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Cessioni intracomunitarie: errore formale non basta

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21863/2024, ha stabilito che l’errata indicazione del codice IVA del cliente nelle fatture relative a cessioni intracomunitarie costituisce una violazione meramente formale. Tale errore non può, da solo, determinare la perdita del regime di non imponibilità IVA, a meno che l’amministrazione finanziaria non contesti la qualità di soggetto passivo del destinatario o non vi siano seri indizi di frode. La Corte ha quindi annullato la pretesa fiscale nei confronti di una società e del suo ex socio, ribadendo che la sostanza dell’operazione prevale sulla forma.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cessioni Intracomunitarie: Errore sul Codice IVA? La Cassazione Chiarisce

Le cessioni intracomunitarie rappresentano un pilastro del mercato unico europeo, ma le regole IVA che le governano possono generare contenziosi. Un errore formale, come l’indicazione di un codice IVA errato del cliente, può costare caro a un’azienda? Con l’ordinanza n. 21863 del 2 agosto 2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara e rassicurante per gli operatori economici, ribadendo un principio fondamentale: la sostanza prevale sulla forma.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata, ormai posta in liquidazione, aveva ricevuto un avviso di accertamento IVA. L’Agenzia delle Entrate contestava la corretta applicazione del regime di non imponibilità per alcune cessioni intracomunitarie. Il motivo? Su alcune fatture emesse verso clienti comunitari era stato indicato un codice identificativo IVA errato. Di conseguenza, l’amministrazione finanziaria aveva riqualificato tali operazioni come cessioni interne, applicando l’IVA secondo il regime ordinario.

La Commissione Tributaria Regionale, pur riconoscendo l’invalidità dell’atto verso la società estinta, aveva confermato la pretesa erariale nei confronti dell’ex socio, ritenendo che l’errore formale avesse natura “sostanziale” e giustificasse il recupero dell’imposta. L’ex socio ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle Cessioni Intracomunitarie

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente, cassando la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha annullato completamente la pretesa fiscale. Il fulcro della decisione risiede nella distinzione tra violazioni formali e sostanziali in materia di IVA.

Le Motivazioni: Violazione Formale vs. Sostanziale

La Corte ha ribadito la sua giurisprudenza consolidata, anche in linea con quella europea. Il principio chiave è il seguente: «In tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale, che non incide sul regime di esenzione».

Questo significa che un semplice errore materiale, come un codice IVA sbagliato, non può di per sé trasformare un’operazione intracomunitaria non imponibile in una interna imponibile. Il regime di non imponibilità è salvaguardato a due condizioni fondamentali:

1. Non sia contestata la sostanza: l’Agenzia delle Entrate non deve mettere in discussione che il destinatario della merce sia effettivamente un soggetto passivo d’imposta in un altro Stato membro.
2. Non vi siano indizi di frode: la transazione non deve essere parte di un meccanismo fraudolento volto a evadere l’imposta.

Nel caso specifico, l’amministrazione si era limitata a contestare l’errore formale, senza mai mettere in dubbio la qualità di operatori IVA dei clienti comunitari. Pertanto, secondo la Cassazione, la decisione della Commissione Tributaria Regionale di considerare “sostanziale” tale violazione è “chiaramente ed irrimediabilmente distonica” rispetto ai principi consolidati. Accogliendo questo motivo, la Corte ha annullato la pretesa fiscale, assorbendo l’altra questione relativa alla responsabilità del socio.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza offre un’importante tutela per le imprese che operano nel mercato unico. Essa conferma che gli errori formali, sebbene da evitare con la dovuta diligenza, non possono avere conseguenze sproporzionate e punitive quando la sostanza economica dell’operazione è genuina e lecita. Le aziende devono concentrarsi sulla raccolta delle prove che dimostrino la realtà delle cessioni intracomunitarie (documenti di trasporto, conferme di ricezione, status di soggetto passivo del cliente), avendo la certezza che un mero errore materiale non potrà, da solo, compromettere il corretto trattamento fiscale dell’operazione.

Un errore nell’indicazione del codice IVA del cliente in una fattura per cessioni intracomunitarie fa perdere il diritto al regime di non imponibilità?
No, secondo la Corte di Cassazione, l’omessa o errata comunicazione del codice identificativo IVA del destinatario è una violazione meramente formale. Non incide sul regime di non imponibilità, a condizione che sia provata la qualità di soggetto passivo IVA del destinatario nello Stato UE di appartenenza e non vi siano indizi di frode.

Cosa deve dimostrare un’azienda per mantenere il regime di non imponibilità in caso di controllo su cessioni intracomunitarie?
L’azienda deve dimostrare la sostanza dell’operazione, ovvero che la vendita è avvenuta nei confronti di un soggetto passivo d’imposta in un altro Stato membro dell’Unione Europea. La prova della sostanza prevale sull’errore formale, come un codice IVA errato, purché non vi siano contestazioni sulla natura dell’acquirente o sospetti di frode.

In questo caso, la pretesa fiscale nei confronti dell’ex socio della società liquidata è stata annullata?
Sì. Accogliendo il motivo di ricorso sulla natura formale della violazione, la Corte ha cassato la sentenza e, decidendo nel merito, ha accolto il ricorso introduttivo del contribuente. Questo ha annullato la pretesa fiscale, facendo venir meno anche la posizione debitoria personale dell’ex socio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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