Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18320 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18320 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 04/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26509/2020 R.G. proposto da
:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (PCCGRL73B18L304Y)
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sede di MILANO n. 910/2020 depositata il 05/06/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha ceduto alla società RAGIONE_SOCIALE un ramo di azienda con contratto con il quale si dichiarava in € 500.000,00 il corrispettivo di cessione.
A seguito di tale atto di cessione di ramo di azienda, l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Milano Ufficio Territoriale di Milano 2 ha inviato alla cedente RAGIONE_SOCIALE questionario numero Q00032/2017.
1.1. In data 12 maggio 2017, la RAGIONE_SOCIALE ha risposto al questionario.
1.2. L’Agenzia delle Entrate ha emesso l’avviso di rettifica e liquidazione, atto n. CODICE_FISCALE codice ufficio CODICE_FISCALE, con il quale è stata liquidata, sull’atto di cessione di ramo d’azienda in oggetto, una maggiore imposta complementare di registro di complessivi € 31.319,00, sanzione € 3 1.319,00, oltre interessi Euro 222,23 e diritti di notifica 35,00, cassa nazionale notariato € 412,00, tassa archivio 41,20 e così complessivamente € 63.348,44, con atto notificato in data 19 settembre 2017 alla cedente RAGIONE_SOCIALE e alla cessionaria RAGIONE_SOCIALE
1.3. In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha ricalcolato l’avviamento (dall’importo di € 600.000,00 a quello di € 902.046,00 con un incremento di € 302.046,00), e disconosciuto una passività aziendale trasferita (€ 1.930.758,88), con conseguente rideter minazione del valore del ramo d’azienda da € 500.000,00 a € 2.732.805,00 .
1.4. Entrambe le società hanno presentato istanza di autotutela in data 29.09.2017 al fine di ottenere un riesame dell’atto impositivo, senza alcun esito.
Avverso il provvedimento è stata proposta impugnazione, e la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha emesso la sentenza n. 3228, depositata il 12.07.2018, con la quale è stato disposto il parziale
accoglimento, riducendo l’orizzonte temporale da 8 a 5 anni ai fini del calcolo dell’avviamento, senza alcuna indicazione del valore rideterminato, e demandando all’Agenzia delle Entrate (che non ha adempiuto) la rideterminazione del valore accertato e della pretesa tributaria.
Le società contribuenti hanno quindi formulato appello.
La CTR, con la sentenza in epigrafe indicata, ha accolto l’appello in ordine all’annullamento di entrambe le rettifiche sopra descritte, e respinto l’appello in ordine alla richiesta applicazione del criterio di tassazione dell’atto di cessione del ramo d’azienda ad imposta fissa (come avviene per la cessione quote) in luogo dell’imposta proporzionale. In particolare, la CTR: 1) ha dichiarato non fondata la rettifica dell’avviamento; 2) ha dichiarato illegittima la rettifica relativa al disconoscimento della passività aziendale trasferita di € 1.930.758,88; 3) ha confermato la tassazione dell’atto con l’ imposta proporzionale; 4) ha condannato l’Agenzia delle Entrate alle spese di lite; e pertanto ha confermato il valore imponibile dichiarato dalla società di € 500.000,00 e annullato l’ atto impositivo.
Avverso la suddetta sentenza di gravame l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, con notifica via pec il 12.10.2020 alla sola società RAGIONE_SOCIALE limitatamente alla statuizione con la quale la Commissione Tributaria Regionale ha riconosciuto la deduzione della passività aziendale di € 1.930.758,88 nel computo del valore imponibile del ramo d’ azienda trasferito, affidandosi ad un unico motivo, cui ha resistito la società contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va analizzata in via preliminare la eccezione della controricorrente, la quale ha dedotto l’intervenuto giudicato , con conseguente improcedibilità del ricorso. Atteso che il caso di cessione di ramo d’azienda risulta esclus o dall’ipotesi di litisconsorzio necessario
ai sensi dell’ art. 14, D. Lgs. 546/1992, e considerato che l’impugnazione in primo grado della pretesa impositiva, e la successiva coltivazione in secondo grado, è stata qui effettuata congiuntamente dalle società cedente e cessionaria per esigenze di economia procedurale, la proposizione del ricorso per cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate soltanto nei confronti di una parte (RAGIONE_SOCIALE cedente il ramo d’ azienda) comporterebbe l’ intervenuta definitività della sentenza medesima nei confronti dell’ altra parte (RAGIONE_SOCIALE, cessionaria), rispetto alla quale è decorso il termine di impugnazione. E di tale giudicato favorevole la controricorrente vorrebbe giovarsi.
