Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10065 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10065 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3563/2018 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv . NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv . NOME COGNOME, sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-resistente- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 4242/2017, depositata il 24 ottobre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso depositato in data 29 marzo 2016, l’odierna ricorrente impugnava l’avviso d’accertamento n. T9Y04100761/2015 a mezzo del quale l’Agenzia delle entrate riprendeva a tassazione l’intera IVA relativa a cessioni di merci (attrezzature fotografiche), intervenute, nel corso del 2011, con la società RAGIONE_SOCIALE di Londra. Evidenziava l’Agenzia che le stesse erano state indebitamente emesse senza applicazione dell’IVA giacché solo fittiziamente intracomunitarie, risultando esclusa la fisica traslazione delle merci oltre confine e venendo, conseguentemente, meno il presupposto di esenzione disciplinato dall’art. 41 del d.l. n. 331/1993. Più in particolare, l’Amministrazione allegava all’atto impositivo un report derivante dalla procedura d’interscambio informativo con l’Autorità finanziaria britannica da cui pareva desumersi, ad avviso dell’Ufficio, l’inesistenza di rapporti commerciali con la società verificata.
Si costituiva l’Amministrazione finanziaria.
Con sentenza n. 181/2016, depositata in data 22 novembre 2016, la Commissione tributaria provinciale di Sondrio rigettava il ricorso.
-Avverso tale sentenza proponeva appello l’odiern a ricorrente.
Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle entrate.
Con sentenza n. 4242/2017, depositata il 24 ottobre 2017, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello.
-La società ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L ‘Agenzia delle entrate ha depositato un atto di costituzione al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
-A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c. del Consigliere delegato, la ricorrente ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-In via preliminare va chiarito che nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (Cass. Sez. Un., 10 aprile 2024, n. 9611).
-Con il primo motivo si deduce la violazione / falsa applicazione dell’art. 41 d.l. n. 331/1993 (art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.). In particolare, si evidenzia che in ossequio alla giurisprudenza della Cassazione (Cass. n. 5141/2016), il soggetto cedente, per l’ipotesi in cui venga contestata l’effettività del trasporto oltre confine, ma non venga anche sostenuta e dimostrata una sua fattiva collaborazione al disegno evasivo del cessionario, al fine di esonerarsi da ogni responsabilità deve limitarsi a fornire elementi di prova che solo prima facie ( quindi in maniera apparente)
corroborino la fisica traslazione delle merci e soltanto nell’ipotesi in cui detta documentazione manchi sarà costretto a dimostrare l’attivazione di ogni possibile contromisura tesa ad evitare una sua inconsapevole partecipazione alla frode perpetrata da terzi. Nel caso in esame si deduce che l’odierna ricorrente aveva fornito sin dalle prime battute della verifica (oltre a tutta una serie di ulteriori documenti) un dichiarativo del cessionario di piena ricezione delle merci compravendute che, secondo gli arresti di prassi all’epoca vigenti, costituiva prova sufficiente a corroborare la traslazione oltre confine delle merci medesime. La Commissione regionale, nel rigettare il motivo di doglianza relativo alla dedotta buona fede della contribuente nella gestione del rapporto commerciale, confonderebbe i due piani, ritenendo insufficiente tale documentazione non solo a corroborare effettivamente il trasporto del materiale, ma anche astrattamente.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alle dedotte condotte decettive (art. 360, 1° comma, n. 4 c.p.c.). Secondo quanto prospettato, dall’analisi del tenore motivazionale della sentenza impugnata si evince che la Commissione distrettuale ha inteso la documentazione, da parte della contribuente, delle indagini penali – effettuate in danno dell’asserito falso rappresentante COGNOME dalla Procura della Repubblica di Bergamo come finalizzate a corroborare l’estraneità della ricorrente alla frode teoricamente perpetrata da quest’ultimo. Condizione notoriamente necessaria, ma non sufficiente a determinare l’esenzione di responsabilità richiesta dalla cont ribuente nel caso di specie. In realtà, come messo in evidenza negli atti depositati in secondo grado, l’analisi delle condotte dell’COGNOME mirava a evidenziare la loro incidenza causale sul contegno di buona fede della società contribuente nella gestione del rapporto
