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Cessioni intracomunitarie: la prova per l’esenzione IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17727/2025, ha rigettato sia il ricorso dell’Agenzia delle Entrate sia quello incidentale del contribuente. La Corte ha stabilito che per le cessioni intracomunitarie, la prova dell’effettivo trasferimento dei beni può essere fornita anche con “fatti secondari” come le comunicazioni Intrastat e le dichiarazioni dei cessionari, non essendo obbligatorio il modello CMR. Ha inoltre dichiarato inammissibile l’appello incidentale tardivo del contribuente, poiché l’interesse a impugnare una parte della sentenza di primo grado preesisteva all’appello principale dell’Agenzia e non ne era una diretta conseguenza.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cessioni Intracomunitarie: Prova dell’Esenzione IVA e Limiti dell’Appello Incidentale

L’ordinanza n. 17727/2025 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su due temi cruciali del contenzioso tributario: la prova richiesta per l’esenzione IVA nelle cessioni intracomunitarie e i limiti di ammissibilità dell’appello incidentale tardivo. Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale favorevole al contribuente in materia di onere probatorio, ma al contempo ribadisce il rigore delle norme processuali sull’impugnazione.

I Fatti di Causa: Una Doppia Controversia

Il caso nasce da un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria recuperava l’IVA su due tipologie di operazioni contestate a un’azienda. La prima contestazione riguardava diverse cessioni intracomunitarie di beni, per le quali l’Ufficio riteneva non provato l’effettivo trasferimento della merce nello Stato membro di destinazione, disconoscendo il regime di non imponibilità. La seconda contestazione concerneva fatture per “modifiche attrezzature” emesse nei confronti di un cliente comunitario, ma identificato in Italia.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso dell’azienda, annullando il primo rilievo (sulle cessioni) ma confermando il secondo. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello sulla decisione a lei sfavorevole, e l’azienda, a sua volta, presentava un appello incidentale sulla parte della sentenza che le dava torto. La Commissione Tributaria Regionale respingeva l’appello dell’Agenzia e dichiarava inammissibile, perché tardivo, quello dell’azienda. La questione è così giunta all’attenzione della Corte di Cassazione con un ricorso principale dell’Agenzia e uno incidentale dell’azienda.

La Prova nelle Cessioni Intracomunitarie secondo la Cassazione

Il cuore della questione relativa alle cessioni intracomunitarie risiede nell’onere della prova. L’Agenzia sosteneva che la documentazione prodotta dall’azienda (modelli Intrastat e dichiarazioni postume dei clienti) non fosse sufficiente a dimostrare l’uscita dei beni dal territorio nazionale, specialmente in casi di vendita “franco fabbrica” dove il trasporto è a cura del cliente.

La Corte di Cassazione ha rigettato questa tesi, confermando la validità di un approccio meno formalistico. I giudici hanno ribadito che, sebbene l’onere della prova gravi sul contribuente che invoca l’esenzione, questa prova non deve essere fornita esclusivamente tramite il documento di trasporto CMR. La normativa europea e nazionale non impone una prova specifica, lasciando spazio a un complesso di elementi documentali che, nel loro insieme, possano dimostrare con sufficiente evidenza il trasferimento fisico della merce.

Elementi di Prova Alternativi

La Corte ha ritenuto che documenti come:
– Le comunicazioni Intrastat
– Le dichiarazioni scritte rese ex post dai cessionari che confermano la ricezione della merce

costituiscano “fatti secondari” idonei a comprovare la fuoriuscita dei beni. Questo approccio è coerente con la giurisprudenza unionale e nazionale, che mira a bilanciare la lotta all’evasione con la necessità di non imporre ai contribuenti in buona fede oneri probatori eccessivamente gravosi o impossibili da soddisfare, specialmente quando la documentazione principale è in possesso di terzi (come il vettore o l’acquirente).

L’Inammissibilità dell’Appello Incidentale Tardivo

Sull’altro fronte, la Cassazione ha confermato l’inammissibilità dell’appello incidentale dell’azienda. La società aveva impugnato il capo della sentenza di primo grado che le era sfavorevole oltre i termini ordinari, sostenendo che il suo interesse fosse sorto solo a seguito dell’appello dell’Agenzia.

