Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33197 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33197 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto: Tributi
Ires, Irap e Iva 2004
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 4076 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto
Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-ricorrente –
Fallimento RAGIONE_SOCIALE in persona dei curatori e legali rappresentanti pro tempore;
– intimato – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna, n. 276/05/2020, depositata in data 16 luglio 2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
1. L’ Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Sardegna, previa riunione, aveva rigettato l’appello proposto d a ll’Agenzia delle entrate e accolto quello proposto dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, avverso la sentenza n. 282/03/2010 della Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla società, esercente attività di costruzione e revamping di materiale rotabile ferroviario avverso l’avviso di accertamento con il quale, previo p.v.c. del Nucleo di Polizia Tributaria di Cagliari, veniva ripresa a tassazione, per il 2004:1) l’Iva indebitamente detratta in relazione ad un atto di ‘compravendita’ – intercorso tra RAGIONE_SOCIALE, nella veste di venditrice, e RAGIONE_SOCIALE, nella veste di acquirente, avente ad oggetto una porzione frazionata dello stabilimento industriale IMESI con annesso terreno sito nel Comune di Carini (PA), qualificato dall’ Amministrazione come cessione di ramo d’azienda soggetta all’imposta proporzionale di registro e fuori campo di applicazione dell’Iva; 2) costi ai fini Ires e Irap, ritenuti non di competenza relativi all’ammortamento integrale dei beni immateriali afferenti il sito produttivo di Palermo e alle quote di ammortamento di costi di formazione del personale della medesima sede di Palermo, contabilizzati come aventi carattere pluriennale e interamente dedotti nell’anno oggetto di verifica.
2. In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) l’atto di compravendita intercorso tra RAGIONE_SOCIALE, nella veste di venditrice, e RAGIONE_SOCIALE, nella veste di acquirente, andava qualificato come già ritenuto dalla CTP – come cessione di beni mobili e immobili soggetta ad Iva in quanto: a) la cedente aveva continuato l’attività di impresa di produzione e revisione di materiale rotabile ferroviario e aveva ceduto soltanto le aree risultate eccedenti dopo la riconfigurazione dell’attività produttiva; b) la cessione anche dei mac chinari all’interno dei capannoni ceduti, non costituiva prova di cessione di ramo d’azienda trattandosi di attrezzature vetuste e inutilizzabili e non rivestendo carattere, neppure potenziale, di beni dotati di capacità produttiva (al riguardo, come sostenuto dalla contribuente e non diversamente provato dall’Agenzia, i lavori di ristrutturazione erano durati oltre quattordici mesi; c) non era stato trasferito il relativo personale ; 2) l’Ufficio era comunque decaduto dalla possibilità di ottenere una revisione del titolo di tassazione in quanto dalla registrazione dell’atto erano decorsi oltre tre anni; 3) le spese (contabilizzate per euro 1.113.367,85 e imputate interamente all’esercizio) per la ristrutturazione dei fabbricati industriali denominati K1 e K2 in Palermo – ceduti ad una società di leasing e contestualmente acquisiti in leasing finanziario da società del gruppo Keller che, a sua volta, li aveva retrocessi in locazione alla contribuente -erano state correttamente interamente ‘spesate’ nell’ esercizio in cui erano state sostenute e in cui erano stati venduti gli immobili, vendita che aveva dato luogo ad una notevole plusvalenza che aveva contribuito alla realizzazione del reddito della società; in particolare, la detenzione degli immobili da parte della contribuente era rimasta a titolo di locazione essendo la proprietà passata ad altro soggetto giuridico per cui l’ammortamento di tali beni sarebbe stato effettuato da soggetto distinto da RAGIONE_SOCIALE; 4) anche la quota di ammortamento pari a euro 152.116,95 relativa a spese di formazione del personale erano state correttamente imputate all’esercizio 2004.
3. Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in persona dei curatori e legali rappresentanti pro tempore , è rimasto intimato.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 1, 2 e 3, lett. b), del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR qualificato l’atto di ‘ compravendita ‘ del 23.3.2004, intercorso tra RAGIONE_SOCIALE nella veste di venditrice, e RAGIONE_SOCIALE nella veste di acquirente, avente ad oggetto una porzione frazionata dello stabilimento industriale IMESI sito nel Comune di Carini (PA), come cessione di beni mobili e immobili soggetta ad Iva in luogo che cessione di ramo d’azienda, soggetta all’imposta proporzionale di registro e fuori campo di applicazione dell’Iva. In particolare, ad avviso dell’Agenzia, il carattere di cessione di ramo d’azienda dell’atto di ‘compravendita’ in questione si evinceva da plurimi elementi: 1) i fabbricati industriali ceduti individuati come ‘Ramo D ‘azienda Imesi’ ; 2) il complesso dei beni mobili e immobili idoneo ad essere utilizzato per lo svolgimento dell’attività d’impresa della contribuente (costruzione e ristrutturazione delle carrozze ferroviarie), attività analoga a quella svolta dalla venditrice (produzione e revisione di casse e componenti meccanici ferroviari e simili) nel complesso industriale sino alla data della cessione; 3) il complesso dei beni ceduti potenzialmente utilizzabile per un’attività d’impresa senza che avesse rilievo l’ass enza di attualità di tale esercizio; 4) la nota integrativa al bilancio al 31.12.2004 allegata al p.v.c. da cui risultava l’effettiva connessione funzionale tra i vari beni appartenenti al complesso; 5) la clausola contrattuale relativa all’obbligo di Keller s.p.a. , per due anni decorrenti dalla data della stipula, di non rivendere né concedere in locazione a terzi gli immobili in questione concretante, in sostanza, un patto di non concorrenza; 6) la clausola contrattuale con cui la cedente garantiva, anche per la porzione frazionata, l’adempimento degli interventi previsti dal Piano sicurezza redatto dalla medesima; 7) gli accordi relativi alle modalità di utilizzo del servizio di mensa o la consegna di doppia chiave del cancello di transito del carro autotrasportatore con impegno a concordare il ‘programma delle movimentazioni da fare’.
1.1.Il motivo si profila inammissibile.
1.2.Nella sentenza impugnata, il giudice di appello ha ritenuto legittimamente detratta l’Iva dalla contribuente in relazione all’atto di ‘compravendita’ del 23.3.2004, intercorso tra RAGIONE_SOCIALE nella veste di venditrice, e RAGIONE_SOCIALE nella veste di acquirente, avente ad oggetto una porzione frazionata dello stabilimento industriale RAGIONE_SOCIALE con annesso terreno sito nel Comune di Carini (PA) in quanto: 1) il contratto in questione era qualificabile come cessione di beni mobili e immobili soggetta ad Iva e non già come cessione di ramo di azienda , soggetta all’imposta proporzionale di registro e fuori campo di applicazione dell’Iva (prima ratio decidendi ); 2) l’Ufficio era decaduto (ai sensi dell’art. 76 del testo unico approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131), dalla possibilità di ottenere una revisione del titolo di tassazione essendo decorsi oltre tre anni dalla registrazione dell’atto (erano richiamate Cass. n. 7242 del 2003 e Cass. n. 21811 del 2017) (seconda ratio decidendi ).
1.3.Invero, secondo il principio di diritto consolidato di questa Corte, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. (Cass. n. 8394/2021; Cass. Sez. 1 – , Sentenza n. 18641 del 27/07/2017; Cass. 9752/2017; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Sez. L, Sentenza n. 3386 del 11/02/2011; Sez. 3, Sentenza n. 24540 del 20/11/2009 ;Cass. 3965 del 19/03/2002).
1.4.Nella specie, essendo la decisione della CTR circa l’illegittima ripresa a tassazione dell’Iva detratta dalla società in relazione all’atto di compravendita stipulato il 23.3.2004, sorretta da due rationes decidendi, l’omessa impugnazione della seconda, comporta l’inammissibilità, per difetto di interesse, del mezzo in esame con cui viene aggredita solo la prima.