1.2. In tema di imposta di registro su cessione di (ramo di) azienda, questa Corte ha stabilito che non sussiste una ipotesi di litisconsorzio necessario: nel processo tributario, è inapplicabile l’istituto del litisconsorzio necessario alle controversie in tema di imposta di registro, cui deve essere soggetta una cessione di azienda, con riferimento alle posizioni del cedente e del cessionario, tra loro solidalmente coobbligati, poiché il rapporto di solidarietà non realizza un presupposto dell’indicato istituto ma, più che determinare l’inscindibilità della causa tra più soggetti nel senso inteso dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14, comma 1 (il quale postula che la fattispecie costitutiva dell’obbligazione, risultante dai contenuti concreti dell’atto autoritativo impugnato, sia connotata da elementi comuni ad una pluralità di soggetti e che l’impugnazione proposta da uno o più degli obbligati investa direttamente siffatti elementi), pone problemi relativi al rapporto tra giudicati (e, eventualmente, legittima un intervento nel processo, ai sensi del citato art. 14, comma 3) (Cass. 16/11/2011, n. 24063 (Rv. 620274 – 01)).
1.2. Successiva e recente pronuncia delle Sezioni Unite ha precisato che, quanto al contraddittorio processuale, permane la distinzione tra cause scindibili e inscindibili: nel processo tributario, in
tema di giudizio con pluralità di parti, l’art. 53, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove prevede la sua proposizione nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili, dipendenti e scindibili, così come delineata dalle regole processual-civilistiche, e pertanto, nei limiti del rispetto delle regole prescritte dagli artt. 331 e 332, c.p. c., applicabili al processo tributario, non vi è l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti, pur presenti nel giudizio di primo grado, il cui interesse alla partecipazione al grado d’appello, per cause scindibili, sia venuto meno (Cass., sez. un., 30/04/2024, n. 11676).
1.3. Premesso quanto sopra, è stato però anche chiarito che in tema di solidarietà tributaria, in virtù del limite apportato dal secondo comma dell’art. 1306 c.c. al principio enunciato nel primo comma, il contribuente solidale può invocare a suo favore la sentenza intervenuta fra il creditore e altro coobbligato solo quando sia rimasto estraneo al relativo giudizio; in caso contrario, la sentenza emessa nei confronti dei diversi debitori consta di distinte pronunce, in relazione all’autonomia ed indipendenza dei relativi rapporti obbligatori, con la conseguenza che il passaggio in giudicato dell’una, per difetto di impugnazione, rimane insensibile all’eventuale riforma o annullamento dell’altra, a prescindere dal carattere personale o meno delle relative eccezioni (Cass. 15/10/2021, n. 28267 – Rv. 662458 -01; così già Cass. n. 13458/13, n. 20559/14 ed altre).
1.4. Ne consegue che, trattandosi di cause scindibili, da un lato non è necessario integrare il contraddittorio e, dall’altro , il contribuente solidale non può invocare a suo favore la sentenza intervenuta fra il creditore e l’altro coobbligato, in quanto non è rimasto estraneo al relativo giudizio.
1.5. Deve quindi essere respinta l’eccezione in analisi.
In secondo luogo, sempre in via preliminare, deduce la controricorrente l’inammissibilità dei motivi di impugnazione proposti dalla Agenzia delle Entrate, per violazione delle disposizioni di cui all’art. 360, comma l c.p.c., e comunque l’ infondatezza degli stessi.
In particolare, lamenta che il ricorso dell’Agenzia delle Entrate non svilupperebbe alcuna puntuale contestazione alla motivazione della sentenza impugnata, limitandosi soltanto ad una mera riproposizione delle argomentazioni già esposte nell’avviso di liquidazione e reiterate nei precedenti gradi di giudizio, in modo insufficiente a fondare la motivazione del ricorso per cassazione.
2.1. L ‘ eccezione è infondata, come meglio dimostrerà la disamina del motivo di ricorso, che risulta sviluppato in relazione all ‘esito dell a sentenza della CTR, tenuto anche conto della natura strettamente tecnico-interpretativa della questione dedotta.
Con unico motivo di ricorso, si deduce la falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma l, n. 3) c.p.c., dell’art. 43 del DPR 131/1986: trattandosi di debiti della parte cedente (RAGIONE_SOCIALE verso la stessa parte acquirente (RAGIONE_SOCIALE, la cessione di tali debiti rappresenterebbe una modalità di corresponsione del prezzo di cessione da parte dell’acquirente, e considerato che, nella cessione di un ramo d’azienda, l’imposta di registro deve considerare anche la quota del prezzo non versata in contanti, ma onorata tramite l’accollo dei debiti del cedente da parte del cessionario, tale accollo concorre a determinare la base imponibile soggetta all’imposta di registro.
3.1. Sulla questione, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che in materia d’imposta di registro relativa a cessione d’azienda, la base imponibile va determinata al lordo dei debiti del cedente che il cessionario si sia accollato quale modalità di pagamento del prezzo, specificando altresì che in tema di imposta di registro su atti di cessione di azienda (o di diritti reali su di esse), il valore effettivo, rispetto a quello dichiarato, deve essere accertato tenendo conto del criterio di
cui all’art. 51, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986, che non esclude, peraltro, una verifica sulla inerenza delle passività risultanti dalla documentazione contabile rispetto all’attività svolta dall’azienda trasferita, in quanto l’estraneità dei debiti, ancorché appostati in contabilità ed assunti dalla cessionaria, fa sorgere, in capo all’acquirente, una responsabilità ex art. 2560, comma 2, c.c., assimilabile all’accollo che, ai sensi dell’art. 43, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, concorre a determinare la base imponibile (Cass. 31/10/2018, n. 27838 (Rv. 650974 – 01)).
Testualmente, in motivazione, si afferma ‘t raslando questo principio di ordine generale nell’ambito della cessione aziendale ex articolo 51 d.P.R. cit., rileva dunque come la presunzione di corrispondenza del valore reale a quello dichiarato dalle parti nell’atto (1″ CO.) possa essere superata dall’amministrazione finanziaria allorquando quest’ultima accerti (4″ co.) che il valore dichiarato ha tenuto conto di passività le quali, per quanto iscritte nei libri contabili obbligatori, non presentino alcun collegamento o inerenza con l’azienda trasferita. E’ pur vero che in quest’ultima ipotesi sussiste, per il solo fatto che i debiti risultino dai libri contabili obbligatori, la responsabilità dell’acquirente dell’azienda ex articolo 2560, 2^ co., cod.civ.; ma, allorquando emerga che tali debiti siano in realtà estranei all’azienda, l’assunzione di tale responsabilità da parte dell’acquirente non può che configurare un’ipotesi sostanzialmente riconducibile all’accolto da parte del cessionario del debito del cedente (indipendentemente dalla inerenza soltanto contabile, e non operativa, della posta passiva). Senonchè, tale accollo non rappresenta che una modalità di determinazione e corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato in ragione dell’effettivo valore attribuito dalle parti all’azienda; il quale dovrà pertanto essere individuato, ai fini dell’imposta di registro, non al ‘netto’, ma al ‘lordo’ della passività non inerente (Cass.12215/08).
Il che trova del resto riscontro nell’articolo 43 2 ‘ co. d.P.R. 131/86, il quale stabilisce che “i debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile” ‘ .
3.2. Se ne deve concludere (cfr. Cass 539/2022) che nel ‘ sistema dell’imposta di registro, il calcolo della base imponibile, previsto dall’art. 51, comma 4, T.U.R. è effettuato in base alla c.d. valorizzazione al netto delle passività aziendali, basandosi sull’assunto che le passività aziendali vengono normalmente prese in carico dal concessionario. La disposizione, infatti, precisa che: “per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al comma primo è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento (..) al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile”. La norma va letta in combinato disposto con l’art. 43, comma 2, T.U.R., secondo cui: “i debiti e gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a fermare la base imponibile”: tale statuizione specifica che gli oneri e le passività che si accolla il concessionario per effetto della vendita costituiscono parte del corrispettivo, ovvero del vantaggio che il cedente trae dalla cessione aggiunta al prezzo dichiarato. In sostanza, gli oneri e le passività che, per effetto della vendita, saranno caricati al concessionario rappresentano un vantaggio ulteriore che il cedente consegue dalla cessione. Le suddette disposizioni vanno lette anche tenendo conto dell’art. 21, comma 3, del d.P.R.n. 131 del 1986, che consente l’esonero espresso da autonoma imposizione di accolli di debiti connessi ad una cessione, in quanto già tassati sotto forma di corrispettivo della cessione, essendo inclusi nel calcolo della base imponibile. Ne consegue che mentre le passività aziendali di cui all’art. 2560 c.c., inerenti all’esercizio di attività di impresa, vanno scomputate
dal calcolo della base imponibile, gli accolli di debiti diversi vanno, invece, inseriti nel medesimo calcolo ‘ .
3.3. Nel caso di specie si devono quindi calcolare tali elementi ai fini della base imponibile. Essendovi stata estinzione del debito della cedente nei confronti della cessionaria per effetto diretto della cessione, essi concorrono quale componente del corrispettivo a formare la base imponibile.
3.4. La censura è quindi fondata e va accolta.
In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13/05/2025 .