La Corte ha chiarito un principio fondamentale del diritto processuale: l’impugnazione incidentale tardiva è ammissibile solo se l’interesse a proporla è “innescato” dall’impugnazione principale. Ciò accade quando l’accoglimento dell’appello altrui potrebbe modificare l’assetto degli interessi definito dalla sentenza, rendendo svantaggiosa una situazione che la parte era disposta ad accettare.

Nel caso specifico, la posizione dell’azienda sul secondo rilievo era già pregiudicata e definita dalla sentenza di primo grado. L’appello dell’Agenzia, vertendo su una questione completamente diversa (il primo rilievo), non rimetteva in discussione quel punto. Pertanto, l’interesse dell’azienda a impugnare era preesistente e non è sorto a causa dell’iniziativa della controparte. Non è possibile, quindi, utilizzare l’appello incidentale tardivo per “recuperare” un termine di impugnazione già scaduto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Le motivazioni della Corte si basano su un’attenta analisi della normativa e della giurisprudenza consolidata. Per quanto riguarda le cessioni intracomunitarie, la decisione si fonda sul principio di proporzionalità. Si riconosce che il cedente deve dimostrare di aver adottato la massima diligenza esigibile, ma non gli si può chiedere l’impossibile. L’insieme dei documenti prodotti, sebbene non costituissero la prova diretta del trasporto (come il CMR), erano sufficienti a creare una presunzione grave, precisa e concordante dell’avvenuto trasferimento.

In merito alla questione processuale, i giudici hanno richiamato i principi enunciati dalle Sezioni Unite, secondo cui l’appello incidentale tardivo non può essere utilizzato come uno strumento per rimettere in gioco questioni su cui si era già formata acquiescenza. L’interesse che legittima l’impugnazione tardiva deve essere nuovo e sorgere proprio dalla potenziale modifica della sentenza ad opera dell’impugnazione principale, e non da una mera soccombenza pregressa che si era scelto di non contestare tempestivamente.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è di grande rilevanza pratica. Da un lato, rassicura le imprese che operano a livello europeo sul fatto che la prova per l’esenzione IVA nelle cessioni intracomunitarie può essere fornita attraverso un insieme coordinato di documenti, senza essere legati a un formalismo rigido. Dall’altro, serve da monito sulla necessità di rispettare scrupolosamente i termini processuali per le impugnazioni. La strategia processuale deve essere definita con attenzione fin dalla pubblicazione della sentenza di primo grado, poiché l’istituto dell’appello incidentale tardivo non offre una via d’uscita per sanare omissioni o ritardi su capi di sentenza autonomi e già definiti.

Quali prove sono sufficienti per dimostrare l’avvenuto trasporto dei beni in un altro Stato UE nelle cessioni intracomunitarie?
Secondo la Corte, non è obbligatoria la produzione esclusiva del modello CMR. La prova può essere fornita con un insieme di documenti e “fatti secondari” che dimostrino con sufficiente evidenza la fuoriuscita della merce dal territorio nazionale. Tra questi rientrano le comunicazioni Intrastat e le dichiarazioni ex post dei cessionari che attestano di aver ricevuto i beni.

Quando un appello incidentale proposto oltre i termini ordinari (tardivo) è considerato inammissibile?
L’appello incidentale tardivo è inammissibile quando l’interesse a impugnare una parte della sentenza (un capo su cui si è risultati soccombenti) è già presente al momento della pubblicazione della stessa e non sorge come conseguenza diretta dell’appello principale proposto dalla controparte. In pratica, non si può usare l’appello altrui per “recuperare” un termine di impugnazione già scaduto per una questione autonoma.

In una vendita con clausola “franco fabbrica”, chi ha l’onere della prova del trasporto e come può assolverlo?
L’onere della prova dell’effettivo trasferimento della merce in un altro Stato membro ricade sempre sul cedente (il venditore), anche nelle vendite “franco fabbrica” in cui il trasporto è a cura dell’acquirente. Il cedente può assolvere a tale onere dimostrando di aver agito con la massima diligenza, fornendo la prova documentale della dislocazione della merce o, in alternativa, di “fatti secondari” che ne attestino la presenza nel territorio di destinazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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