commerciale, incidenza considerata di sicuro rilievo in casi come quello di specie dalla giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. n. 7897/2016). Ne consegue che, nel caso di specie, la Commissione regionale avrebbe scorrettamente interpretato la domanda formulata dalla contribuente sino al punto d’incorrere in un’omissione di pronuncia rilevante ex art. 112 c.p.c. su detta incidenza.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione / falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. circa il processo verbale di constatazione delle dogane. Nella presente controversia, vertendosi in materia di esenzione IVA, gli oneri istruttori, tanto con riferimento all’effettività del trasporto oltre confine delle merci che con riferimento alla buona fede nella gestione del rapporto commerciale, sono riferibili alla società contribuente. Sennonché, da un punto di vista logico, prima ancora che giuridico, se la contribuente ha effettivamente raggiunto la prova della fisica traslazione delle merci al di fuori del territorio nazionale (e ciò avrebbe fatto grazie alla dichiarazione del cessionario di piena ricezione in quanto documento conforme agli standard di prassi dell’epoca), prima che sia necessario addossarle (anche) la prova della sua dedotta buona fede commerciale, avrebbe necessariamente (e preventivamente) dovuto raggiungersi la prova della fittizietà della suddetta dichiarazione. Detta prova non poteva che porsi a carico dell’Amministrazione finanziaria, la quale ha ritenuto di attendervi con una produzione peraltro tardiva del solo report dell’Autorità finanziaria britannica. Detto report, come chiarito negli atti di causa, era stato più volte contestato non solo dal punto di vista di ammissibilità processuale, ma soprattutto con riferimento alla sua attendibilità sostanziale, oltre che di provenienza. Ciò avrebbe determinato l’onere, a carico dell’Amministrazione, di produrre se non altro il processo verbale di
constatazione di cui detto contestato report costituiva l’esito d’indagine, dovendo diversamente ritenersi non raggiunta la prova della fittizietà della dichiarazione prodotta e quindi l’assenza di qualsiasi responsabilità erariale in danno della società contribuente (cfr. Cass. n. 3978/2017 come pure Cass. n. 955/2016).
2.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono in parte infondati e in parte inammissibili.
In tema di IVA, ove l’Amministrazione finanziaria contesti l’imponibilità di cessioni relative a merci che si ritengano fittiziamente esportate in altro Paese membro della UE, grava sul cedente l’onere di provare l’effettività del trasporto nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario (Cass., Sez. V, 24 dicembre 2020, n. 29498).
L’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (Cass., Sez. V, 10 aprile 2024, n. 9723; Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. 28628).
Nel caso di specie non si rinviene alcuna violazione delle norme richiamate, avendo la Commissione tributaria regionale fatto buon governo dell’onere della prova, alla luce della giurisprudenza di legittimità, tenuto conto delle risultanze istruttorie – tra cui il report dell’autorità fiscale britannica che era parte integrante dell’avviso di accertamento, formato e notificato insieme ad esso, come rilevato
nella pronuncia della Commissione tributaria regionale e legittimamente acquisito agli atti – che hanno condotto il giudice tributario a ritenere del tutto inattendibile la documentazione relativa alla presunta consegna delle merci e ai relativi bonifici.
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura infatti nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. IV, 19 agosto 2020, n. 17313; Cass., Sez. VI3, 31 agosto 2020, n. 18092).
Parte ricorrente intende invero conseguire una nuova e inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie, a fronte peraltro di una doppia conforme. In tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (Cass., Sez. III, 21 dicembre 2022, n. 37382), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali.
Riguardo al secondo motivo, vi è da osservare che il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (Cass., Sez. V, 23 ottobre 2024, n. 27551).
Nel caso di specie la censura è diretta non a una omessa pronuncia ma a censurare un vizio di motivazione. In ogni caso, la vicenda penale è stata comunque esaminata nella pronuncia (pagine 7-8).
3. -Il ricorso va dunque rigettato.
Non si deve provvedere sulle spese essendosi l’Agenzia delle entrate costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Essendo la decisione resa nell’ambito del procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis c.p.c. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere condannata al pagamento della somma ex art. 96 comma 4 c.p.c., come liquidata in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, c.p.c. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Condanna parte ricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. al pagamento della somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione