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Cessioni intracomunitarie: la prova non è solo il CMR

Una società tedesca si è vista negare l’esenzione IVA per diverse cessioni intracomunitarie a causa della mancata presentazione del documento di trasporto CMR. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’azienda, stabilendo che la prova dell’avvenuta consegna in un altro Stato UE non è legata esclusivamente al CMR. È possibile dimostrare l’operazione attraverso un insieme di documenti probatori equivalenti, soprattutto in caso di vendite con clausola “franco fabbrica”. La sentenza di merito è stata annullata con rinvio per una nuova valutazione delle prove.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cessioni Intracomunitarie: La Prova di Consegna Va Oltre il CMR

Le cessioni intracomunitarie rappresentano una colonna portante del mercato unico europeo, ma nascondono insidie fiscali, specialmente per quanto riguarda la prova necessaria per beneficiare della non imponibilità IVA. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8477 del 2024, ha fatto chiarezza su un punto cruciale: il documento di trasporto internazionale (CMR) non è l’unica prova ammissibile per dimostrare l’avvenuta consegna dei beni in un altro Stato membro. Questo principio assume un’importanza ancora maggiore nelle vendite con clausola “franco fabbrica” (ex works), dove la gestione del trasporto è a carico dell’acquirente.

I Fatti del Caso

Una società tedesca, produttrice di componenti, ha impugnato un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione l’IVA su alcune vendite effettuate nel 2011 verso un’importante casa automobilistica acquirente, anch’essa con sede in un altro paese UE. L’amministrazione finanziaria contestava la mancata produzione del CMR, ritenuto documento essenziale per provare l’effettiva uscita della merce dal territorio italiano e la sua consegna a destinazione.

La Commissione Tributaria di primo grado aveva accolto parzialmente il ricorso della società, annullando l’accertamento solo per le operazioni supportate da CMR o DDT. In appello, la Commissione Tributaria Regionale aveva invece dato pienamente ragione all’Agenzia delle Entrate, rigettando l’appello della contribuente. Secondo i giudici di secondo grado, la prova della consegna poteva essere fornita solo tramite CMR o documento di trasporto, applicando erroneamente i principi più rigidi previsti per le esportazioni extracomunitarie e svalutando la documentazione di origine privata prodotta dall’azienda, come le conferme di ricezione merce (Goods Receipt Acknowledgment) fornite dall’acquirente.

La Prova nelle Cessioni Intracomunitarie e la Decisione della Cassazione

Contro la decisione d’appello, la società ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l’errata applicazione della normativa sulle cessioni intracomunitarie. La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame.

Il cuore della decisione risiede nell’affermazione del principio della libertà della prova. I giudici di legittimità hanno chiarito che né la normativa europea (Direttiva 2006/112/CE) né quella nazionale (art. 41 del d.l. n. 331/1993) impongono l’utilizzo di un documento specifico e tassativo, come il CMR, per dimostrare il trasferimento dei beni. L’onere della prova ricade certamente sul cedente, ma questi può assolverlo fornendo un insieme di elementi documentali idonei a dimostrare, in modo sufficientemente evidente, che la merce ha lasciato il territorio dello Stato e ha raggiunto il destinatario in un altro Paese membro.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando come la Commissione Tributaria Regionale abbia commesso un duplice errore. In primo luogo, ha applicato indebitamente alle cessioni intracomunitarie il regime probatorio più stringente previsto per le esportazioni extra-UE. In secondo luogo, ha ritenuto che l’unico documento valido fosse il CMR, omettendo di valutare tutti gli altri documenti prodotti dalla società ricorrente. Questo approccio formalistico è stato censurato perché non tiene conto della sostanza dell’operazione, ovvero l’effettiva movimentazione dei beni.

La Cassazione ha ribadito che, in assenza di una prova documentale tipizzata, la dimostrazione può essere fornita con un “pacchetto probatorio” alternativo. Tale pacchetto può includere fatture di vendita, documentazione bancaria che attesti il pagamento, contratti e, come nel caso di specie, dichiarazioni scritte provenienti dall’acquirente che confermano l’avvenuta ricezione dei beni. I giudici di merito avrebbero dovuto esaminare questa documentazione nel suo complesso per valutarne l’idoneità a provare la realtà dell’operazione, anziché scartarla a priori solo perché di natura privata.

Conclusioni

La sentenza n. 8477/2024 è di fondamentale importanza per tutte le imprese che operano nel mercato europeo. Essa conferma che, ai fini della non imponibilità IVA, la sostanza prevale sulla forma. Il CMR resta un documento importante e consigliabile, ma la sua assenza non preclude automaticamente il diritto all’esenzione. Le aziende, specialmente quelle che vendono con clausola “ex works”, devono essere diligenti nel raccogliere e conservare un insieme coerente di prove (fatture, pagamenti, contratti, email, conferme di ricezione) che, lette congiuntamente, possano dimostrare senza ombra di dubbio la realtà della cessione intracomunitaria. La decisione della Cassazione offre quindi maggiore flessibilità, ma richiede al contempo un’attenta gestione documentale da parte del cedente per tutelarsi da possibili contestazioni fiscali.

Per ottenere l’esenzione IVA nelle cessioni intracomunitarie, è obbligatorio presentare il documento di trasporto CMR?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il CMR non è l’unico documento idoneo a comprovare l’avvenuta consegna. La prova può essere fornita con qualsiasi altro documento equivalente o con un insieme di documenti che dimostrino con sufficiente evidenza il trasferimento della merce in un altro Stato membro.

In caso di vendita con clausola “franco fabbrica” (ex works), su chi ricade l’onere di provare la consegna della merce a destinazione?
L’onere della prova ricade sempre sul cedente (il venditore). Anche se il trasporto è a cura dell’acquirente, il venditore deve dimostrare che la merce ha effettivamente lasciato il territorio nazionale e ha raggiunto lo Stato membro di destinazione per poter beneficiare della non imponibilità IVA.

Quali documenti alternativi al CMR possono essere utilizzati per provare una cessione intracomunitaria?
La sentenza indica che la prova può derivare da un insieme di documenti. Sebbene non elenchi un set tassativo, si fa riferimento a documentazione bancaria, impegni contrattuali e, nel caso specifico, a dichiarazioni scritte dell’acquirente che attestano la ricezione della merce (come i “Goods Receipt Acknowledgment”). L’importante è che l’insieme delle prove sia coerente e sufficiente a dimostrare l’operazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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