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Cessioni intracomunitarie: onere della prova del cedente

Una società effettuava cessioni intracomunitarie a clienti con codici IVA inesistenti, rivendicando l’esenzione dall’imposta. L’Agenzia delle Entrate contestava l’operazione. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, stabilendo che nelle cessioni intracomunitarie spetta al venditore (cedente) l’onere di provare i requisiti sostanziali per l’esenzione, in particolare la qualità di soggetto passivo IVA dell’acquirente. La mera indicazione di un codice IVA, poi rivelatosi invalido, non è sufficiente a soddisfare tale onere.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cessioni intracomunitarie: la prova della sostanza prevale sulla forma

Nelle cessioni intracomunitarie, quali sono le responsabilità del venditore per ottenere l’esenzione IVA? È sufficiente indicare il codice IVA del cliente o è necessario qualcosa di più? Con l’ordinanza n. 24005/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’onere di provare i requisiti sostanziali per la non imponibilità grava interamente sul cedente. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni dei giudici.

I fatti del caso: cessioni intracomunitarie e codici IVA invalidi

Una società italiana si è vista notificare un avviso di accertamento IVA relativo a operazioni commerciali con clienti di altri Paesi UE. L’Agenzia delle Entrate contestava il mancato assoggettamento a IVA di tali vendite, poiché i codici identificativi IVA dei clienti risultavano inesistenti o cessati. La società aveva applicato il regime di non imponibilità previsto per le cessioni intracomunitarie, ritenendo di aver agito correttamente.

Il contenzioso ha visto un esito altalenante nei primi due gradi di giudizio. La Commissione tributaria provinciale ha dato ragione all’impresa, ma la Commissione tributaria regionale ha ribaltato la decisione, accogliendo l’appello dell’Ufficio. Secondo i giudici d’appello, per beneficiare dell’esenzione, l’operatore commerciale deve svolgere un’attenta verifica sulla reale soggettività passiva del cliente, non potendosi limitare a una diligenza media. L’assenza di tale requisito soggettivo, comprovato da un codice IVA valido, rendeva l’operazione imponibile in Italia. La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la legittimità dell’accertamento fiscale. I giudici supremi hanno chiarito che, sebbene la giurisprudenza nazionale e unionale tenda a dare minor peso ai requisiti puramente formali (come la mancata iscrizione al VIES o l’errata compilazione della fattura), i requisiti sostanziali rimangono imprescindibili. E l’onere di dimostrarne la sussistenza è sempre a carico di chi invoca il beneficio fiscale, ovvero il cedente.

Le motivazioni: i requisiti sostanziali prevalgono su quelli formali

La Corte ha articolato il proprio ragionamento su due pilastri: la distinzione tra requisiti formali e sostanziali e la ripartizione dell’onere della prova.

L’onere della prova nelle cessioni intracomunitarie

Il principio cardine, ribadito dalla Corte, è che chi intende beneficiare di un regime fiscale agevolato deve provare di averne diritto. Nel contesto delle cessioni intracomunitarie, questo si traduce nell’obbligo per il venditore di dimostrare due condizioni sostanziali:

1. Il trasporto effettivo dei beni in un altro Stato membro dell’UE.
2. La qualità di soggetto passivo IVA dell’acquirente in quello Stato.

La Corte ha sottolineato che il possesso di un codice IVA valido non è un mero adempimento burocratico, ma lo strumento principale per comprovare la soggettività passiva del cliente. Un codice inesistente o cessato non è un semplice errore formale, ma un forte indizio dell’assenza del requisito soggettivo, che impedisce la corretta applicazione del meccanismo di tassazione nel Paese di destinazione.

Diligenza del cedente e prova della soggettività passiva

I giudici hanno chiarito che l’impresa cedente non può limitarsi a ricevere un codice IVA, ma deve adottare tutte le misure ragionevoli per verificare che il proprio cliente sia effettivamente un operatore economico registrato ai fini IVA. Confondere lo status sostanziale di soggetto passivo con il possesso formale di un codice identificativo è un errore. Il primo è il presupposto dell’esenzione, il secondo ne è la prova principale. In assenza di un codice valido, il cedente deve fornire prove alternative oggettive e inconfutabili della soggettività passiva del cliente, un compito che nel caso di specie non è stato assolto.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per le imprese

L’ordinanza consolida un orientamento rigoroso per le imprese che operano nel mercato unico europeo. Per applicare correttamente il regime di non imponibilità delle cessioni intracomunitarie e prevenire contenziosi fiscali, è indispensabile:

1. Verificare sistematicamente la validità del numero di partita IVA dei clienti comunitari attraverso il sistema VIES prima di ogni operazione.
2. Raccogliere e conservare prove documentali che attestino non solo la spedizione e la consegna dei beni (es. documenti di trasporto, CMR), ma anche la natura di operatore economico del cliente.
3. Non fare affidamento su dichiarazioni o documenti non verificabili, poiché l’onere di provare la legittimità dell’esenzione ricade interamente sull’impresa venditrice.

In conclusione, la sostanza prevale sulla forma: l’esenzione IVA non è un automatismo, ma un beneficio condizionato alla prova rigorosa del rispetto di tutti i requisiti sostanziali previsti dalla normativa europea.

Per ottenere l’esenzione IVA nelle cessioni intracomunitarie, è sufficiente che il venditore indichi un codice IVA del cliente?
No, non è sufficiente. Secondo la Corte, il venditore deve provare i requisiti sostanziali, tra cui la reale qualità di soggetto passivo IVA dell’acquirente. Un codice IVA che si rivela inesistente o cessato fa venire meno la prova di tale requisito e l’operazione diventa imponibile.

Su chi ricade l’onere di provare che una vendita è una legittima cessione intracomunitaria?
L’onere della prova ricade interamente sul cedente (il venditore), ovvero sul soggetto che intende beneficiare del regime di non imponibilità IVA. Deve dimostrare sia l’effettivo trasporto dei beni in un altro Stato UE, sia la qualità di soggetto passivo del suo cliente.

Cosa succede se il venditore non verifica la validità del codice IVA del cliente e questo si rivela inesistente?
Se il venditore non adotta le misure ragionevoli per verificare la validità del codice IVA e non riesce a fornire prove alternative oggettive sulla soggettività passiva dell’acquirente, l’esenzione IVA può essere negata. L’operazione viene considerata come una vendita interna e l’Agenzia delle Entrate può richiedere il versamento dell’imposta non applicata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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