2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 e dell’art. 2423 bis c.c. per avere la CTR ritenuto illegittima la ripresa a tassazione dei costi di euro 1.265.484,80, relativi all’ammortamento integrale dei beni immateriali afferenti il sito produttivo di Palermo e alle quote di ammortamento di costi di formazione del personale della medesima sede di Palermo: 1) contabilizzati come aventi carattere pluriennale sebbene, ad avviso dell’Amministrazione, fossero comprensivi di spese di gestione ordinarie a carattere annuale e 2) interamente dedotti nell’esercizio in cui i fabbricati industriali (K1 e K2) oggetto di ristrutturazione erano stati venduti ricollegando la plusvalenza originata dalla cessione ai detti costi sebbene la società avesse mutato i criteri di valutazione del bilancio in violazione dell’art. 2423bis c.c. (avendo dapprima deciso di capitalizzare le spese sostenute nel 2003, ammortizzandole a partire dal periodo di imposta in cui il sito produttivo avesse generato i ricavi ma poi operato in senso opposto, ribaltando l’impostazione contabile suddetta e reputando che la vendita degli immobili costituisse un’attività d’impresa e non un’ operazione straordinaria). In particolare, ad avviso dell’Agenzia, la scelta di considerare la vendita come il ricavato di un’attività d’impresa era fondata su una erronea interpretazione dei principi contabili contenuti nello IAS 17 (secondo cui se ad una operazione di vendita e retrolocazione corrispondeva un leasing operativo si era un presenza di una normale operazione di vendita il cui utile o perdita trovava immediata rilevazione) , non identificandosi il risultato dell’operazione posta in essere – di cessione degli immobili alla RAGIONE_SOCIALE.p.a., da questa in leasing finanziario alla controllata RAGIONE_SOCIALE e da quest’ultima in locazione alla originaria proprietaria NOME– con un negozio di vendita e retrolocazione strettamente inteso ma soltanto, di fatto, con un mero mutamento di titolo e di animus (da possesso a detenzione) con versamento da parte della contribuente alla controllata di meri canoni di locazione, non di leasing. Pertanto, ad avviso dell’Agenzia, la realizzazione della plusv alenza derivante dalla cessione degli
immobili non poteva non costituire una operazione straordinaria estranea al regime d’impresa.
2.1.Il motivo si profila inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
2.2.In primo luogo , l’Agenzia – limitandosi a riportare in ricorso soltanto uno stralcio del p.v.c. – non ha assolto, in punto di autosufficienza e specificità, all’onere di riportare, nelle parti rilevanti, il contenuto dell’atto impositivo impugnato e degli atti difensivi dei gradi di merito (atto di appello, controdeduzioni in sede di gravame nel giudizio di appello proposto dalla società, controdeduzioni di primo grado) onde consentire a questa Corte di verificare gli esatti termini della questione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza delle censure; invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa ( ex multis , Cass. n. 7825 e n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784 del 2015; Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 18679 del 27/07/2017 Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17881 del 2021).
2.3.In termini generali, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente, anche in ragione del criterio della vicinanza della prova, l ‘ onere di dimostrare l ‘ esistenza dell’inerenza e, se contestata dall’Amministrazione finanziaria, la coerenza economica dei costi deducibili, non essendo a tal fine sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, ma occorrendo altresì che esista la documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, essendo, in difetto, legittima la negazione della deducibilità del costo (cfr., ex multis, Cass., Sez. 5, 30/5/2018, n. 13588; Cass. 6/02/2015, n. 2179; Cass., Sez. 5, 26/5/2017, n. 13300). Così come è altrettanto vero che il principio di inerenza del costo ai fini della sua deducibilità è ricondotto, sul piano normativo, all’art. 109, comma 5
(già art. 75, comma 5) d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui « le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi », il quale, come già sostenuto da questa Corte, riferisce il relativo giudizio all’oggetto sociale e all’attività dell’impresa, nel senso che il costo è deducibile se è funzionale alle singole attività sociali o, comunque, se apporta all’impresa un’utilità obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata o se è potenzialmente capace di produrre un reddito imponibile, senza integrare un nesso tra costo e ricavo (in questi termini, Cass., Sez. 5, 30/5/2018, n. 13588).
