero i documenti di trasporto internazionale, di cui la CTR ha negato l’esistenza tra gli atti del giudizio, palesando, tale ultima circostanza, anche un errore revocatorio dei giudici di appello.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la medesima questione posta con il primo motivo ma con riferimento alla
violazione degli artt. 115, comma 1, e 116, comma 1, cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115, comma 1, e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 2697 cod. civ., sostenendo che i giudici di appello avevano «attribuito rilevanza agli indizi offerti dall’amministrazione finanziaria posti a fo ndamento dell’avviso di accertamento impugnato, nonostante l’esistenza agli atti del giudizio del predetto materiale probatorio regolarmente acquisito».
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili sotto diversi profili.
Invero, la CTR ha accolto l’appello dell’amministrazione finanziaria non solo perché la società contribuente non aveva fornito la prova della sussistenza di uno dei requisiti necessari per poter beneficiare della non assoggettabilità all’IVA delle cessioni a soggetti residenti in uno Stato membro, ovvero l’effettivo trasferimento dei beni in tale Stato , ma anche perché l’Agenzia delle entrate aveva dimostrato, attraverso lo scambio di informazioni con le autorità fiscali francesi presso cui aveva sede la RAGIONE_SOCIALE società cessionaria con socio unico di nazionalità italiana, che questa era una mera cartiera, non avendo «alle proprie dipendenze lavoratori, il che non giustificherebbe l’elevato volume di affari», sicché si aveva «più di un motivo per dubitare della legittimità delle operazioni di cessione poste in essere, atteso che la struttura della società è tipica delle c.d. ‘cartiere’».
Trattasi, all’evidenza, di statuizione fondata su una duplice ratio decidendi , una delle quali non censurata con il ricorso per cassazione, cui consegue l’inammissibilità dei motivi proposti, in ossequio al noto principio giurisprudenziale secondo cui «Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed
autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza» (Cass. n. 9752 del 2017; conf. Cass. n. 18119 del 2020 e Cass. n. 35939 del 2021, non massimata).
7. Il primo motivo è altresì inammissibile in quanto il ricorrente, così come ha anche affermato nel ricorso (pag. 13), avrebbe dovuto proporre ricorso per revocazione e non, invece, il vizio di omesso esame di documenti che la Commissione d’appello ha ritenuto non presente in atti. Invero, come questa Corte ha reiteratamente affermato, «Il vizio di omesso esame di un documento decisivo non è deducibile in cassazione se il giudice di merito ha accertato che quel documento non è stato prodotto in giudizio, non essendo configurabile un difetto di attività del giudice circa l’efficacia determinante, ai fini della decisione della causa, di un documento non portato alla cognizione del giudice stesso. Se la parte assume, invece, che il giudice abbia errato nel ritenere non prodotto in giudizio il documento decisivo, può far valere tale preteso errore soltanto in sede di revocazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., sempre che ne ricorrano le condizioni» (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15043 del 11/06/2018, Rv. 649170; conf. Cass. n. 19174 e 2529 del 2016, n. 11196 del 2007, n. 41965 del 2021, non massimata).
8. Con riferimento alla violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., che il ricorrente ha dedotto nel secondo e terzo motivo di ricorso, va poi ricordato il principio secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito,
ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione» (Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016, Rv. 642299, e numerose altre conformi). Censure, queste ultime, che il ricorrente non ha dedotto nei motivi in esame.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente che liquida in 7.800,00 euro per compensi oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 18/10/2023