2.4.Come questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, la deducibilità delle spese relative a più esercizi è subordinata, ai sensi dell’art. 74, 3° co. (ora 108) del d.p.r. n. 917 del 1986, all’indicazione degli specifici criteri cui commisurare la durata dell’utilità del bene, al fine di stabilirne la quota di costo imputabile a ciascun esercizio ( v. Cass., 19/6/2009, n. 14326). A differenza dell’art. 67, 2° co., d.p.r. n. 917 del 1986, la suindicata norma di cui all’art. 74, 3° co. (ora 108) d.p.r. n. 917 del 1986 non prevede invero alcuna tipizzazione dei criteri di esposizione di tali componenti negativi del reddito, con la conseguenza che la ripartizione pluriennale non può aver luogo semplicemente applicando i criteri legali stabiliti per gli ammortamenti ma l’impresa (il contribuente) ha l’onere di indicare criteri specifici commisurati alla durata dell’utilità del bene, al fine di stabilire la quota di costo imputabile a ciascun esercizio (v. Cass., 10/4/2006, n. 8344 ). Con particolare riferimento a spese per manutenzione e riparazioni, si è da questa Corte precisato che i costi di natura straordinaria sopportati in vista della relativa utilità pluriennale, ai sensi dell’art. 2426, 1° co. n. 5, c.c. possono (previo consenso del collegio sindacale, ove esistente) essere iscritti nell’attivo, anziché essere imputati in conto economico come componenti negativi del reddito di esercizio in cui sono sostenuti, ove la società ritenga, in base ad una scelta fondata su
criteri di discrezionalità tecnica, di capitalizzarli in vista di un successivo ammortamento pluriennale anziché far gravare i costi interamente sull’esercizio in cui sono stati sostenuti (v. Cass., 6/11/2013, n. 24939), sulla base dell’indicazione di specifici criteri, commisurati alla durata dell’utilità del bene, al fine di stabilire la quota di costo imputabile a ciascun esercizio (v. Cass., 10/4/2006, n. 8344; sez. 5 – , Ordinanza n. 6288 del 14/03/2018).
2.5.Invero, nella specie, il motivo nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 2423 bis c.c. per avere la CTR ritenuto legittima la integrale deduzione nel 2004 dei costi pluriennali di ristrutturazione dei fabbricati industriali sebbene inizialmente capitalizzati nel 2003 in vista di un successivo ammortamento pluriennale con mutamento dei criteri di valutazione del bilancio posti in essere nel 2004, la censura non si attaglia al decisum in quanto la CTR- con un accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità e in conformità ai principi sopra enunciati -lungi dal fare riferimento ad una scelta di capitalizzazione dei detti costi nel 2003 in vista di un successivo ammortamento a partire dal periodo di imposta in cui si fossero generati i ricavi attesi essendo ancora in una fase organizzativa, ha ritenuto legittima la deduzione nel 2004 della spesa di ristrutturazione dei fabbricati industriali in quanto benché contabilizzata come costo pluriennale, doveva essere ‘ interamente spesata ne ll’esercizio in cui era stata effettuata e in cui erano stati venduti gli immobili’ , vendita che ‘ aveva dato luogo ad una notevole plusvalenza… che aveva contribuito alla realizzazione del reddito della società ‘. In particolare, ‘ gli immobili erano stati ceduti dalla RAGIONE_SOCIALE ad una società che opera nel campo del leasing; da questa rivenduti ad una società del gruppo RAGIONE_SOCIALE che li aveva concessi in locazione a RAGIONE_SOCIALE ‘ e la ‘ detenzione degli immobili di cui si trattava a tiolo di locazione, essendo la proprietà in capo ad altro soggetto giuridico autonomo, evidentemente non rilevava …’. Pertanto, la CTR ha ritenuto – con un apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede assolto l’onere a carico della società di dimostrare l’esistenza dell’inerenza dei costi interamente dedotti nel 2004, trattandosi di
costi riferiti a beni da cui erano derivati – per effetto della vendita – ricavi che avevano concorso a formare il reddito della società.
2.6.Il motivo nella parte in cui denuncia la erronea qualificazione da parte del giudice di appello dei costi in questione come pluriennali essendo invece comprensivi di spese di gestione ordinarie a carattere annuale, e la erronea interpretazione dei principi contenuti nello IAS 17 introduce questioni che non risultano trattate nella sentenza impugnata. Al riguardo è opportuno ricordare che, secondo l’orientamento pacifico di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 26/03/2012, n. 4787). La parte, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. n. 34398 del 2019; 16/06/2017, n. 15029; 31/01/2006, n. 2140).
3.In conclusione, il ricorso va rigettato.
4.Nulla sulle spese essendo rimasto intimato il Fallimento e non avendo svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 9 ottobre 2024